Un melting pot culturale
Intervista a Isabella Ferretti di Ettore Ventura
Continua la rubrica dell’Indice di interviste agli editori indipendenti. Qui un’intervista tratta dallo speciale Più libri più liberi.
Quando nasce il progetto editoriale? Che cosa vi ha spinto a intraprendere questa iniziativa?
L’ispirazione per il progetto imprenditoriale è nata durante un soggiorno di lavoro negli Stati Uniti, dove Tomaso Cenci – co-fondatore della casa editrice insieme a me – e io ci siamo presto resi conto che un progetto che avesse come mercato di approdo l’Italia non poteva essere gestito dagli Stati Uniti. Al rientro dagli Usa, la febbre letteraria non accennava a diminuire, anche perché siamo tornati in un momento in cui si respirava una forte involuzione dallato culturale. Erano i tempi dello slogan “Con la cultura non si mangia”, e così abbiamo deciso di provare a contribuire alla valorizzazione del panorama culturale italiano con un progetto che in qualche modo fosse un ponte tra culture diverse.
Il nome 66thand2nd è molto particolare, qual è l’idea dietro a questa scelta?
Tomaso e io volevamo creare una vera casa editrice, vale a dire un luogo reale – ancorché immateriale – in cui autori e lettori potessero coabitare, parlarsi, riconoscersi. 66thand2nd è un incrocio di strade a New York, in una zona residenziale, densamente popolata da persone di ogni tipo, e dunque un luogo di residenza da offrire ai nostri lettori. Allo stesso tempo, il richiamo a New York è un tributo al luogo che ha ispirato la nostra avventura e che, dieci anni dopo, continua ancora a nutrire il nostro immaginario e contare nelle nostre scelte editoriali.
La casa editrice si interessa principalmente a due grandi temi, lo sport e il melting pot, con le collane “Attese” e “Bazar”.Come mai avete scelto due temi così diversi e quale vi rispecchia di più?
“Attese” e “Bazar” sono due facce di un’esperienza di vita. La permanenza all’estero, non solo negli StatiUniti ma anche in Inghilterra, ci ha consentito di apprezzare modalità di vita molto differenti da quella italiana e di capire meglio come ci si sente quando non si fa più parte della maggioranza. Nella nostra sintesi, lo sport è la lente di ingrandimento della società, di qualunque società. Attraverso lo sport – il tipo di sport praticato, il modo in cui viene seguito, le tifoserie, il business che gli ruota intorno –, si può compiere un corso accelerato in una determinata cultura. Non dico che così facendo se ne capisca tutto, ma è un buon indicatore. A noi interessava offrire al lettore italiano un genere letterario che nessuno mai in Italia aveva proposto in maniera sistematica e che, nel nostro progetto editoriale, ha significato appropriarsi di contenuti e restituirli al pubblico con una connotazione inedita.“Bazar” invece è un inno al melting pot culturale, alle diversità che connettono gli individui, alla inevitabile evoluzione del genere umano verso un esplosivo meticciato culturale. La collana intende proporre ai lettori nuove voci che provengono da luoghi di-versi del mondo e con la loro letteratura rompono gli stereotipi ancora in voga soprattutto nelle società occidentali. Tra i libri di questa collana, quelli scritti da donne sono quelli che riscuotono maggiore successo di pubblico, forse proprio perché nelle storie che raccontano emozioni, lingua e narrazioni sono ciò che conta, molto più della banale provenienza dello scrittore. Nessuno dei due ambiti ha prevalenza rispetto all’altro, ma danno luogo a un’anima composita che riflette il modo di essere contemporaneo. In questa contemporaneità ci riconosciamo molto.
Ogni libro ha un suo particolare progetto grafico, come vengono elaborati?
Quello che abbiamo cercato di offrire al pubblico italiano in questi anni è un’idea di reciproco legame tra contenente e contenuto. Per noi la grafica dei volumi è già un modo di comunicare il contenuto, di creare una unione inscindibile tra il racconto dello scrittore, il modo in cui l’editore lo interpreta scegliendolo e col-locandolo nella propria produzione e la sensazione che quell’oggetto potrà produrre una volta nelle mani del lettore. L’elaborazione è dunque il frutto del confronto tra il grafico, l’autore e l’editore, avendo in mente il termine più importante dell’intera equazione: il lettore.
Il vostro catalogo è ricco e vario, e passa da autori dal calibro di Antoine Volodine, Wole Soyinka e Antonio Muñoz Molina, ad autori esordienti. Come convivono? Attraverso quali canali avviene la selezione degli esordienti?
