La presenza dell’assente
di Giovanni Capecchi
dal numero di gennaio 2014
Il protagonista, che parla in prima persona, si muove nelle strade di Lisbona. Si ferma in un caffè, all’Intendente, dove incontra un vecchio che gioca al biliardo appoggiandosi a una stampella: “Lui mi guardò e sorrise. Hai un accento strano, aggiunse, sei straniero? Un po’, risposi. Da dove vieni?, chiese. Dai dintorni di Sirio, dissi io”. Si chiama Waclaw, ma per gli amici è Tadeus. Sta cercando una donna, Isabel, e, proprio per quella sera, come spiega al vecchio zoppo, ha un appuntamento importante: “Aspetta un attimo, disse lui, perché cerchi questa donna, ti manca? Forse, risposi io, diciamo che ho perso le sue tracce e che sono venuto apposta dal Cane Maggiore per cercarla, vorrei sapere qualcosa di più, è per questo che ho un appuntamento”.
Siamo alle prime due pagine di Per Isabel. Un mandala, il romanzo postumo di Antonio Tabucchi: e chi ha seguito negli anni (lasciandosi coinvolgere e disorientare) la “musa zoppa” dello scrittore nato a Vecchiano, percorrendo con lui sentieri sdrucciolevoli tra realtà e sogno, accettando di provare a guardare il rovescio di ciò che appare, dedicando attenzione a quei piccoli dettagli che possono far deragliare una vita, ha la sensazione di ritrovare una voce amica: torna infatti a incontrare il ritmo (il vero e proprio respiro) di una scrittura inconfondibile, alcuni dei temi regolarmente riemersi in quasi quarant’anni di scrittura e due personaggi (Tadeus e Isabel) che si sono già affacciati in altre pagine di Tabucchi, apparendo e subito scomparendo nelle sue storie, avvolti da un alone di mistero e di non detto.
La voce di Tadeus compariva improvvisa e inattesa nel racconto che apriva L’angelo nero (1991), facendo riemergere momenti del passato che si credevano (e si speravano) sepolti per sempre: momenti indissolubilmente legati a Isabel. Anche in Requiem, allucinante percorso tra fantasmi in una caldissima Lisbona di fine luglio, appariva Tadeus, incontrato nel Cimitero dos Prazares per parlare di Isabel, e questa enigmatica figura femminile (della quale si venivano a sapere alcune cose: che ha avuto, negli anni sessanta, una storia con tutti e due gli amici, che ha abortito e si è uccisa) stava per comparire sulla scena di quel romanzo uscito in Portogallo – e in portoghese – nel 1991, annunciata dal maître della Casa do Alentejo (“Di là c’è una signora che la sta aspettando, […] dice che è la signora Isabel”), ma finendo per rimanere fuori dal quadro, sulla soglia della storia. Una soglia che Isabel non varcava neppure in quel romanzo in forma di lettere (lettere sull’amore, sulla perdita, sulla distanza) che è Si sta facendo sempre più tardi (2001) in cui, tra i libri non scritti, veniva ricordata una storia intitolata Cercando di te (e sottotitolata Un mandala) della quale si davano poi alcune indicazioni (il protagonista ricercava la sua amata e, cerchio dopo cerchio, proprio come nel mandala, “riusciva ad arrivare al centro, che poi era il significato della sua vita, e cioè a ritrovarla”), riportandone alcune pagine: quelle, tra le più belle, che raccontano l’incontro tra Tadeus e un’astrofisica americana in un monastero svizzero. Pagine, ancora una volta, senza Isabel, che doveva aspettare, per comparire, proprio questo romanzo postumo, che ha accompagnato il suo autore per molti anni: sedimentato lentamente, dettato a Vecchiano nel 1996, messo poi da parte e dato in custodia a un’amica, infine ripreso in mano nell’estate del 2011, per rileggerlo e (forse) pubblicarlo, comunque troppo tardi per i tempi di una vita che la malattia stava per troncare.
Quando appare, nelle ultime pagine del romanzo, Isabel indossa un abito di seta blu e copre il capo con una veletta bianca. È la ragazza di allora quella che si manifesta in una stazioncina della Riviera, per riallacciare le fila di un discorso brutalmente interrotto e per prendere il definitivo (e rappacificato) congedo. Come i protagonisti di tante storie di Tabucchi (da quel capolavoro che resta Notturno indiano a Il filo dell’orizzonte e a Requiem) Tadeus è “uno che cerca”, spostandosi in diversi luoghi (dal Portogallo all’India, dalla Svizzera all’Italia) e incontrando persone reali e fantasmi che contribuiscono (con la loro voce, con le loro testimonianze talvolta contraddittorie ma sempre plausibili) a costruire una storia. Tadeus non è più il personaggio che appare sulla scena (come in L’angelo nero e in Requiem), ma diventa il protagonista, colui che conduce la ricerca: ha lasciato questa terra, si è fatto pura luce, ha trovato un angolino per sé nell’immenso universo ed è tornato da “una infinità di tempo” per sciogliere, in questo romanzo che forse poteva essere solo postumo, un groviglio che continuava a pesare.
