recensione di Matteo Moca
Gerald Murnane
Tamarisk Row
traduzione dall’inglese di Roberto Serrai
pp. 308, € 19,50
Safarà editore, Pordenone, 2020
Dopo aver pubblicato Le pianure, adesso Safarà Editore propone un altro libro dello scrittore australiano Gerald Murnane, Tamarisk Row, primo romanzo pubblicato nel 1974 ma, come detto da Murnane, passato attraverso una serie di rielaborazioni notevoli oltre che un processo compositivo di circa dieci anni. La vita di Murnane è abbastanza misteriosa, sappiamo che ha più di ottant’anni e in vita sua non ha mai voluto lasciare l’Australia né prendere un aereo, eppure il suo nome è stato accostato al premio Nobel e ha estimatori di grande importanza in tutto il mondo, come Teju Cole o John Maxwell Coetzee. In Le pianure (sempre tradotto da Roberto Serrai) la scrittura di Murnane spingeva il lettore in un territorio metafisico in cui la concretezza del reale sembrava sfaldarsi attraverso la storia di un regista che cerca il luogo migliore per scrivere la sceneggiatura di un film in grado di raccontare le ambiguità e i segreti delle pianure australiane. La vicenda scorre all’apparenza piana e senza eccezionali spostamenti, ma in realtà il viaggio del regista nasconde una serie di interrogativi che portano a dubitare di tutto ciò che viene raccontato, anche solo per l’estensione vertiginosa delle pianure che lo sguardo non è in grado di catturare, metafora di un’incapacità di comprendere l’interezza che ricorda anche quanto sia difficile possedere la realtà e ancor di più trasferirla sulla pagina di un libro. In Le pianure il territorio geografico si trasforma in testo letterario e gli spazi australiani si fanno così distese immateriali in cui si innesta l’interrogazione dell’autore, territori paradossali che nascondono sempre un significato ulteriore che si rivela, alla fine, inafferrabile.
Tamarisk Row sembra invece un libro che ha una struttura più concreta, racconta una storia vera e propria con protagonisti più definiti e meno eterei e questo si comprende leggendo l’incipit del romanzo che mette in gioco immediatamente l’ambientazione e anche uno dei temi centrali del libro, il rapporto con la religione che avrà risalto importante nella costruzione dell’immaginario del protagonista: «Uno degli ultimi giorni del dicembre del 1947 un bambino di nove anni, Clement Killeaton, guarda per la prima volta con suo padre Augustine un calendario stampato dalla St. Columban’s Missionary Society. L’intestazione della prima pagina del calendario recita Gennaio 1948 e mostra l’immagine di Gesù e dei genitori che riposano durante il viaggio dalla Palestina verso l’Egitto. Sotto all’immagine, la pagina è divisa da spesse linee nere in trentuno riquadri gialli. Ciascun riquadro rappresenta un’intera giornata sulle pianure della regione settentrionale del Victoria e nella città di Bassett dove Clement e i genitori escono di casa e poi tornano percorrendo i viottoli di ghiaia di quarzo arancione». Eppure lo stesso Murnane scrive nella sua Prefazione di come sia stato complesso trovare durante la scrittura la voce del romanzo, arrivando a dire di non essere capace di pensare un «romanzo convenzionale» con personaggi credibili e «numerosi brani in discorso diretto». Qual è allora lo statuto di Tamarisk Row? Che cos’è la storia di Clement Killeaton, il suo interesse e la sua ossessione per i cavalli e le corse ereditata dal padre, l’ippodromo immaginario costruito con ogni dettaglio nella sua mente nel giardino di casa, il desiderio di scoprire il segreto femminile? È, ancora come in Le pianure, il tentativo estremo di trasferire sulla pagina l’invisibile, lo sforzo di rendere nelle storie di personaggi di fantasia il mistero che innerva ogni singola visione della realtà, questa volta attraverso la sensibilità immaginativa di un bambino di nove anni. Murnane insiste proprio sullo scarto che si crea tra il reale e ciò che ognuno vede o crede di vedere giocando con la mente del bambino protagonista, in un movimento che non sembra essere altro che la replica del vagare della mente dell’autore stesso. Tornano in Tamarisk Row i paesaggi australiani e torna, soprattutto, quel carattere geografico mutevole e instabile delle pianure: «Colori troppo variabili per fissarsi nella memoria si sono radunati al confine delle pianure settentrionali, hanno formato insieme mille motivi che subito dopo si sono sciolti di nuovo, hanno assunto per un attimo la posizione fatidica con i suoi al primo posto, si sono ammassati in un gesto disperato simili a un dito puntato dal Nord, poi si sono sparpagliati per non raccogliersi mai più in quel luogo». Straordinario in questo libro è anche il ritratto che viene costruito dell’infanzia, di come tutto passi davanti agli occhi ma non tutto rimanga, di come le domande più spinose e i dubbi irrisolvibili si sciolgano quando uno meno se lo aspetta e di quanto strani e inspiegabili possano sembrare, quasi sempre, gli adulti.
«Credo di aver sentito, fin da subito, che leggere narrativa significava rendere accessibile, per me, un nuovo tipo di spazio» scrive nella sua Prefazione Murnane, donando una limpida visione della letteratura e delle sue funzioni, non quella di conoscere meglio il mondo reale, ma quella di spostarsi liberamente tra luoghi e personaggi provando, in fondo, a conoscersi. Parlando di Tamarisk Row Murnane definisce la narrazione «ponderata» e chiude suggerendo una via per leggere questo libro e sottolineando il potere che hanno le storie: «Di certi romanzi si potrebbe dire che danno vita ad alcuni personaggi. Vorrei che di Tamarisk Row si potesse dire che abbia dato vita al personaggio che ne è responsabile: al narratore attraverso la cui mente il testo viene filtrato».