Una wonderland dove i gatti parlano e piove sale nero
di Franco Pezzini
A fronte di prodotti d’importazione di qualità molto varia, è bene ricordare che il Fantastico italiano ha una storia di tutto rispetto: e uno dei suoi padri nobili è senz’altro Danilo Arona. La sua produzione ricchissima nel corso degli anni rende difficile persino una precisa mappatura, divisa com’è tra decine di marchi e a cavallo tra edizioni librarie e da edicola. Una quarantina malcontata di opere, per non parlare della miriade di testi apparsi solo sul web: oltretutto una produzione da un lato saggistica (come nel caso dei suoi studi pionieristici sul “Fantacinema”), dall’altro di romanzi e racconti, ma che spesso finisce con l’ibridare le due forme attraverso una ricetta personalissima per la quale parlare di romanzo-saggio rende solo parzialmente l’idea. Ricercatore di frontiera su fenomeni “anomali” e leggende metropolitane, Arona dà così corpo nei suoi scritti a un flusso visionario di storie a cavallo tra realtà interiore (personale o condivisa), mito e pura fiction.
Bassavilla e Montebuio
Tra le costellazioni narrative costruite da Arona merita senz’altro citare la grande saga di Bassavilla, un’Alessandria (quella piemontese, dove vive) decrittata nelle sue dimensioni spettrali e pronta a innervarsi attraverso rivoli segreti in tutto un atlante planetario dell’inquietudine; e, in tempi più recenti, il ciclo sullo scrittore Morgan Perdinka e il paesotto delle sue vacanze infantili, un fantomatico Montebuio sull’Appennino Ligure (il modello è Montemaggio), trentadue abitanti con brutti ricordi sulla locale Colonia fascista. A partire da un’opera affascinante e complessa, appunto L’estate di Montebuio, apparsa per i tipi Gargoyle nel 2009, e che vedeva combinarsi in modo disturbante vicende sparigliate tra il 1962 di Morgan bambino e il 2008, dopo il suicidio di Perdinka. Di lì successivi anelli di una catena da incubo: e mi limito a citare due titoli.
Nel 1962 iniziava il Concilio Vaticano II, moriva Marilyn Monroe, i Beatles pubblicavano il primo album, e il primo satellite per le telecomunicazioni, Telstar, veniva lanciato nello spazio offrendo spunto a Joe Meek per l’omonimo e fortunatissimo pezzo musicale. Però insieme, come rammenta la postfazione di L’autunno di Montebuio, scritto da Arona in tandem con Micol Des Gouges (Nero Press, collana Insonnia, Roma 2012, pp. 269, € 15 – e che de L’estate è ovviamente l’ideale continuazione), “una generazione di bambini, o poco più, sentiva parlare di guerra fredda, della grande e bellissima isola di Cuba, di missili e di blocco navale. E di guerra atomica. Ma, soprattutto, vedeva una cosa mai vista prima: la paura, anzi il terrore, negli occhi degli adulti. E qualcosa, senza che gli adulti se ne rendessero conto, andava sgretolandosi nel loro mondo di fanciulli”. È appunto tale sgretolarsi che Arona e la talentuosa e giovanissima (del 1994) esordiente Des Gouges raccontano in questo romanzo felicemente visionario: dove il tema delle telecomunicazioni e delle paure transitate per i media, col cielo di Telstar potenzialmente solcato da missili apocalittici, incontra le forme dell’immaginario di tre ragazzini. La narratrice Lisi, novella Alice, e i suoi amici Ettore e Santino si trovano così proiettati in una wonderland dove i gatti parlano, un buco nel muro della chiesa è accesso a un mondo altro, sante mummificate sembrano spostarsi in modo illusionistico e luci impazzite volteggiano nell’aria, tra piogge di sangue e colate di sale nero: una Twin Peaks onirica e allucinatoria dove però il lettore non è mai sradicato dalla Storia, quella vera, e dalle sue paure che generano spettri. L’autunno di Montebuio è insomma testimonianza dell’originalità di una via italiana al Fantastico che corre con particolare vigore attraverso il mondo dei piccoli editori e il passaparola del web; ma al contempo, attraverso la collaborazione tra un veterano e una nuova leva, è segnale promettente per il futuro di un horror italiano non sufficientemente considerato.
Malapunta
Alla saga di Montebuio si ricollega però in modo indiretto un altro volume, a firma del solo Arona. Malapunta era in realtà già apparso nel 2011 in forma di pseudobiblion come uno dei principali romanzi (datato virtualmente al 2003) dell’ipotetico scrittore Perdinka suicida nel 2007. All’epoca risultava a cura di Danilo Arona – con saggi introduttivi a firma sua, di Chiara Bordoni e di Morgan Perdinka “il chitarrista” (altra identità di Arona, appassionato musicista) – ed era stato edito dalle raffinate e oggi scomparse Edizioni XII. Riproposto ora dall’attivissima Cut Up, dichiara l’autore (Danilo Arona, Malapunta. L’isola dei sogni divoratori, Prefazione di Stefano “El Brujo” Fantelli, collana Incubazioni, La Spezia 2015, pagg. 363 più 9 non numm., euro 16,00), in versione arricchita dalle illustrazioni di Enzo “Heavy Bone” Rizzi, e mantiene tutta la sua carica spiazzante, compenetrando horror e fantascienza in una declinazione molto originale del tema dell’orrore cosmico. Tutto ruota attorno a Malapunta, isola ipotetica e semideserta tra Corsica e Arcipelago Toscano: e dopo una prima parte incentrata sullo straziato autoesilio in loco del vedovo Nico Marcalli e sui misteri lì incontrati, la storia assume il ritmo del sogno. A condurre a risultati inattesi è stato in effetti un esperimento un po’ fuori dalle righe, una sorta di trekking di sopravvivenza onirica condotto appunto sincronizzando i sogni lucidi di più persone: e il tutto non farà che accelerare la corsa verso una più ampia crisi planetaria.
Forte del suo stile di romanzi-saggi, Arona gioca fascinosamente le carte mischiando angosce da lutto e druidi, miti del mare e realtà parallele, geografia fantastica e frontiere della neurologia: volti, eventi, cause ed effetti si sovrappongono e trascolorano continuamente in altro, con risultati a tratti quasi sperimentali che rappresentano un esempio di particolare interesse delle nuove frontiere del genere.
franco.pezzini1@tin.it
F. Pezzini è saggista