recensione di Eduardo Savarese
Filippo Tuena
Il volo dell’occasione
pp. 176, € 15,5
TerraRossa edizioni, Bari 2023
Non che l’importanza della collana Fondanti di Terrarossa edizioni avesse bisogno di conferme: ma certo la ripubblicazione del Volo dell’occasione di Filippo Tuena, apparso per la prima volta trent’anni fa, ne esalta la pregnanza di significato. Perché questo romanzo dalla prosa elegante, di un dinamismo ora avvolgente ora nervoso tale da mettere in pagina una tinta d’ambientazione tipicamente parigina, declina al modo italo-francese, per così dire, una tradizione letteraria di ghost-story di matrice anglosassone: la sua ripubblicazione stessa esprime il volo (questa volta afferrato) dell’occasione, per il lettore, di farsi sommergere dalla storia dell’io narrante e del trio amoroso e delittuoso che lo trascinerà dietro di sé. Renant-Blanche-Altay – il musicista cinquantenne, la bellissima diciottenne spregiudicata, il turco ricco e arrogante – conturbano il narratore, prima distaccato e sommessamente curioso, poi invaso e posseduto dalla scoperta fantasmatica: ogni incontro con presenze incomprensibili nei loro riti (almeno all’inizio) muta infatti irrimediabilmente la vita precedente di chi esperisce l’incontro. E lo fa nel modo terrificante di un’intensità insensata: mettendo in gioco la radicalità delle scelte e del posizionamento esistenziale: insomma, si tratta delle conseguenze che tragicamente accadono, ad esempio, in The Turn of the Screw il cui effetto ipnotico, disturbante eppure in qualche misura compassionevole sono tornato a provare, con grande godimento, leggendo (per me per la prima volta) Il volo dell’occasione di Tuena.
Oltre all’intransigenza della storia di fantasmi che incalza il narratore fino a intrappolarlo, costituendo un movimento narrativo che a sua volta porta con sé il lettore, questo romanzo rivela altre due qualità specifiche. In primo luogo, la tematizzazione del tempo (il tempo che scorre e non ritorna, l’illusione di richiamarlo a sé, il dramma di perdere l’occasione) diventa elemento formale dell’intreccio e delle scelte di composizione del racconto. Gli innamorati del passato – dice subito il narratore riferendosi a Re(ve)nant, uno dei protagonisti della storia – non «sanno che nulla è ripetibile, nulla ritorna. Perdiamo tutto, né ripossedere qualcosa che abbiamo amato ci restituisce il tempo in cui abbiamo amato». D’altra parte, il «caso, l’occasione, l’imprevisto sopraffanno la ragione. Ci si lascia cullare dalla meraviglia di una specie di musica delle sfere. E quasi si crede di essere stati capaci di possederlo il caso, l’occasione».
Questa sorta di manifesto di stoica consapevolezza affisso quasi come incipit tematico dal narratore-protagonista (siamo difatti nelle prime tre pagine) è la verità apparentemente dominata, che troverà conferma empirica proprio nella drammatica rovina che investirà il suo predicatore: il quale sa, ma non farà quel che sa o finge di sapere. Ma l’intero intreccio e la composizione del ritmo delle singole scene tenderà a misurarsi di continuo con la grande illusione dell’eterna ripetibilità o, alternativamente, con la sconcertante possibilità che, in modi misteriosi, tutto ritorna, senza per questo smentire la verità dell’assunto di base: l’occasione, volata via, è perduta per sempre.
La seconda qualità specifica del romanzo sta, infine, nella sua capacità di essere un’opera, al contempo, agevolmente narrativa, scorrevole, avvincente nel senso più immediato del termine e, anche, profondamente capace di articolare un piano simbolico, tanto sfuggente quanto invitante, attorno a ciò che è, comporta e significa inventare e scrivere un racconto. Il volo dell’occasione, infatti, mette in scena alcune questioni fondamentali alla base delle scelte narrative: qui l’io narrante, che non a caso è uno scrittore continuamente a caccia di storie, si misura infatti con il tempo (ossessione con cui ogni scrittore deve trovare il suo personale modo di convivere… per sopravvivere); con l’incontro con i personaggi, che, diversamente dai sei personaggi pirandelliani, sono chiusi nella loro storia e non lasciano penetrarvi altri, tanto meno l’aspirante autore di un romanzo che li riguardi; con il mistero della fissità dei ruoli dei personaggi (intrappolati nella pagina per sempre) e del rapporto tormentoso tra fatalità del destino che l’autore sceglie (o inventa) per loro e l’illusione (o la realtà?) di strade alternative di sviluppo e risoluzione della storia (e questo perché, «Non ci si conosce mai abbastanza. Mai abbastanza a fondo. Nel fondo dell’animo»).
La stessa Occasione che si libra sull’orologio di alabastro – arma del delitto e allegoria della storia raccontata nelle sue diverse funzioni e nature – è qui ambivalente: elemento dell’intreccio e decima Musa, forse ispiratrice dell’io-narrante e di Tuena stesso (o della letteratura contemporanea qui auspicata). Quell’Occasione significativamente rappresentata da Andrea Mantegna e la sua scuola per lo studiolo di Isabella d’Este, insieme con la… Penitenza.