Istruttoria su una sillaba
recensione di Maria Fancelli
dal numero di settembre 2018
Adriano Sofri
UNA VARIAZIONE DI KAFKA
pp. 212, € 14
Sellerio, Palermo 2018
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Soltanto alla fine, nel paragrafo Finestre, emerge quello che forse è il movente più intimo dell’ultimo libro di Adriano Sofri, Una variazione di Kafka. In un poscritto di poche righe, infatti, l’autore parla con trattenuta emozione di un’affinità tra la propria esperienza di detenuto e quella di Gregor Samsa, protagonista del celebre racconto di Kafka Die Verwandlung (La metamorfosi). Se di fronte a questo capolavoro non sono pochi i lettori che, per ragioni diverse, provano analoghi sentimenti proiettivi, Adriano Sofri ha certo qualche ragione in più per riconoscersi fratello di Gregor Samsa e per lanciarsi con tanta passione in una così complicata avventura testuale. Perché lui, con Gregor, ha avuto effettivamente in comune una stanza, una cella, una posizione distesa e le luci sul soffitto.
Dobbiamo tuttavia resistere alla tentazione di seguire il filone autobiografico e leggere invece questo libro nella sua piena autonomia, come un vero e proprio romanzo di investigazione storico-filologica; anche perché è in questa autonomia, nella libertà di racconto e nello spirito di ricerca che il libro ha il suo valore.
Il tema è la storia di una variante nel testo della Metamorfosi che si trova all’inizio della seconda parte del racconto: Strassenlampen nel manoscritto, nella pre-edizione in rivista dell’autunno 1915 e nella prima edizione del dicembre 1915, e Strassenbahn nella seconda edizione del 1917 (1918). Spinto dalla scoperta di un’incongruenza tra la traduzione italiana di Anita Rho e il testo tedesco, Sofri è andato in cerca degli originali, focalizzandosi sulla citata variante, ovvero sullo scarto tra la luce dei lampioni di strada e quella del tram. Da questo nodo è partita la lunga, affascinante e talora estenuante istruttoria sulle peripezie di una sillaba, con spostamenti improvvisi e con ragionamenti che si inseguono nel corpo del testo e nelle lunghe note.
Chi è l’autore della variante? Un anonimo correttore di una casa editrice negli anni di guerra, o è un’altra mano, forse la mano dello stesso autore? Domanda legittima, anche se la variante tramviaria produce un’imperfezione nel coordinamento con il verbo liegen; un’imperfezione che ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore dell’intervento di un correttore anonimo, e ha spinto gli specialisti a porre la suddetta variante sul versante dei numerosi interventi, talora peggiorativi, che costellano la seconda edizione.
Ma Sofri, che di fronte alle due varianti ha avuto subito la percezione di come potevano essere andate le cose, non si è accontentato del silenzio delle fonti e della cautela degli editori che hanno preferito la prima edizione (ovvero Strassenlampen), di cui sappiamo con certezza che l’autore aveva rivisto le bozze. Ha iniziato un lungo viaggio tra filologia (anche Google-Philologie), teoria e pratica della traduzione, toponomastica di Praga, diari e verifiche di vario tipo. Un viaggio con fermate e spostamenti, sempre sostenuto dalla fede nella propria intuizione e dal godimento di chi si sente nel giusto e tiene sempre saldamente in mano il suo paradigma indiziario. Ipotizzando che Kafka avesse invece rivisto le bozze e fosse lui l’autore della variante.
La maggiore novità viene senza dubbio dalla storia comparata delle traduzioni in varie lingue del passo in questione. Con caparbia passione Sofri entra nel mondo confuso delle traduzioni e ristampe della Metamorfosi, dipana ingarbugliati nodi; non può evitare qualche lacuna, come la traduzione italiana di Rodolfo Paoli del 1934. Passa in rassegna figure e fasi culturali di grande interesse a cominciare dalla supposta traduzione di Borges del 1925 alla prima traduzione francese di Alexandre Vialatte, del 1928; entrambe con le luci del tram. Una traduzione che il grande scrittore argentino si lasciò attribuire in una prolungata ambiguità finché alcuni cominciarono a dubitare (in particolare Juan Fló). Di fronte alle reticenze di Borges viene qui ricostruita la figura appartata della vera traduttrice Margarita Nelken, alla quale Sofri dedica pagine appassionate, proponendo perfino un’epigrafe riparatoria.
