di Isabella Adinolfi
Prima della partenza definitiva per il campo di smistamento di Westerbork, il 6 giugno 1943, Etty Hillesum (Diario 1941-1943, a cura di Klaas A.D. Smelik, ed. orig. 2008, trad. dall’olandese di Chiara Passanti e Tina Montone, pp. 922, € 35, Adelphi, Milano 2012), una ventinovenne ebrea olandese, al tempo sconosciuta aspirante scrittrice, oggi conosciuta e ammirata come una delle voci più significative del Novecento, consegnò gli undici quaderni che ospitavano il suo diario a una cara amica, Maria Tuinzing, pregandola di custodirli sino alla fine della guerra e di consegnarli, qualora non fosse più tornata, al giornalista-scrittore Klaas Smelik, affinché questi grazie alle sue relazioni trovasse un editore disposto a pubblicarli. Dopo aver appreso la tragica notizia della morte dell’amica ad Auschwitz, nel ’46 Tuinzing consegnò quindi i manoscritti a Smelik. È così che ha inizio la lunga e difficile storia editoriale dell’opera, che solo quarant’anni più tardi troverà una soluzione.
Nonostante l’indubbio valore artistico del diario (di cui l’autrice era consapevole), i reiterati tentativi di pubblicarlo compiuti da Smelik subito dopo la guerra non furono difatti coronati da successo. Solo verso la fine del 1972 il figlio di questi, Klaas A.D., riuscì a trovare un editore di Haarlem interessato ai manoscritti, Jan G. Gaarlandt, e si dovettero attendere ancora otto lunghi anni prima che una selezione dei testi del Diario fosse data alle stampe con il titolo: Het verstoorde leven: Dagboek van Etty Hillesum 1941-1942 (La vita disturbata: Diario di Etty Hillesum 1941- 1942), De Haan, Haarlem 1981. Un anno dopo, nel 1982, sulla scia del successo ottenuto, venne pubblicata presso lo stesso editore una parte delle lettere fino ad allora raccolte sotto il titolo: Het denkende hart van de barak. Brieven van Etty Hillesum (Il cuore pensante della baracca. Lettere di Etty Hillesum) e nel 1984 uscì, sempre presso la De Haan, un’ulteriore selezione di testi del diario intitolata: In duizend zoete armen (In mille dolci braccia). Su queste parziali edizioni sono state condotte le prime traduzioni degli scritti di Hillesum, comprese quelle in lingua italiana del diario e delle lettere curate da Chiara Passanti per Adelphi, uscite rispettivamente nel 1981 e nel 1986.
Nel 1983 era intanto nata ad Amsterdam la Fondazione Etty Hillesum con l’obiettivo primario di preparare un’edizione critica dell’opera completa che fosse a un tempo scientifica e accessibile al grande pubblico. Grazie all’interesse e al lavoro della fondazione, nell’ottobre 1986 uscì un volume che raccoglieva gli scritti di Hillesum nella loro interezza con il titolo De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943 (Gli scritti postumi di Etty Hillesum 1941-1943), Uitgeverij Balans, Amsterdam 1986. Questo volume è stato ristampato nel 1987 e poi, in edizione riveduta, nel 1991; nel 2002 ne è uscita una quarta edizione, riveduta e ampliata; infine, una quinta edizione, ulteriormente arricchita di alcune lettere nel frattempo ritrovate, è stata pubblicata nel 2008.
È a questa edizione critica che fa riferimento la recente traduzione integrale del Diario di Chiara Passanti e Tina Montone. Grazie al loro impegnativo lavoro ora finalmente anche il lettore italiano può dunque conoscere e seguire meglio l’itinerario esistenziale e spirituale di Etty Hillesum attraverso la lettura del testo nella sua interezza (manca ancora un’edizione completa delle Lettere). Se la precedente selezione ospitava infatti le annotazioni esteticamente più compiute ed efficaci, rivelative dell’eleganza di Etty come scrittrice, grande e di prim’ordine, la traduzione integrale consente invece di cogliere meglio il percorso morale e religioso compiuto dalla giovane ebrea, il suo sviluppo spirituale, il suo lavoro quotidiano volto alla scoperta e alla costruzione di sé. Insomma, quella che Marcel Proust definirebbe la sua “eleganza morale”.
In un secolo devastato da due guerre mondiali e segnato dall’incancellabile colpa della Shoah, di cui Hillesum fu una vittima, la vicenda personale di questa giovane donna ebrea dimostra la perdurante attualità di una scelta etico-religiosa, per la quale è possibile, malgrado la crudeltà e la durezza del tempo toccato in sorte, scegliere se stessi come compito e costruire con paziente applicazione la propria umana dignità, giungendo così a testimoniare la bellezza e desiderabilità del vivere persino nella situazione più umiliante.
All’inizio “prigioniera di un gomitolo aggrovigliato” che da sola non riusciva in alcun modo a sbrogliare, grazie all’aiuto di Julius Spier, suo psicoterapeuta e guida spirituale, e sorretta da una volontà che giorno dopo giorno si fa sempre più forte e salda, Hillesum intraprende un duro percorso alla scoperta di sé, raccogliendosi in se stessa, ricercando il suo vero sé in un’incessante analisi interiore di cui il diario è fedele traccia. In questo processo di introspezione e formazione, che è insieme di ordine estetico, etico e religioso, la relazione anche amorosa con Spier svolge un ruolo decisivo, che solo la traduzione completa del diario, restituendo integralmente i primi quaderni, consente di cogliere e seguire nell’importante fase iniziale (il diario si apre proprio con la minuta della lettera che l’8 marzo 1941 la giovane invia allo psicoterapeuta per chiedergli di prenderla in analisi). Inverando l’insegnamento del prediletto poeta Rainer Maria Rilke, l’amore si presenta infatti per Etty come “un’occasione” unica, se pur “angusta”, per maturare, per prendere forma, per diventare in se stessa un mondo, “un mondo per sé in grazia di un altro” (Rilke, Lettere a un giovane poeta, Adelphi, 1980). In breve, per imprimere una svolta alla sua vita, per riposizionarla in sé e nel suo rapporto con il prossimo, con il mondo e Dio.
In virtù dell’amore, questo cammino di maturazione spirituale si conclude dunque per la giovane ebrea con un netto distacco dall’io, nel senso che, proprio mentre porta a compimento la personalità, supera i suoi limiti, il suo prepotente e inquieto ripiegamento su di sé, e lo rende partecipe dell’esistenza del tutto, culminando in una pienezza di vita, in una generosa visione del mondo, in un’esperienza mistica, capaci di irradiare quiete e infondere coraggio in quanti incontra sulla propria via. La Bibbia e il Corano, insieme agli scritti di Jung e Freud, di Dostoevskij e Tolstoj e soprattutto dell’amato Rilke, sono in un esercizio di assimilazione paziente e feconda i principali interlocutori che hanno reso Etty Hillesum una “fortezza inespugnabile” fin dentro ai campi di concentramento e di sterminio, dove il 30 novembre 1943 ha trovato la morte.
Come sottolinea nella prefazione al volume Edward van Voolen, presidente della Fondazione Etty Hillesum, il modello di autoformazione che la giovane ha messo a punto per resistere e far fronte alla violenza del suo tempo costituisce davvero un modello sempre valido e quindi un prezioso esempio anche per noi, individui di oggi. “La vita di Etty – scrive van Voolen – testimonia che cosa significhi essere e restare umani nelle circostanze più estreme. Questa è una forma di resistenza di fronte alla quale qualsiasi oppressore è impotente. Allora, come adesso”.
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I. Adinolfi insegna filosofia della storia all’Università Cà Foscari di Venezia