Risolvere un padre per capire la storia
di Federica Gianni
Davide Orecchio
Storia aperta
pp. 672, € 22,
Bompiani, Milano 2021
“Ma conoscere un padre morto è possibile? Cioè capire qualcosa di lui. Si può? Lasciò, mio padre, milioni di parole. Milioni e milioni di parole. Scritte. Lasciò la sua storia. È stato il suo regalo per chi è rimasto. Un dono pesante che può anche schiacciarti. In una delle foto mi guarda e spara. Sembra sfidarmi. ‘Prova a risolvermi, se sei bravo. Spara prima di me’. Ma come fai a risolvere un padre?”.
Come si fa a risolvere un padre? Si chiede Davide Orecchio in una delle pagine del suo blog letterario. Su questa domanda, lo scrittore ha costruito Storia aperta, la sua ultima, monumentale impresa. Il libro narra la vicenda biografica di Pietro Migliorisi, uomo tormentato che attraversa le tappe più significative del secolo breve. Il protagonista di questo romanzo, infatti, oltre a essere l’alter ego finzionale di Alfredo Orecchio, padre dello scrittore – già comparso in Città distrutte (Gaffi, 2011), opera di esordio di Orecchio – è soprattutto figlio del suo tempo, uno dei tanti personaggi di quel secolo breve ma intensissimo e drammatico che è stato il Novecento. Pietro, infatti, come molti uomini della sua generazione non sfugge al fascismo, ma anzi lo cavalca con convinzione, formandosi e acquisendo una coscienza durante quegli anni. Con la Resistenza arriva la grande frattura, Migliorisi sceglie di rinnegare con violenza la sua anima nera vivendo, fino al resto dei suoi giorni, un’esistenza da compagno devoto ai valori e ai principi comunisti. Eppure l’onta fascista non è una colpa che si liquida facilmente e Pietro, pur essendosi defascistizzato, continua a portare dentro di sé il fardello di essere stato dalla parte sbagliata. Per tutta la vita, si ripeterà nella testa, come una cantilena ossessiva, “non sono fascista non sono fascista ma comunista ma comunista”. Il passaggio, cruciale per l’Italia, dal fascismo all’antifascismo non è solo un fatto storico, ci dice Orecchio, ma una trasformazione complessa che ha lasciato ferite profonde nell’esperienza di chi l’ha vissuto. Per questo la storia d’amore tra Michela e Pietro, fil rouge di tutto il romanzo, è una delle parti più belle del libro. I due si incontrano a Messina, terra d’origine d’entrambi, si amano, hanno un figlio insieme, ma poi Michela lascia Pietro, per la misoginia del marito, per la sua violenza, per l’aver rinnegato il fascismo. Non si rivedranno mai più, Migliorisi perde un figlio e una moglie. Eppure si scrivono per tutta la vita, tenendo aperta questa storia fino alla fine dei loro giorni. La vicenda tra Pietro e Michela, che tra l’altro nasconde una verità che ci sarà svelata solo nelle ultime pagine del romanzo, racconta di un amore impossibile in cui le conseguenze della storia si riversano tragicamente nel perimetro individuale, andando a minare il terreno dei sentimenti.
La vita di Migliorisi è una vita “spezzata”: Pietro lotta, invano, tutta la vita per cercare quello spazio di libertà che è l’intimità. Per paura di elaborare la guerra e la dittatura, quest’uomo tormentato si perde nelle ideologie: quella nera prima e quella rossa poi, perdendo sé stesso. Per questo non riuscirà a tenere insieme la sua vocazione di scrittore con la sua anima comunista. E qui Orecchio ci mostra un’ulteriore componente del Novecento italiano, la società letteraria, realtà tipica di quell’epoca ma, come le ideologie, svanita e impensabile per i tempi attuali. Pietro legge con passione Saba, Sartre, Montale, che stronca ma poi ama. Come lui, gran parte della sinistra della sua generazione legge “l’Unità” e sventola il libretto rosso di Mao, scrivendo sui tasti della Olivetti. Migliorisi si nutre di libri, sì, ma c’è di più: il suo personaggio è costruito attraverso i libri, quelli di Alfredo Orecchio ma anche quelli di altri che con le loro storie di vita hanno contribuito a definire questa figura. Il protagonista di Storia aperta non è, infatti, solo il riflesso distorto del padre dello scrittore ma è un personaggio tipico la cui biografia si mischia, confondendosi, con quella di altre figure del Novecento italiano. Dietro la vita di Pietro si nascondono altre vite possibili.
