Debuttanti. Una rubrica sugli esordi | Primo episodio

a cura di Matteo Moca

Con questo pezzo si vuole inaugurare una rubrica che, con una cadenza non definita, prova a effettuare una sorta di carotaggio rispetto agli esordi di autori italiani, segnalando di volta in volta una serie di libri potenzialmente interessanti. Gli esordi, è ovvio, sono molti ogni mese, di conseguenza questo spazio non pretende in alcun modo di coprire l’ampiezza di queste uscite, ma si affida, com’è naturale che sia, alle preferenze e alle predisposizioni di chi scrive. 

 

Germana Urbani, Chi se non noi (nottetempo)

L’immagine di copertina con una fotografia di Ghirri non può trarre in inganno: ritroviamo in questo esordio di Germana Urbani ciò che spesso rimandano alla mente le opere di Ghirri, l’attrazione, in fondo irresistibile, per la provincia e una declinazione dei sentimenti e delle relazioni che muove tra l’amore, l’ossessione, la desolazione e la dolcezza. La protagonista del libro infatti, Maria, viene dal Delta del Po e nonostante riesca a lasciare quei luoghi e realizzarsi nelle città, vive a Ferrara e lavora presso uno studio a Bologna, tutti i fine settimana torna in provincia per raggiungere Luca, con cui ha una relazione amorosa all’apparenza pacifica ma in realtà complicata da diversi fattori. C’è una tensione continua tra la città a la provincia, tra i sogni di realizzarsi lavorativamente, in uno studio dove sperimentare la bioarchitettura, e l’amore Luca, che vive invece a Ocaro, con i genitori, luogo dove i due immaginano di poter costruire la loro casa. E quando Maria sceglierà di abbandonare la vita lavorativa nello studio per un posto nella pubblica amministrazione in modo da potersi ricongiungere con Luca, in un salto temporale di qualche mese che Urbani è bravissima a omettere facendone però sentire tutte le conseguenze, Luca l’ha lasciata. Da questo momento Urbani descrive la caduta della mente di Maria, le sue speranza, l’odio e la depressione, il crollo che giunge quando ciò che ha fatto parte della sua vita fino a quel momento non esiste più, l’amore e il lavoro ottenuto con fatica non sono più nulla. Un romanzo che della provincia emiliana non prende solo l’ambientazione, ma anche i suoi elementi caratterizzanti come la luce obliqua e confinante con l’oscurità che ricorda le fotografie di Ghirri, e non a caso alla piccola Maria il nonno regala proprio una polaroid da cui lei non si separa mai da bambina, e la natura dei personaggi che portano con loro alcuni tic e un’inadattabilità ai ritmi del quotidiano che ricordano i protagonisti di un altro grande emiliano, Gianni Celati.

 

Graziano Gala, Sangue di Giuda (minimum fax)

Sangue di Giuda, il primo romanzo di Graziano Gala, è sorprendente per la sua forza prorompente che porta il romanzo, insieme al suo autore, a un battesimo editoriale che non può lasciare indifferenti. Sangue di Giuda è infatti un romanzo più che notevole non solo per la storia che Gala immagina e costruisce con cura, ma anche per le modalità che vengono utilizzate per raccontare questa vicenda. Ciò che salta immediatamente agli occhi è la lingua scelta da Gala, un dialetto spurio («Chi sta cu mme ‘ntra ‘sta storia» si intitola il prologo del romanzo) che rimanda a quelle lingue del Sud Italia dove le parole assumono un tono ruvido attraverso il processo di spoliazione vocalica: ma l’asperità della lingua non influenza in alcun modo l’andamento del libro, che rimane invece sempre controllato, mostrando la capacità dell’autore di mantenere sempre un equilibrio perfetto. Optare per il dialetto è certamente una scelta coraggiosa, a maggior ragione per il primo romanzo, una scelta che probabilmente risponde anche al desiderio di procedere a una sperimentazione sulla lingua che asseconda la produzione di grandi autori italiani, uno su tutti Gadda a cui il nome del paese dove la storia è ambientata, Merulana, rappresenta un omaggio. Il protagonista di questo romanzo si chiama Giuda, un outsider, o più prosaicamente lo strano del paese, che nelle prime pagine denuncia il furto della sua televisione, il centro della sua esistenza con quelle proiezioni che sono una delle sue poche vere compagnie. Ma per Giuda la televisione non è solo un orpello o un semplice oggetto di compagnia, questa è anche il mezzo di comunicazione novecentesco dove tutto nasce e muore ed è vero perché è lì dentro: Gala ricostruisce questo mondo, passato ma forse ancora contemporaneo, mescolando con gusto ironia e disperazione, la pazzia e la semplicità che abitano i cuori puri.

