Partendo dai detriti delle vite
di Daniela del Pesco
Melania G. Mazzucco
L’architettrice
pp. 568, € 22,
Einaudi, Torino 2019
L’architettrice, ultimo libro di Melania Mazzucco, integra il linguaggio e le cadenze narrative proprie del romanzo con una esatta, ma non pedante, messe di notizie e considerazioni caratteristiche della storiografia scientifica. È un modo di narrare, già sperimentato in precedenza con successo dall’autrice, nei volumi dedicati alla vita e all’opera di Tintoretto (La lunga attesa dell’angelo, Rizzoli, 2008; Jacomo Tintoretto e i suoi figli, Rizzoli, 2009). Il nuovo libro si snoda su un doppio binario temporale. Il primo, trainante, è tessuto dalla memoria di Plautilla, singolare artista nella Roma del Seicento, che intreccia avvenimenti, aspettative e pensieri della sua vita, dai ricordi d’infanzia alla maturità, dal 1624 al 1678. Il secondo è una sorta di controcanto, cadenzato da “intermezzi” che rievocano i tragici eventi che, nell’estate del 1849, segnarono la fine della repubblica romana, la cui difesa estrema si combatté nei pressi della villa del Vascello sul Gianicolo. È questo sito straordinario ad annodare il legame tra i due spaccati temporali: la villa, edificata nel 1662 su un progetto di Plautilla per l’abate Elpidio Benedetti. Il romanzo, quindi, narra due vicende parallele, ma di segno contrario: una, di costruzione e, l’altra, di distruzione e fallimento. La costruzione riguarda Plautilla che, dalla condizione subalterna propria alle donne della sua epoca – in particolare quelle di modesta estrazione – si afferma come pittrice e progettista, superando i condizionamenti e le convenzioni sociali del tempo. Di contro, si consuma la breve stagione della repubblica romana e il fallimento del tentativo di fondare uno stato con una costituzione democratica. Il conflitto tra un universo politico e sociale bloccato da una teocrazia e la prospettiva di assecondare il ritmo del tempo europeo, percorre tutto il libro. Sul fronte della storia, l’autrice, partendo dai “detriti delle vite delle persone”, indizi che affiorano in superfice, ha affrontato una ricerca approfondita e sfaccettata in archivi e biblioteche. Tutti i personaggi, anche quelli minori, sono realmente esistiti. Oltre alla storiografia, arricchita recentemente dagli studi dedicati da Yuri Primarosa a Elpidio Benedetti e a Plautilla Bricci, lettere, inventari, testamenti, censimenti sono stati riletti dall’autrice per capire e descrivere il contesto delle vicende narrate: la vita materiale e i luoghi di Roma, dai quartieri bassi a quelli dell’aristocrazia, sono restituiti persino nel tessuto sonoro, grazie all’uso di un linguaggio che ripropone il lessico e i gerghi dell’epoca, attentamente studiati, così come le attitudini psicologiche e sociali degli abitanti di una città di antico regime in evoluzione.
