Storie che si corrispondono
recensione di Maria Vittoria Vittori
dal numero di novembre 2018
Angela Nanetti
IL FIGLIO PREDILETTO
pp 232, € 16,50
Neri Pozza, Vicenza 2018
Due percorsi esistenziali che prendono forma in tempi storici e scenari sociali diversi, e che però in qualche modo si corrispondono: questa è la materia sensibile di Il figlio prediletto. Dopo Il bambino di Budrio, Angela Nanetti, già affermata autrice di libri per bambini e ragazzi, racconta una storia intensa e emozionante che affonda le sue radici in giovinezze vissute nel segno dell’esclusione. E, per prima, la giovinezza di Nunzio Lo Cascio, che gioca nella squadretta del paese e si è innamorato, ricambiato, del suo compagno di squadra, Antonio: nemmeno la loro condizione di clandestinità varrà a proteggerli dall’agguato dei familiari di Nunzio, affiliati alla ‘ndrina calabrese: la scena con cui s’apre il romanzo è di quelle feroci e senza riscatto, destinata ad essere rivissuta da chi resta in un loop infinito che è della mente, ma anche della carne.
Nunzio è costretto a riparare a Londra, presso alcuni compaesani, “morto” per tutta la famiglia: sarà sua madre Concetta a tenerlo in vita con il pensiero, che non s’arrende, e con la voce che, da forte e imperiosa, risuona esile e dolce, quando parla di lui, alle orecchie di sua nipote Annina. A distanza di tempo, la giovinezza di Annina s’accosta a quella di Nunzio: perché, in quel piccolo paese dell’Aspromonte rinserrato nell’omertà e nel pregiudizio, niente è cambiato negli anni e un ragazzo che ama un ragazzo è sempre un “ricchjiuni mpamu” e una ragazza che vuole vivere libera è sempre una “pputtana”.
Ed è dunque agli interrogativi di Annina su questo suo zio misterioso mai conosciuto – di cui ricorda, da bambina, il funerale solenne quanto assurdo, con qualcosa di esagerato e falso ai suoi occhi precocemente abituati a decifrare l’inganno – che la scrittrice affida il compito di dipanare la storia e di mantenerla aperta su una duplice prospettiva. Una prospettiva particolarmente intensa e coinvolgente per il lettore, che da una parte dà conto delle esperienze di Nunzio nella Londra turbolenta degli anni settanta, agitata da fermenti e rivolte sociali, e delle amicizie che lo aiutano a emanciparsi e dall’altra dà espressione, attraverso la narrazione in prima persona, al potente desiderio di Annina di sottrarsi a quella gabbia che con tanta cura le hanno confezionato. Sarà l’arte, nelle sue diverse declinazioni, a costituire uno strumento di liberazione, per ognuno dei due protagonisti: la fotografia per Nunzio, come possibilità di uno sguardo rinnovato e più profondo sui volti delle persone, il teatro per Annina, come possibilità di parlare con la propria voce. E per quanto possa risultare sorprendente, l’epilogo appare coerente a una narrazione che, pur addentrandosi in contesti sociali realistici e incisivamente delineati, fa perno costantemente su un’insopprimibile esigenza di libertà interiore capace di scavalcare tutti gli schermi divisori, e pure quelli che separano i vivi dai morti.
mv.vittori@tiscali.it
M V Vittori è insegnante e saggista