Autobiografia per immagini d’arte
di Matteo Fontanone
Filippo Tuena
Le galanti
Quasi un’autobiografia
pp. 670, € 32,
il Saggiatore, Milano 2019
In una lettera a Davide Orecchio uscita su “Nazione Indiana” nel 2015, poco dopo la pubblicazione dei Memoriali sul caso Schumann, ( il Saggiatore, 2015) Filippo Tuena annunciava la fine della propria esperienza da autore di narrativa biografica: “altre cose mi premono, più personali, autobiografiche, minimali”. Due anni più tardi sarebbe arrivato Com’è trascorsa la notte (il Saggiatore, 2017), originale metabolizzazione del Sogno shakespeariano; oggi accogliamo Le galanti come il primo tassello di questo nuovo ciclo successivo alla biofiction (ammesso che per la produzione di Tuena dagli scritti su Michelangelo in poi si possa parlare davvero di biofiction, ma trovare un’etichetta esatta è esercizio difficile e, chissà, nemmeno troppo utile). Se da un lato questa corposa “quasi autobiografia”, come recita il sottotitolo, si pone come il rilancio di alcuni dei temi cari all’autore, su tutti la critica d’arte, dall’altro è anche un congedo a quello che è stato, il punto d’approdo finale dei suoi libri precedenti. In uno dei capitoli centrali, ad esempio, Tuena convoca ancora una volta Robert Falcon Scott e ripercorre insieme ai lettori la tragica spedizione del suo Pole Party, in una sorta di omaggio-riassunto che di Ultimo parallelo (il Saggiatore, 2013) conserva intatte tensione narrativa e componente tragica, soltanto condensate nell’immediatezza della forma breve. È un oggetto inconsueto, Le galanti. Autobiografia sì, almeno in parte, ma filtrata da giochi di specchi, poesie della giovinezza tirate fuori dalla polvere, aneddotica appena accennata sulla formazione borghese dell’autore. Soprattutto, però, questo libro è il racconto di una vita attraverso le opere d’arte che più l’hanno accompagnata, tornando di tanto in tanto nelle riflessioni domestiche, nei taccuini, negli eventi fortuiti e nelle combinazioni accidentali che Tuena – questa, forse, la sua vera cifra stilistica – riesce sempre a semantizzare, come se proprio lì, nel caso e nell’indefinito, si trovasse la maglia nella rete che dà accesso a significati occulti, a ciò che la storia ci nasconde o ha dimenticato. C’è un passaggio del libro in cui l’autore visita l’esposizione romana di Barry X Ball, uno scultore che lavora con le nuove, sofisticatissime tecnologie 3D, e all’improvviso si trova di fronte a una riproduzione in marmo nero di quell’Ermafrodito Borghese alla cui storia ha appena dedicato pagine e pagine di coltissime speculazioni. Ecco, è qui che va cercato il senso dello scrivere di Tuena, in quella cesura appena visibile provocata dal laser che taglia la gamba sinistra della statua e prosegue lungo il materasso scolpito da Bernini per il potentissimo cardinale: dopo tanto ragionare sul perché del fremito di quel polpaccio, come se qualcosa continuasse a turbare il sonno dell’ermafrodito nel corso dei secoli, la chiave di volta arriva da un fascio di luce partito per sbaglio nel terzo millennio e giunto fino alla dimensione del mito sotto forma di una vecchia cicatrice che non smette di prudere.
In qualche modo, anche dove sembra più distante, in filigrana c’è sempre l’amore. Quello osservato nelle opere d’arte e quello ricavato dalle biografie dei personaggi protagonisti di questi scritti, quello vissuto in prima persona e quello perduto. Le galanti, per stessa ammissione dell’autore, è una raccolta di addii e ricongiungimenti (lo sguardo di Tuena a volte sembra votato esclusivamente all’individuare i sentimenti e le passioni, le storie che si celano dietro alle figure cristallizzate nell’arte), ma anche di riapparizioni fulminee dal passato, come il biglietto rinvenuto nel 1977 all’interno del corpo imbalsamato di un leone marino in fase di restauro. Era un messaggio di “fratellanza e felicità” scritto da due tassidermisti partigiani, Bertoni e Pascucci, nella Roma del 1944 città aperta eppure invasa dai tedeschi, a poche settimane dalle Fosse Ardeatine.
