“I pensieri hanno bisogno di parole. E le parole hanno bisogno di voce”
recensione di Marta Bianco
Sharon M. Draper
MELODY
tradotto dall’inglese da A. Peroni
pp. 249, 13€
Feltrinelli, Milano 2016
Basterebbero, forse, le righe del sottotitolo a racchiudere il senso e l’immensità del libro Melody, selezionato tra i finalisti del Premio Andersen 2016.
Da un po’ di tempo ormai si assiste a una proliferazione di romanzi per giovani lettori che abbiano come protagonisti ragazzi e ragazze con disabilità più o meno gravi e che sono impegnati ogni giorno a guadagnare il loro spazio nel mondo e tra i propri coetanei. E’ un genere, se così lo si può definire, che merita interesse proprio per il bisogno degli adolescenti di mettersi a confronto con storie forti e situazioni nelle quali potenzialmente possano trovare somiglianze e punti di contatto. Soprattutto, la buona riuscita del romanzo si verifica quando scatta l’empatia. E questa con Melody sorge immediatamente.
E’ una bella “sfiga”, come dice lei, non poter camminare, mangiare da sola o essere autonoma quando vuoi andare in bagno. Se a questo si aggiunge la completa impossibilità a pronunciare le parole, il quadro è tutt’altro che promettente. Melody racconta di sé in prima persona e solo arrivati alla fine del libro se ne comprende a pieno il motivo. Partiamo, però, dal principio.
Ha due genitori fantastici, di quelli che affrontano di petto le difficoltà e sanno che per quanto potranno fare, pensare e organizzare per rendere il meno pesante possibile la vita della figlia, niente e nessuno potrà ripararla dagli imprevisti e dalle svolte della vita. Più di ogni altra cosa sanno che la loro bambina non è ritardata come frotte di medici e specialisti si affrettano a concludere. La mente di Melody, infatti, immagazzina migliaia di nozioni e tiene traccia di tutto.
Risultato? Alla soglia degli 11 anni la protagonista è molto di sopra della media dei suoi compagni, quelli che osserva in lontananza nelle ore di ricreazione e nei corridoi della scuola mentre lei e altri suoi “simili” svolgono lezione in un’aula separata e con insegnanti che spesso non si adattano al reale livello di competenze dei propri allievi. Ecco, questo tema emerge forte. I programmi scolastici separati e la mancata capacità di creare dei veri e propri percorsi che sviluppino e potenzino le capacità dei bambini con disabilità mi sembrano argomenti quanto mai attuali e bisognosi di attenzione.
Non stupisce che Melody esulti alla possibilità di prendere parte alle “lezioni inclusive” e di potersi finalmente misurare con i suoi coetanei. Proprio qui, accanto alla gioia e al timore di farsi nuovi amici che la possano accettare così com’è, la ragazza scopre l’esistenza di uno strumento che le consentirebbe di poter comunicare i suoi pensieri. Finalmente Melody può parlare e, cosa non da poco, manifestare finalmente la sua spiccata intelligenza. Decide, quindi, di partecipare alle selezioni per gli alunni più dotati e misurarsi con le squadre delle altre scuole. Qui il ritmo del libro accelera e, a tratti, fa esultare, a tratti anche arrabbiare quando, per esempio, Melody viene “dimenticata” a casa mentre tutta la sua squadra s’imbarca in anticipo sull’aereo che l’avrebbe portata a Washington. C’è tanta forza d’animo in Melody. Una forza che, a ben vedere, si alimenta e scorre negli altri componenti più o meno vicini della famiglia, come l’infaticabile Signora V che aiuta i genitori nella gestione della ragazza e della sorellina minore e la giovane Catherine che affianca la protagonista durante le lezioni.
Il finale non è quello che ci si aspetta. E’ una caduta e al tempo stesso una rinascita. L’importante è avere il tempo e gli strumenti per raccontarla. E ora Melody li ha.
dai 10 anni