John M. Hull – Il dono oscuro

La transizione dalla luce alle ombre

di Matteo Fontanone

John M. Hull
Il dono oscuro
ed. orig. 1990, trad. dall’inglese di Francesco Pacifico, prefaz. di Oliver Sacks,
pp. 221, € 20,
Adelphi, Milano 2019

Il dono oscuro : Hull, John M., Sacks, Oliver, Pacifico, Francesco:  Amazon.it: LibriNella prima parte della sua vita, l’autore di questo libro dalla copertina nera come la pece è stato un apprezzato studioso e professore di teologia, padre di tre bambini e marito impegnato a far funzionare il proprio matrimonio, a tenere insieme le incombenze e le faccende di ogni giorno. John M. Hull è stato lo stesso tipo di persona anche nella seconda parte della sua vita, ma ha dovuto farlo dopo essere diventato cieco intorno ai quarant’anni. In questo volume dall’impianto diaristico sono raccolti gli appunti quotidiani che Hull ha catturato per tre anni con un registratore vocale, e che oggi costituiscono una testimonianza preziosissima su cosa significhi, per un vedente, passare dall’altra parte. Fin dalle prime pagine, dal primo periodo di cecità quando la cadenza con cui registrava le note era quotidiana, l’autore individua, allinea e definisce le differenze tra queste due condizioni – la vista e la sua assenza, potremmo dire – in maniera radicale e quasi brusca, in ogni caso molto lontana da consolazioni morbide, toni pietistici o ancora peggio motivazionali. Il dono oscuro non è una lettura rassicurante, almeno quanto non lo è entrare negli spazi angusti di un batiscafo e immergersi nelle profondità più buie degli abissi marini. Il cieco, ma soprattutto chi cieco lo diventa, si ritrova suo malgrado esploratore di un universo nuovo, circondato da confini inediti (i tragitti quotidiani che diventano un viaggio avventuroso e pieno di pericoli, il terrore di perdersi dove prima era tutto un automatismo) e minacciato dallo spettro di paure inimmaginabili. Accostandoci a questa stringa ininterrotta di pensieri dettati ad alta voce, abbiamo la possibilità di assimilare nell’arco di poche ore un ragionamento che invece Hull ha dipanato giorno dopo giorno, per tre anni, e che abbraccia ogni aspetto della sua transizione dalla luce alle ombre. Nella sua breve prefazione al libro, Oliver Sacks porta a termine in una manciata di pagine buona parte del lavoro che spetterebbe alla critica, presentando al lettore i nodi più urgenti dell’opera di Hull. Sopra ogni cosa, ciò che fin dai primi giorni di diario appare più evidente – e ingombrante, per lui che doveva farci i conti – è il doppio sguardo maturato dall’autore, che ha una percezione esterna sul mondo là fuori (il suono della pioggia che cade e il suo rifrangersi sui tetti e nei prati, ad esempio, lo aiuta a definire una sorta di paesaggio mentale), e un occhio interno in continuo riassestamento sulla propria immaginazione e sui ricordi.

La cecità di Hull, ed è questo l’enorme motivo d’interesse che rintracciamo nelle sue riflessioni, lo costringe a riformulare completamente se stesso e tutto quello che gli ruota intorno, compito che il professore assolve da buon accademico, con lucidità e metodo analitico, con una scrittura tersa ed esatta. Ciò che innalza Il dono oscuro al di sopra di tutte le altre testimonianze lasciate da individui non vedenti, infatti, è proprio il modo in cui l’intelligenza dell’autore penetra e scava nelle esperienze da lui vissute, comprese quelle più piccole o private, anche nei momenti di sconforto o nelle crisi nervose dovute alla sua condizione invalidante. Quello di Hull è il racconto di un uomo che cade in un nuovo stato di coscienza, dove le proporzioni e i contorni fino a pochi momenti prima familiari diventano inservibili: si tratta di reimparare a vivere facendosi largo nell’oscurità. Le osservazioni di Hull durante questa sua immersione sono così dettagliate e meticolose che, come dice Sacks, esauriscono il ventaglio di interpretazioni intorno a ognuna delle sue pratiche quotidiane: i viaggi, l’ascolto della musica, la carriera universitaria, le relazioni umane con i colleghi, il sesso con la moglie, la crescita dei figli e la naturalezza con cui questi capiscono e assimilano la sua condizione.

La cecità, insomma, in questo libro fa da filtro per raccontare la complessa ricchezza di un’esistenza umana, e questo grazie a una tessitura linguistica decisamente ampia, capace di partire dal repertorio lessicale scientifico e arrivare alla psicologia, di spaziare dall’onirico al racconto sentimentale e intimo di come funzionano i nuovi rapporti in famiglia. Per il lettore che la osserva dalla superficie dell’acqua, insomma, la “fenomenologia” dello stare al mondo di Hull è vastissima. Una delle annotazioni più forti, ad esempio, è quella sui volti delle persone care, che più passano i giorni più si disfano in un ricordo rarefatto, fino a perdere del tutto consistenza. Cosa si prova a dimenticare l’espressione di proprio figlio e della propria moglie? E ancora, che reazione si può avere quando le persone intorno a te parlano come se non ci fossi, soltanto perché non puoi vederle? In alcuni passaggi, dopo le giornate e le registrazioni audio più dure, la voce di Hull è così oppressa e priva di speranza da trasmettere al lettore uno strano senso di claustrofobia, tanta è la compartecipazione nei suoi confronti: è come precipitare in uno stadio dell’essere ormai irreversibile e avere il coraggio di dirselo, senza mezze misure. A parte le ombre, però, il libro di Hull si apre progressivamente a improvvisi squarci di luce, se così si può dire. L’udito, che si sovrappone alla vista e finisce per farne le veci, diventa un senso imprescindibile e sorprendente, almeno quanto i sogni pieni di colore e il tatto con cui scoprire la consistenza e le increspature delle superfici: una somma di capacità che, messe insieme, hanno portato John M. Hull a “vedere con tutto il corpo”.

matteo.fontanone@gmail.com

M. Fontanone è italianista e consulente editoriale