L’epica stracciona dei new working poors
recensione di Carlo Baghetti
dal numero di luglio-agosto 2018
Alberto Prunetti
108 METRI
The new working class hero
pp. 133, € 15
Laterza, Roma-Bari 2018
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“E ricorda bene anche te, che sai trovà a modino le parole e hai studiato le metafore e le sai misurà col calibro, ricorda che quel ferro t’ha sfamato e t’ha fatto studià. Càntagliele sode e vedi di raccontalla per le rime la nostra storia… Ora tocca a voi doventà i padri”, dice così Quattr’etti ad Alberto, quando torna dall’Inghilterra con un sacco pieno di storie e un po’ bel di delusioni, di sogni traditi, e in questa frase si trova molto di 108 metri. The new working class hero: la centralità del racconto, la necessità di creare un’epica della classe lavoratrice che sappia parlare di e a un noi vasto, plurale, internazionale; c’è il lavoro sulla lingua, con il tentativo di calcare i moduli dell’oralità, aprendola a regionalismi, dialetti, idiomi diversi; c’è il ferro, intorno al quale da secoli gli abitanti di Piombino e dintorni hanno fuso la loro identità; c’è lo studio, il mito – tradito – della mobilità sociale; c’è la visione della cultura che fu di un dato momento storico e che oggi sembra superata, svalutata, un fossile; e poi c’è lo spettro della paternità, un cruccio intorno a cui molti scrittori oggi lavorano.
Con 108 metri, dimensione dei binari che si producevano a Piombino, Prunetti torna a fare sentire la propria voce dopo il successo di Amianto (Alegre, 2014 – “L’Indice” 2013 n.2), in maniera più consapevole, matura e diversa; il primo dato che colpisce è l’abbandono della ricostruzione documentaria; in Amianto l’autore e l’editore avevano scelto, per esempio, d’includere le fotografie del padre Renato, la cui malattia rappresenta il nodo tematico centrale, oppure vi era un intero capitolo dedicato all’iter giudiziario della famiglia Prunetti per vedere riconosciuti i “benefici” dei lavoratori esposti all’amianto, e dove erano presenti numeri, date, elenchi di nomi e decreti legge. Nel nuovo volume Renato è ancora presente, così come la brutta malattia, ma stavolta il racconto prende un’altra piega, meno documentaristica e più inventiva; la letteratura inglese d’avventura funziona da modello, Stevenson in particolare, da cui deriva l’energia creativa e lo slancio per raccontare le avventure di una nuova working class internazionale, rappresentata come una ciurma che si riunisce intorno a un giuramento, non di pirati, ma di “cuochi del Regno Unito”, icona dello sfruttamento lavorativo contemporaneo, che si dichiarano disposti a pugnare “i famigerati pathogenic bacteria” e altri simili felloni che rischiano di piegare i sudditi di Sua Maestà. Si deve principalmente a questa ascendenza letteraria il tono baldanzoso e fin quasi spaccone, gagliardo e esuberante di uno dei pochi testi italiani che racconta il lavoro senza cedere alla retorica della sconfitta, della rinuncia, dei vinti, ma al contrario avanzando pretese a voce alta, facendo risuonare minacce come non si leggeva da alcuni decenni (la citazione in esergo recita: “Finalmente una chiave inglese: se va bene serve a girare i bulloni e svitare, se no, calata di taglio, spacca”).
Non solo romanzo d’avventura
Interpretare 108 metri solo come un romanzo in cui la classe lavoratrice ritrova la sua energia vitale è però riduttivo, perché Prunetti lavora moltissimo anche sulla forma: le vagabondaggini del protagonista sono raccontate attraverso un intreccio d’idiomi sapiente e singolare: francese, inglese, italiano, spagnolo, latino, toscano, napoletano e altri dialetti sono mescolati talvolta nello stesso paragrafo restituendo al lettore una koiné che è propria dei lavoratori contemporanei, costretti a mettersi alla ricerca del lavoro perduto portando nel bagagliaio lingue alla rinfusa, tutte approssimative.
Altro aspetto formale curato con attenzione è la gestione dei modelli letterari. Si è visto come il giuramento dei lavoratori-pirati introduca i codici del romanzo d’avventura, ma nel testo sono presenti anche pagine d’ispirazione realistica o che si rifanno al genere horror (di matrice anglosassone, stavolta Lovecraft), le quali immettono nella prosa elementi surreali. Questa ultima scelta è funzionale alla volontà dell’autore di portare la sua battaglia verbale nel cuore stesso del sistema neoliberale: l’Inghilterra dei primi anni ottanta, quella grigia e dura dell’Iron lady, che Prunetti decide di annoverare tra i personaggi trasfigurandola in forme varie e mostruose; il primo ministro inglese diventa così un “sinistro idolo”, poi un “feticcio”, altrove la “dea Kali”, oppure si cela dietro una “testa di polpo”, manifestando la sua presenza attraverso influssi magici, ma soprattutto con un nauseabondo lezzo che getta il narratore in una realtà altra, in preda ad allucinazioni e malessere fisico.
108 metri aggiunge un altro tassello alla letteratura sul lavoro che dalla metà degli anni novanta si sta producendo in Italia, una ventata di aria fresca che propone un nuovo approccio al tema e nuovi riferimenti, letterari ma non solo, cercando soprattutto di cantare la storia di una classe sociale che non è mai scomparsa, ma che anzi, condivide più di quanto sospetta.
carlobaghetti@univ-amu.fr
C Baghetti è dottorando in italianistica all’Università di Marsiglia