 

Lorenzo Monfregola, Gli annegati (Il Saggiatore)

La casa editrice Il Saggiatore presenta l’esordio di Lorenzo Manfregola parlando del «Pasto nudo della generazione Erasmus», prendendosi così un rischio importante rispetto alle aspettative del lettore. Ovviamente Monfregola non è Burroughs, e, seppure lo scrittore americano figuri come uno dei riferimenti del romanzo, intelligentemente non lo prova a imitare: Gli annegati però è davvero un esordio folgorante per la sua lingua, per il suo stile e il ritmo forsennato che mantiene intatto per tutta la sua lunghezza senza perdere mai la sua intensità. Il protagonista Arthur Cipriani si ritrova all’inizio del romanzo immerso nelle acque della Sprea, il fiume che divide Berlino: in stato confusionario, Cipriani riesce a uscire dalle acque buie della notte, ricorda il suo nome ma poco altro, per esempio non ha idea del motivo che lo porta ad avere un grosso livido sul corpo. Da quel momento parte una rincorsa folle verso la verità in una Berlino allucinata, acida e forsennata che rimanda alla mente l’incredibile unico piano sequenza del film Victoria (Sebastian Schipper, 2015) con cui condivide l’ambientazione, ma anche i colori e le luci stroboscopiche. Tra le parti più convincenti di questo romanzo ci sono i dialoghi, in cui talvolta vengono mescolate con naturalezza la lingua italiana, quella inglese e quella tedesca, conversazioni spesso allucinate che vengono utilizzati da Monfregola anche per descrivere le condizioni di chi si è trasferito a Berlino in cerca di qualcosa ed è stato accolto o respinto dalla città. Protagonista assoluta è infatti la stessa capitale tedesca, che assurge a strepitoso caleidoscopio le cui forme si distaccano nettamente dalla città turistica e fotografata che comunemente si ha in mente, perché Monfregola ne mostra i luoghi e caratteri più acuminati, pericolosi e, probabilmente, veri.

 

Marco Lapenna, Latitudine 0° (66thand2nd)

Una quête è anche ciò che anima l’esordio di Marco Lapenna, traduttore dal francese, che immerge però a differenza di Monfregola la sua storia nel Messico, quello della capitale, ma anche e soprattutto quello della natura rigogliosa e selvaggia. In Latitudine 0° il protagonista Gaspar Carvajal va in cerca di Nina, la fidanzata sparita mesi prima: l’ultima volta che è stata vista era nello studio di una psichiatra poi barbaramente uccisa da un personaggio disturbante e destinato a tornare, il Russo. Nel romanzo di Monfregola la narrazione è immersa in un’atmosfera allucinata e anche in Latitudine 0° Lapenna sceglie questo tipo di scrittura, che dimostra di saper controllare e calibrare con grande naturalezza: ma dove Monfregola sceglie una realtà che viene deformata attraverso l’invadenza di sostanze sintetiche e artificiali, qui Lapenna opta per un’andatura lisergica che calza perfettamente rispetto alla natura lussureggiante e selvaggia della foresta che ha il suo centro alla latitudine 0° del titolo e che segna il luogo di incontri ed esperienze che non rispondono alla normale percezione del mondo. Un romanzo dai forti richiami alla letteratura sudamericana di stampo fantastico dove il mondo onirico allunga le sue ombre fino a coprire quello fenomenico e fondersi con questo, in una confusione percettiva che sconvolge tanto il protagonista quanto il lettore. La ricerca di Nina, con la donna che sembra rappresentare quell’eterno femminino di cui parla Breton in Nadja, porta Carvajal a immergersi dentro una foresta dove esiste la possibilità di ampliare i confini della coscienza e a conoscere l’esistenza di falle che smontano la realtà che quindi si trasforma pian piano in qualcosa di eccezionalmente nuovo, misterioso e iniziatico.