Tornano, in Per Isabel, le riflessioni sul tempo (iniziate già nel libro di esordio, Piazza d’Italia, del 1975, dove Volturno portava con sé “il Mal del Tempo” e proseguite fino alla raccolta di racconti Il tempo invecchia in fretta, del 2011) e quelle sulla morte, mai abbandonate da uno scrittore della soglia come Tabucchi, intento a indagare, per esempio, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa (1994) e a raccogliere la voce di un uomo in delirio che prende congedo dalla vita e dal Novecento in Tristano muore (2004). Anche per questo, leggendo il romanzo, si ha l’impressione di ritrovare una voce amica, capace di riflettere sull’esistenza e sul suo mistero ma anche sulla storia e sui momenti in cui la libertà è stata calpestata; una voce incline a mettere insieme l’interesse per l’indicibile e l’attenzione ai mali del nostro tempo, come ha sottolineato Dacia Maraini ricordando l’amico in Una giornata con Tabucchi. La storia di Isabel si sviluppa infatti negli anni bui del regime di Salazar (Isabel aderisce al partito comunista, vive in clandestinità, viene arrestata e picchiata), presenti anche in romanzi come Sostiene Pereira (1994) e La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), rievocati per parlare delle dittature del passato e per denunciare le nuove derive antidemocratiche del presente, soprattutto in Italia, osservata da Tabucchi con preoccupazione e rabbia nel ventennio berlusconiano, come testimoniano i suoi articoli di giornale apparsi su quotidiani e riviste di tutta Europa (in parte raccolti in L’oca al passo, 2006), scritti da chi ha sempre creduto nella “funzione interrogativa” dell’intellettuale, secondo un’espressione utilizzata in una lettera aperta ad Adriano Sofri, apparsa su “Micromega” (e riproposta, nel 2012, in un numero monografico della rivista non a caso intitolato Antonio Tabucchi, la scrittura e l’impegno) e poi confluita in La gastrite di Platone (1998).
“Questo è anche il compito della letteratura: ficcare il naso dove cominciano gli omissis”: sono parole che Tabucchi adoperava nel suo Elogio della letteratura, un intervento che viene oggi ripubblicato in apertura del volume Di tutto resta un poco, curato da Anna Dolfi, raccolta di scritti dedicati prevalentemente alla letteratura e al cinema, fra testi studiati, letti e recensiti (tra questi Se questo è un uomo di Primo Levi, il libro “più rappresentativo del Novecento”, secolo breve dei massacri), incontri maturati intorno alla passione per la poesia, pellicole e personaggi del cinema che hanno segnato una vicenda personale e generazionale (con pagine mirabili sulle ali di farfalla di Marilyn Monroe e su La dolce vita, capace di far capire, al suo apparire, il vero volto dell’Italia del benessere). È un Tabucchi, quello dei postumi Per Isabel e Di tutto resta un poco, che continua a parlare. La sua rimane una voce che non muore. Quella voce affidata a tante pagine e rimpianta da chi gli è stato amico. L’ha ricordata, tra gli altri, Luigi Surdich, in un saggio apparso (insieme a un contributo di Anna Dolfi) su “Autografo” (2012), raffinata indagine su un terreno poco esplorato come quello riguardante Tabucchi e il teatro, incorniciata dal ricordo dell’amico. I ricordi, le testimonianze, gli articoli, le pagine più spiccatamente narrative, le interviste (tutti materiali che sono andati a comporre, dopo la morte di Tabucchi, volumi come Parole per Antonio Tabucchi, Una giornata con Tabucchi, Sosteneva Tabucchi e Dietro l’arazzo. Conversazione sulla scrittura) contengono, in genere, piccole tessere che contribuiscono alla composizione di un profilo, echi della voce dello scrittore, frammenti della sua vita. Ma è Mi riconosci di Andrea Bajani il libro più importante e più bello nato dall’assenza di Tabucchi. È la storia degli incontri e dell’addio tra due scrittori di generazioni diverse, il racconto (senza retorica) di un’amicizia, dalla cena parigina al definitivo abbraccio nella stanza di un ospedale portoghese e al saluto nel Cimitero des Prazeres. Bajani, in questo commosso congedo, traccia un primo bilancio su ciò che resta di chi, fisicamente, non c’è più, tenta di abitare il vuoto che si è venuto a creare dopo il 25 marzo 2012, rintraccia la presenza dell’assente; racconta la vita che continua (le ultime pagine, intitolate Dopo, sono dedicate a una passeggiata sulla spiaggia di Vecchiano fatta in compagnia di Maria José de Lancastre, moglie dello scrittore); scrive un ritratto, non necessariamente in piedi, di un intellettuale libero, tra nobiltà e umanissime miserie.
giovanni.capecchi@unistrapg.it
G. Capecchi insegna letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia