di Sara Marconi
In Italia i festival letterari sono nati, come fenomeno, alla fine degli anni novanta. La prima edizione del Festivaletteratura di Mantova, il più noto e longevo, il più ricco di incontri e il più popolare, è del 1997. In origine c’erano autori eccezionali sotto gazebo non sempre solidissimi e con microfoni gracchianti; spesso si finiva a chiacchierare con gli autori davanti a un bicchiere di vino, in un clima familiare che conquistava: oggi è una festa che rivolta come un calzino la città, che ha formato generazioni di volontari, che accoglie ospiti da tutto il mondo. Incontri con autori, reading, percorsi guidati, spettacoli, concerti.
Anche la letteratura per ragazzi ha i suoi festival, e sono sempre di più.
Ciascuno ha le sue caratteristiche; alcuni sono organizzati dalle amministrazioni comunali, altri da associazioni e semplici cittadini, altri ancora da librerie. Alcuni sono molto grandi, coinvolgono bambini e bambine di tutta una regione; altri invece sono piccoli, locali – ma non sempre questi secondi invitano autori locali, anzi: spesso sono l’occasione di incontro con grandi autori provenienti da tutta Italia o addirittura da tutto il mondo.
I festival fanno resistenza attiva, capillare, potente.
In anni in cui i tagli alla scuola e alla cultura sono ininterrotti, anni in cui l’analfabetismo di ritorno sembra produrre danni inequivocabili non solo alle vite dei singoli ma anche a quella del paese, i festival letterari dicono forte alcune verità semplici: i libri sono una festa, una ricchezza, un piacere. Parlare di libri, discutere di storie è interessante e divertente. Ragionare insieme è bello. Le storie e le parole, la bellezza e la meraviglia aiutano a vivere meglio, producono altra bellezza. La cultura non è cosa polverosa e desueta, inutile e improduttiva: è viva, pulsante, affascinante.
I festival di letteratura per ragazzi entrano nelle scuole, coinvolgono insegnanti e studenti, fanno formazione. Mostrano – con la pratica e l’esperienza, non con le parole – che l’educazione alla lettura è materia seria e gioiosa, pilastro centrale della formazione di futuri adulti consapevoli e felici.
Chi di noi ha il privilegio di frequentarli per lavoro, questi festival, ne esce spesso a pezzi, prosciugato dagli incontri e dalle discussioni che durano fino a tarda notte, dai bambini vocianti, entusiasti, dalle domande, dalle corse da un incontro all’altro. E al tempo stesso con un’allegria profonda, l’impressione inebriante che (finalmente!) il proprio lavoro abbia un senso, che ne valga la pena.
Molte nuove idee nascono nei festival. Molti nuovi sodalizi lavorativi, molti nuovi progetti.
Non solo: i festival portano alla luce un lavoro capillare e non sempre visibile, una diffusa ricerca di qualità, di rigore; l’attrice che dà voce ai libri a Venezia, i ceramisti che aiutano a raccontare storie con le mani, la pianista che mette in musica le storie, l’associazione che organizza i laboratori – e poi lettrici per mestiere, bibliotecarie per passione, divulgatori per amore della scienza: un piccolo popolo combattivo e tenace che emerge nei festival per poi disperdersi in tutta la penisola, diffondendo ovunque presidi di bellezza. I festival sono anche il modo di vederlo, questo popolo combattivo, e di fare festa con lui.