È stato Kafka
Il filone principale riguarda comunque la benedetta variante delle due edizioni di Kafka e le sue possibili motivazioni. Si deve per questo tornare al punto nodale e avere chiara la scena degli eventi: Gregor, trasformato in scarafaggio, è in posizione distesa nella parte bassa della stanza e vede proiettate sul soffitto e sulle pareti la luce dei lampioni di strada; o invece vede, come nella variante del 1917, i riflessi della luce del tram?
Per Sofri non ci sono dubbi: Kafka in persona è l’autore della variante e, a suo parere, il difetto sintattico indotto dalla stessa variante è in fondo irrilevante; è stato Kafka a correggere il suo testo, sostituendo le luci dei lampioni di strada con quelle mobili del tram. Lo avrebbe fatto per varie ragioni, ma soprattutto per il fascino che questo mezzo di trasporto esercitava su di lui, nella vita quotidiana, nei racconti, nelle lettere, nel racconto stesso della Metamorfosi, dove non a caso, alla fine e dopo la morte di Gregor, la famiglia felice si allontana in tram verso l’aperta campagna. Tutto un vasto complesso tematico conferma la centralità del tram in Kafka, come dimostrano del resto i numerosi studi che Sofri ricorda nella lunga nota a p. 194. Secondo Sofri dunque, all’atto di rivedere le bozze, cosa di cui peraltro non si hanno prove dirette, Kafka si sarebbe ricordato di quel passaggio di luci e avrebbe cancellato gli statici lampioni. La variante era tipograficamente accettabile; e così carica di sensi che non poteva essere di certo la scelta di un redattore qualsiasi.
Questa ipotesi, pur non supportata da dati editoriali certi, risulta a mio parere persuasiva e condivisibile sul piano interpretativo. Le luci di un tram che passa sono oltretutto più vicine al sogno di fuga del prigioniero e al suo bisogno di incontrare esseri umani, che non la luce statica dei lampioni; esse sono certamente più coerenti con il contesto generale dell’opera di Kafka.
Se Sofri ha dunque il merito di aver sollevato la questione e restituito a Kafka la sua probabile variante, i curatori dell’imponente edizione critica non meritano certo quella sufficienza e quell’ironia che ogni tanto spunta dietro ad alcuni ricorrenti omaggi formali. Anche Sofri ha le sue omissioni e i suoi depistaggi. Si deve dire, infatti, che il passaggio chiave dell’interpretazione di Sofri, ovvero la pagina del diario di Kafka del 4 ottobre 1911, nella quale davvero si configura la stessa situazione della stanza buia con le luci del tram e dunque una sorta di prova regina, ebbene questo passo era stato segnalato già da Hartmut Binder nel suo commento del 2004. Sofri rimprovera a Binder di non aver tratto le giuste conclusioni dalla sua lettura delle varianti, ma in realtà è stato grazie alla preziosa indicazione di Binder sulla pagina di diario che Sofri è potuto arrivare alla sua conclusione. Ci è arrivato seguendo un percorso che spesso disorienta per eccesso di indizi, di pedinamenti e di vertiginosi salti cronologici, talora di innamoramento della propria costruzione. Come nel caso in cui l’autore arriva a citare tra virgolette un suo appunto preparatorio; o quando vede davanti a sé i suoi futuri recensori. Più volte il lettore vorrebbe un’esposizione più ordinata dei fatti e una cronologia più semplice da seguire.
Rimane un merito dell’autore quello di aver puntato le luci su una variante significativa e di avere allargato l’orizzonte interpretativo; di avere scritto il romanzo di una sillaba con le risorse di uno scrittore di gialli che sa distribuire gli indizi, sollecitare la curiosità del lettore in un abile gioco di anticipazioni e ritorni. D’altronde, se c’è una ipertrofia del dettaglio, la grandezza di Kafka e del suo racconto è tale da poter sopportare l’oggettiva dismisura di tanta letteratura critica e, dunque, anche il lungo e appassionato accerchiamento di una sillaba cruciale.
mariafancelli@virgilio.it
M Fancelli è professore emerito di letteratura tedesca all’Università di Firenze