Convivono benissimo! La forza del progetto editoriale speriamo risieda proprio nell’attività di ricerca svolta dalla casa editrice, che cerca sempre di proporre nuovi autori, lavorando però su di loro in maniera continuativa e non episodica – come nel caso di Salvatore Scibona, Paul Lynch, Miguel Bonnefoy –, vale adire con un progetto mirato a stabilirne la reputazione in Italia. Allo stesso tempo, la casa editrice offre anche ai propri lettori la possibilità di apprezzare talenti già affermati che però presentano caratteristiche di forte sinergia con il progetto editoriale. Per intercettare gli uni e gli altri leggiamo moltissimo e contiamo però ormai anche su una rete domestica e internazionale di addetti ai lavori che ci stimano e ci propongono le cose giuste.
Inoltre, avete pubblicato dei grandi classici, in particolare Fitzgerald, Brussig e Hurston. Quale logica vi guida nelle scelte degli autori e dei titoli da pubblicare?
Direi senz’altro il valore letterario e la coerenza con il progetto editoriale. Un genere come quello della letteratura sportiva, ad esempio, viene da noi presentato in maniera molto connotata: non pubblichiamo qualunque libro di sport, ma ci dedichiamo a un modo di sentire lo sport che ci appartiene e ci distingue. Gli scrittori che scegliamo – e questo vale soprattutto per la produzione italiana in ambito sportivo, dove lavoriamo in gran parte su commissione – sono osmotici rispetto a quel modo di sentire.
La casa editrice ha veicolato scrittori che hanno dato un’impronta fondamentale alla letteratura post-coloniale, come Dany Laferriere o Alain Mabanckou. Intendete proseguire su questo filone? Quali saranno i prossimi titoli?
Si, senz’altro! Abbiamo appena pubblicato Kintu di Jennifer Nansubuga Makumbi, che è stato celebrato all’estero come un equivalente del Crollo di Chinua Achebe per l’Uganda (paese d’origine dell’autrice). In febbraio tornerà anche Alain Mabanckou con Le cicogne sono immortali, seguito del fortunato Domani avrò vent’anni, e pubblicheremo anche Un oceano, due mari, tre continenti di Wilfried N’Sondé, che racconta il viaggio di un congolese alla volta di Roma per ragioni diplomatiche agli albori del colonialismo in Africa. Allo stesso tempo, continueremo a pubblicare autori di métissage – come Madeleine Thien, sino-canadese, e il suo fortunato Non dite che non abbiamo niente –, tra cui segnalo Scusate il disturbo di Patty Yumi Cottrell.
L’ultima uscita è la biografia su Cristiano Ronaldo, Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale di Fabrizio Gabrielli, una figura che difficilmente si presta ad essere il protagonista di un romanzo, forse più da manuale di self-help. Come si differenzia il libro dalle tradizionali biografie dei calciatori?
Si tratta dell’ultima uscita nella collana “Vite inattese”, sì. Con Fabrizio Gabrielli, intendiamo continuare il cammino intrapreso con scrittori come Lorenzo Iervolino, autore con noi di due fortunati volumi: Un giorno triste così felice e Trentacinque secondi ancora, dedicati rispettivamente a Sócrates e Tommie Smith e John Carlos. Nel commissionare i libri di questa collana, chiediamo agli scrittori di immettere nella narrazione una componente autoriale, come farebbero per ogni altro soggetto diverso dallo sport, così da consentire a ogni tipo di lettore – non soltanto al tifoso – di sperimentare le emozioni e i valori dello sport. Ciascuno degli scrittori che accetta di scrive-re per le nostre collane sa che deve dare il meglio e fornire un punto di vista, anche se su un dato campione o evento sportivo si sa già molto. Scrivere di un mito assoluto come Ronaldo, peraltro ancora in attività, è molto difficile perché non è ancora intervenuto il distacco della storicizzazione. Al netto dunque della reazione del tifoso, Gabrielli secondo me ha scritto un libro bellissimo, che offre una visione diversa di Ronaldo e che interessa anche chi non ama il calcio. Una citazione a parte merita però l’ultimo libro uscito nella collana Bookclub, Casa di Foglie di Mark Z. Danielewski. Abbiamo riportato in libreria nella versione integrale un cult book dei primi anni 2000, ascritto al genere horror grazie al generoso sostegno di Stephen King e di Bret Easton Ellis, ma che è senz’altro molto più di questo (e infatti King lo ha definito “il Moby Dick dell’orrore”). Le reazioni fino a questo momento sono state entusiastiche e sembrano confortare la speranza che il libro interessi molto le nuove generazioni di lettori e non soltanto coloro che già conoscevano il testo. Vi sapremo dire… alla prossima intervista!