In questo senso Storia aperta si discosta da Città distrutte. Non solo per quanto riguarda la forma: Orecchio nel suo libro di esordio sceglie per la biografia di Pietro la misura breve, nel caso della sua ultima opera ci troviamo di fronte a un romanzo fiume di oltre seicento pagine. La vera differenza sta soprattutto nella postura dell’autore verso la storia del suo personaggio: in Città distrutte lo scrittore, nel costruire Pietro/Alfredo, si scontrava con una vicenda fatta di lacune e mancanze, in cui maneggiava frammenti, in assenza dell’intero; in Storia aperta l’operazione è per certi versi opposta: la documentazione non è più scarna, la polpa è succosa e Orecchio insiste sui pieni e non sui vuoti, aggiungendo dettagli, valorizzando le possibilità che possono scaturire dal racconto di una vita. La possibilità, il what if, è una prerogativa di tutta l’opera dello scrittore, da Città distrutte fino agli esperimenti fantascientifici di Mio padre, la rivoluzione (minimum fax, 2017) e Il regno dei fossili (il Saggiatore, 2019). In Storia aperta Orecchio utilizza il “cosa sarebbe successo se”, interrompendo la linearità della narrazione per inserire nella storia tre differenti racconti in cui immagina per Migliorisi altrettanti percorsi biografici alternativi. L’autore si domanda cosa sarebbe successo se Pietro non avesse abbandonato il fascismo; o, al contrario, se fosse stato un integerrimo comunista privo di qualsiasi dubbio. E infine, nel capitolo intitolato Pietro il dolce, Orecchio immagina un’ulteriore traiettoria esistenziale possibile per il suo personaggio, cercando di realizzare nella finzione quello che il padre non era riuscito a essere in vita: uno scrittore apprezzato e riconosciuto.
L’autore qui esplora le molteplici potenzialità dell’universo finzionale, creando ucronie dove il tempo della storia viene sospeso per moltiplicare gli scenari verosimili. Storia aperta è un’opera-tempo, Orecchio indaga la temporalità, vecchia ossessione dello scrittore, in tutte le sue diverse sfaccettature. Ma è sicuramente il tempo storico a prevalere (bellissima e potente l’espressione “bambini diacronici’, coniata da Orecchio per descrivere i personaggi del suo romanzo, che attraversano un’epoca e ne vengono attraversati).
Il libro è imbevuto di storia, non solo, come è evidente, per i suoi contenuti, ma anche per il metodo che prevede un rigore ossessivo sulle fonti, tutte riportate fedelmente alla fine del libro nella sezione Materiali (un paratesto che per la sua incredibile ricchezza meriterebbe un approfondimento ulteriore), come se a ogni slancio finzionale facesse sempre da contraltare l’elemento fattuale. Il romanzo si nutre del passato ma è tutt’altro che nostalgico. Al contrario, c’è una distanza tra il narratore e il suo protagonista inaspettata per un libro che ha come oggetto del racconto la vicenda biografica del padre dell’autore. È profondo ed evidente, infatti, lo scarto generazionale tra Alfredo/Pietro, uomo tutto di carta perché immerso in una cultura analogica, e Davide Orecchio, figlio invece di un mondo immateriale e digitale. Sebbene questa storia sia aperta perché il passato lascia sempre le sue tracce nel presente, non c’è alcun rimpianto per i tempi andati, né sentimentalismo; prevale, invece, lo sguardo razionale e lucido di chi sta intraprendendo un percorso conoscitivo. Lo stile, ricercatissimo, riflette la ricerca avviata dallo scrittore, anche se a volte può risultare faticoso, considerando la mole del libro. A ogni modo la fatica è comprensibile e ricompensata, nel momento in cui si scopre il fine ultimo di questa storia: il racconto dell’arduo viaggio verso la verità.
federica.gianni@hotmail.it
F. Gianni è dottoranda in scienze linguistiche e letterarie all’Università La Sapienza di Roma