Plautilla è figlia di Giovanni Bricci (1579-1645), pittore dell’ambiente del Cavalier d’Arpino, autodidatta, compositore dilettante, poligrafo, poeta, “commediante”, curioso dei progressi scientifici, ravvivati dalle esperienze di Galileo Galilei. Dal padre Plautilla acquisisce, più che i rudimenti del disegno e del colorire, un’educazione regolata dall’idea che “esiste anche ciò che è al di là del nostro orizzonte”, idea resa reale dal materializzarsi dell’immagine, inconsueta, di una balena che appare prodigiosamente all’artista bambina e a suo padre nel mare di santa Severa. Questa formazione fu certamente alla base della versatilità dell’artista e del successo che, grazie al sostegno dell’abate Elpidio Benedetti, Plautilla conseguirà nell’ambiente artistico romano, dominato dagli straordinari ingegni di Bernini, Pietro da Cortona e Borromini. Negli anni quaranta Benedetti era stato scelto dal cardinale Antonio Barberini come procuratore del cardinale Mazzarino a Roma, non solo in quanto esperto d’arte, ma anche come abile mediatore nei rapporti tra Italia e Francia. Intorno al 1655, Plautilla diviene l’“artista di Casa” di Benedetti, che, inizialmente, la utilizza per dare forma grafica ai suoi “pensieri” di artista e architetto dilettante. Negli anni sessanta Plautilla giunge al servizio delle famiglie della più potente nobiltà romana, dipingendo quadri di tema religioso e realizzando il suo sogno più grande: diventare architetto. Sarà impegnata nei cantieri di Benedetti alla villa del Vascello al Gianicolo e nella cappella di San Luigi nella chiesa della nazione francese, San Luigi dei Francesi, a Roma. L’evento era eccezionale per l’epoca e richiese l’invenzione di un nuovo termine appropriato, quello, un po’ cacofonico, di “architettrice”. Il voto di castità, imposta dai ruoli di entrambi, non impedì la nascita di un rapporto amoroso tra Plautilla ed Elpidio, una relazione tanto tenace quanto segreta, che è descritta con garbo magistrale.
L’ascesa sociale e professionale di Plautilla, indubitabile, seppure costretta da forti vincoli, si colloca nella tradizione della teocrazia romana che non esclude i ceti inferiori dall’affermarsi in quanto “persone eccellenti”, cioè come artisti, studiosi, attivi in professioni liberali, che consentono l’accesso a un rango sociale superiore a quello di origine.
Le pagine di L’architettrice dispiegano un libro che ne comprende tanti, diversi, riuniti abilmente insieme da un ritmo narrativo e da un tessuto storico brillante e attraente. Si configura una storia declinata al femminile: a fianco di Plautilla si staglia la figura dolente della sorella Albina, sfinita dalla violenza del marito, il pittore Rutilio Dandini, e dalle ripetute maternità; c’è Flavia, sorella di Benedetti, alla quale la clausura nel convento romano di San Giuseppe a Capo le Case offre l’unica possibilità di esercitare la sua passione per la pittura; c’è la madre di Mazzarino, Ortensia Bufalini, assistita fedelmente da Benedetti in una sorta di esilio romano. Un aspetto forte del racconto concerne la vita della famiglia di Plautilla, illuminata dai ritratti vivi dei protagonisti e del funzionamento del mondo familiare dell’epoca. Tutto si svolge in sintonia con l’affermazione di Ortensia Mancini, nipote ed erede di Mazzarino, che la gloria di una donna “è quella di non far parlare di sé”. Questa discrezione sottile e appropriata all’epoca che pervade il racconto fa trasparire, tuttavia, una visione forte, positiva e ancora attuale, perché insita nella lotta per cambiare le regole di una società che rifiuta di riconoscere dignità al ruolo femminile.
La visione poliedrica di Melania Mazzucco restituisce con efficacia la vita quotidiana della Roma barocca, la folla variegata e le attività che animano le strade, i fasti e gli spettacoli promossi dall’aristocrazia, la scena artistica e architettonica come manifestazioni di prestigio sociale, gli intrighi e le miserie di un mondo brulicante, accomunato da una lotta, spesso crudele e violenta, per sopravvivere, per acquisire una posizione migliore o per esercitare il potere.
Il racconto si snoda per immagini di tipo fotografico, progressivamente cinetiche fino ad assumere un ritmo cinematografico, che diviene la cifra espressiva del racconto. La storia si nutre della piacevolezza del romanzo, strutturandosi in sequenze visivamente pregnanti, che alternano il contesto storico con la focalizzazione sui personaggi. Certamente tale risultato non è estraneo all’esperienza di sceneggiatrice di Mazzucco che configura un’umanità vivace, di artisti, cardinali, nobili e faccendieri i cui destini sono commentati da frasi apodittiche disseminate nel racconto. In definitiva: una narrazione storica stringente e colorita che ammalia e informa il lettore.
d.delpesco@gmail.com
D. del Pesco insegna storia dell’arte moderna all’Università di Roma 3