L’ombra di ciò che non siamo diventati
di Elena Alma Rastello
Christian Raimo
LA PARTE MIGLIORE
pp. 216, € 18,50
Einaudi, Torino 2018
Leda è una psicologa che assiste malati terminali cercando di tradurre in termini comprensibili il mistero della morte, Laura è una diciassettenne in lotta, intelligente e lucida nel modo pungente in cui sanno esserlo gli adolescenti. Sono madre e figlia, e un passo dietro a loro c’è Giuseppe, ex marito e padre rimasto escluso dalla vita al femminile delle protagoniste dopo un incidente che ha coinvolto la famiglia: fa il sindacalista e tenta di tenersi a galla come può, in bilico tra fede e psicologia, tra ricerca e affidamento come tutti. Lo sfondo è una capitale esausta ma viva, dove gli skate scivolano sulle fondamenta di una chiesa iniziata per il giubileo e mai finita per una storia di tangenti; Roma è in ognuno degli scarti che la popolano, non tende mai la mano ai suoi abitanti ma forse insegna loro qualcosa: li educa alla resilienza. È forse innanzitutto di questo che il libro di Raimo ci parla: quella capacità di resistere e reagire alle forze avverse che va sotto la definizione di resilienza, usatissima virtù da apprendere in fretta, senza esitazioni o soste nemmeno per chiedersi quanto sia guasta una società che inviti a resistere a se stessa. Ma se la resilienza è un concetto ambiguo, non c’è luogo migliore di Roma per incarnarlo: qui l’autore vive, opera come assessore al III municipio ma soprattutto insegna, conosce i giovani e riesce a dare voce alla loro intelligenza rivoluzionaria che sfugge alle definizioni, si interroga e sceglie con una consapevolezza che da adulti rischia di sbiadire.
Il romanzo di Raimo, infatti, pone un problema centrale per i giovani, ma anche per il nostro tempo: la domanda su cosa sia il giusto. L’apparente calma controllata della famiglia viene interrotta dall’urgenza di una scelta: Laura è rimasta incinta. “Un aborto si fa, non si pensa”, Leda lo sa, ma si trova nuovamente di fronte all’imprendibilità della vita, ancora più sfuggente quando confina con la morte. Nella necessità di dare un ordine al caos emergono le macerie interiori lasciate dall’incidente in cui è morto Adriano, il primo figlio di Leda e Giuseppe. Proprio quest’ultimo, indirettamente complice di quanto accaduto, inizia a porsi il problema del male colposo, quello che provochiamo senza volerlo ma le cui conseguenze possono essere devastanti: il libro ci suggerisce che è proprio dove non abbiamo controllo che si aprono le voragini, tanto più profonde quanto più tentiamo di colmarle. Affrontare la questione morale, anche e soprattutto in un romanzo, è una presa di posizione coraggiosa in un momento in cui sembra possibile piegare ogni principio alla contingenza e le implicazioni etiche sono contenute e liquidate in etichette come quella di “buonismo”: ciò che Raimo sembra dirci tra le righe è che le scelte che non facciamo ci verranno a cercare sconvolgendo gli argini che abbiamo costruito per contenerle. I dilemmi etici si fanno più forti nei due poli dell’inizio e della fine della vita, tra cui tutto il romanzo si tiene in tensione, ma ci scivolano accanto anche nella vita di ogni giorno (attraverso i social network, per esempio, luoghi di continuo scambio tra affermazione morale e giudizio) e ne facciamo esperienza in modo così pervasivo da non accorgercene più.
In quest’epoca che si autodescrive continuamente c’è un enorme bisogno di libri come questo che, come scriveva Don Milani nell’incipit di Lettere a una professoressa, è innanzitutto un “invito a organizzarsi” contro tutti gli individualismi estetici e morali che fanno rintanare e impediscono il discernimento tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Anche il tempo del racconto, che si esaurisce nello spazio di pochi giorni, ci ricorda che il momento in cui siamo chiamati a scegliere è questo, che la nostra morale si gioca molto di più nello spazio breve dell’esperienza che in quello dilatato dell’esistenza: ciò che scegliamo oggi vale di più del giudizio che qualcuno darà a posteriori sulle nostre scelte.
Parlare di morale, chiedersi cosa è il giusto, farsi tramite per la voce dei giovani e delle donne: le premesse per un libro scritto dall’alto ci sono tutte, ma Christian Raimo riesce nell’operazione opposta: La parte migliore è una battaglia contro il paternalismo. In questo romanzo non c’è traccia di quell’ansia di definire senza interpellare che invece riguarda moltissima parte della narrazione (anche politica) del nostro tempo: La Parte Migliore lascia addosso la speranza che, dopo il declino religioso, il terreno su cui misurarci con un orizzonte morale possa essere la letteratura, la cui vocazione libera e provocatoria interroga chi è disposto a lasciarsi compromettere. Come Laura, che scrive sonetti perché crede nell’ambivalenza di cui è ricca la poesia, mentre all’estremo opposto c’è un mondo degli adulti che si impantana in quel disastro di comunicazione non ambivalente che è il paternalismo. Con la sua scrittura Raimo riesce nel complesso compito di mostrare senza dire, posandosi anche sui tratti liminari dell’esistenza con una delicatezza partecipe ma non pietosa e una scrittura che riesce ad essere presente senza essere giudicante. Se è vero che “la vita di ciascuno di noi nasconde in controluce l’ombra di ciò che non siamo diventati”, il libro di Raimo è l’occasione di scoprire i quesiti che sono stati soffocati dalle soluzioni, illuminando la materia esistenziale che spesso resta nella filigrana dell’esperienza: se di questo compito non sempre riesce a farsi carico l’intera produzione letteraria, possiamo almeno contare sulla sua parte migliore.
alma.rastello@gmail.com
E. A. Rastello è laureanda in letteratura italiana