Autori Vari – Gli insaziabili | Speciale Book Pride

Nelle settimane che precedono Book Pride, la Fiera nazionale dell’editoria indipendente a Milano dal 15 al 17 marzo, la redazione dell’Indice online pubblicherà una breve serie di recensioni dei libri di cui si parlerà nei giorni della rassegna.

Amplesso con cipolla trasparente

dal numero di marzo 2019

di Giorgio Ferri

GLI INSAZIABILI
Sedici racconti tra Italia e Cina
a cura di Patrizia Liberati e Silvia Pozzi
€ 16, pp. 352,
nottetempo, Roma 2019

La prima buona notizia è che questo libro non mantiene le promesse. Non c’è, cioè, il “doppio filo rosso” di cui parlano quarta di copertina e prefazione a unire le due culture in gioco; non ci sono nell’antologia sino-italiana i temi un po’ indigesti di “eros e cibo”. Ci troverete bensì qualche buon racconto, un racconto molto interessante e uno di eccellente fattura: ma soprattutto ci sono (è la seconda buona notizia) le derive schizofreniche delle società italiana e cinese: tanti piccoli io monadici, non più padroni di se stessi, che non si riconoscono nemmeno più. Nelle intenzioni delle curatrici, che ne traducono complessivamente otto, quattro a testa, l’antologia dovrebbe fare accostare la cultura italiana e la cinese, attraverso la letteratura. Di loro ne leggiamo poca, la nostra non la leggono quasi: solo l’élite e solo “Dante, Italo Calvino e Umberto Eco”; cibo ed eros, allora, sarebbero il passepartout e le basi d’appoggio per una lingua ecumenica. Ma non è più così semplice. Più del cibo nell’accezione vitalistica e godereccia, c’è qui il cibo come focus della stortura psichica; come bulimia vera o metaforica. Nel racconto Uova di Laura Pugno, Cati vomita puntualmente dopo ogni pasto; smette solo quando la sua vita diventa normale, cioè perversa, e lo ammette; la psiche della protagonista di Margarita di Ginevra Lamberti è ormai colonizzata quasi per intero dalle leggende, anche sul cibo, che circolano su internet. La nostra è l’epoca del cibo trionfante, in cui dilagano le allergie ai cibi. Basta vedere la lista di alimenti proibiti per la venere sfigurata di Gabriele Di Fronzo in Lo sconosciuto (dietologo e dermatologo non hanno capito che è lo squallore a scorticarla viva). Forse non è nemmeno più possibile parlare di cibo come puro godimento sensoriale. Quando il tentativo è esplicito, infatti, come in Storia di due cucine di Shu Qiao, in cui un improvvido giovane mangia sia al piatto di Mianmian sia a quello di Bingbing (un apologhetto) in un inquietante cortocircuito: “l’arancione brillante del salmone affumicato coricato sulle foglie di erba perilla, in attesa dell’amplesso con le olive nere e la cipolla trasparente”; e quando si propone di svolgere programmaticamente il tema della raccolta, lo stesso tono minaccia il racconto Per amore di Alessandro Bertante, del resto molto lodevole per come indaga la stratificazione di culture (da Manzoni agli idraulici egiziani) a partire da un quartiere di Milano: “Il panino è gustoso e speziato al punto giusto e l’Oriente diventa improvvisamente più vicino, lo puoi annusare”.

Anche l’eros, a ben guardare, è soppiantato dalla pornografia. L’erotismo è un dispositivo che per innescarsi ha bisogno di un accostamento, sempre di due cose. Così l’unica scena davvero erotica la troviamo in Segreti tra le lenzuola di Lu Min. Il protagonista diciottenne è finito in camera con un’attrice smaliziata, che ha sedici anni più di lui. La notte la sente urinare in un pitale a fianco al suo letto, “Nel buio, mi immaginai addirittura lei accucciata con le mutande alle caviglie, i polpacci contro le cosce bianchissime”, e si eccita. Ma la pornografia ha ben altro spazio. Dal catalogo quasi epico delle attrici mandato a memoria dal project manager in Mahjong di Feng Tang alle sevizie inflitte per vendetta in Il banchetto della giustizia e Neoguri di A Yi e Ge Liang. Granchi di Paolo Colagrande è un racconto complesso, una specie di allegoria della scienza della scrittura che meriterebbe una lunga analisi. Ci limitiamo a dire che è il “racconto molto interessante” di cui si è detto in apertura. L’altro, “di eccellente fattura”, è Lo sconosciuto. Una prosa sensuosa e raffinatissima; un lavoro di alta sartoria linguistica che a tratti ricorda, per devozione, un antico maestro cinese.

Nei racconti cinesi troviamo molte delle idee che ci eravamo già fatti su quella società. L’angoscia del lavoro, dove scorre il veleno, e che, per quanto angoscioso, va benedetto perché senza quello la casa sarebbe inacquistabile; l’amore ridotto a strategia di marketing. Ma non c’è solo questo. Ge Liang (come Bertante) parla di immigrazione; dei singalesi, pachistani, filippini, indiani che arrivano a Hong Kong; e dell’impressione che l’indiano, che pure la attrae, fa su Vivian Chan con la sua “folta basetta nera”, perché “Gli uomini stranieri sono tutti un po’ animaleschi”. C’è soprattutto, fra i racconti cinesi, quello di Zhang Yueran, Mille e una sera, che ha due pagine memorabili in cui davvero si incontra un’intelligenza di segno diverso rispetto alla nostra. È la cronologia, a ritroso, che la chiaroveggente fa della vita del vecchio Du Zhong: dai quarantadue anni ai diciotto. L’espediente di presentare prima gli effetti e poi le cause nella sua parabola disgraziata scuote le nostre disamine logiche abituali e la sicumera con cui giudichiamo, lasciandoci un’impressione profondissima e dandoci in qualche modo una lezione.

giorgio.ferri@live.it

G. Ferri è traduttore e lettore editoriale