Troppo facile chiamarla wunderkammer: quella allestita da Tuena è la galleria privata del suo museo della memoria, composta da ritratti e sculture, oggetti e testimonianze, architetture complesse come la Biblioteca Laurenziana di Firenze e libri ingialliti, da affreschi e oli su tela che diventano puzzle da comporre e appendere in casa, come la magnifica Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio. E noi, questa galleria, la percorriamo con la spensieratezza dei tre ragazzi di Bande à part, liberati dalle pretese di esattezza del canone e dall’angoscia dell’ordine cronologico: i capitoli sono montati secondo analogie e associazioni libere, “rizomi”. Si passa dai lavori di Watteau allo studio di Füssli, dalla visita a quello che resta delle rovine di Sparta fino alla coabitazione difficile tra Gauguin e Van Gogh senza mai bisogno di raccordi o cuciture, così, come in un labirinto (quello sul soffitto del Palazzo Ducale di Mantova), figura con cui l’autore definisce il suo eterno girovagare.
Chi sono le galanti del titolo? Pagine sparse, lettere, ombre ed episodi che riaffiorano dal passato e si materializzano a cavallo tra sogno e realtà nella seconda sezione dell’opera, brevissima, un’allegoria in cui l’autore viene scortato di salotto in salotto al cospetto delle sue muse. Galante è l’arte, o almeno lo è stata con lui. Questo libro è l’esito di un dialogo ininterrotto tra le diverse sensibilità di Tuena, che sa essere allo stesso tempo archeologo, saggista divagante, scrittore di letteratura ossessionato dal proprio passato e storico in punta di penna, soprattutto quando si tratta di ricostruire i passaggi di proprietà delle opere dalla loro commissione fino al nostro presente dove tutto è museificato e non c’è più spazio per il collezionismo. Ciò che gli invidiamo è il talento di porre all’arte le giuste domande, di svelare e raccontare i mondi al di là della cornice o del blocco di marmo al cui interno è già presente, anche se in nuce, la scultura. L’esperienza biografica – ricordiamolo: Tuena è figlio di galleristi, con l’arte ci è cresciuto – si lega così all’osservazione e alla critica; la lettura di un’opera figurativa diventa un microfilm, di cui l’attimo ritratto è un singolo fotogramma, una parte che ha un prima e un dopo. Ed è proprio nel prima e nel dopo, quindi in ciò che non ci è dato vedere, che fin da Le Variazioni Reinach (Rizzoli, 2005) si tematizza la ricerca di Tuena, è lì insomma che si definisce il suo rapporto col mondo. La galleria di Ulisse a Fontainebleau, opera di Primaticcio, è un’assenza anch’essa: distrutta e riedificata sotto Luigi XV, raffigurava in un ciclo d’affreschi le avventure dell’Odissea fino al ricongiungimento dell’eroe con Penelope. A partire da una serie di incisioni prese da un olandese poco prima che tutto il patrimonio pittorico della galleria andasse perduto, l’indagine di Tuena sui sentimenti e sugli slanci, sulle motivazioni e sulle paure dei due sposi vivifica il mito, lo scolla dal fondale di una scena già vista e già studiata in abbondanza, lo riduce ai minimi termini – un uomo e una donna, finalmente insieme dopo troppo tempo – e ce lo fa sentire vicino.
È questa sua vena da personal essay che fa delle Galanti un’autobiografia per opere d’arte e non un banale catalogo: la passione di una vita intera messa al servizio della letteratura, per cui la contemplazione del bello, del mito o del perturbante è soltanto il primo passo di un discorso ben più denso. Innestata sull’arte, e sulle ricadute che l’arte ha sull’autore, la letteratura riformula la vita. E Tuena, che come tutti noi è magnificamente assoggettato alle proprie ossessioni, ci racconta la vita nel “margine di variabilità” dello scontro sempre incerto tra passato e futuro, proprio lì dove si insinua la letteratura: cortocircuito.
matteo.fontanone@gmail.com
M. Fontanone è italianista