Un’introduzione di Elisabetta d’Erme al Primo Piano del numero di aprile, dedicato alle donne e all’Iliade. Trovate le tre recensioni in coda all’articolo.
di Elisabetta d’Erme
Anche gli eroi hanno bisogno degli oracoli: che poi non siano in grado di comprenderli è un altro discorso. Cassandra era una sacerdotessa di Apollo ma nessuno la capiva o, se la capivano, non le credevano. Si dice che parlasse una lingua simile a quella degli uccelli. Forse la stessa che udiva lo shell-shocked Septimus che, in Mrs Dalloway di Virginia Woolf, ascoltava uccelli “che cantano in greco”.
“Il segno del passaggio dalla sfera divina a quella umana è l’oscurità del responso, il punto cioè in cui la parola, manifestandosi come enigmatica, tradisce la sua provenienza da un mondo sconosciuto”, scriveva Giorgio Colli in La nascita della filosofia. Di diverso parere era Christa Wolf: per la sua Cassandra i vaticini non hanno niente di divino, ma sono sempre su commissione, delle case reali, di chi paga, di chi ha il potere. Storie, vicende dell’antichità e l’eterno mito della guerra di Troia ruotano attorno ai responsi oracolari, preferibilmente di Delphi, ma di oracoli la Grecia ne era piena. Fu il troiano Calcante, che passò al nemico e vaticinò la necessità che Agamennone sacrificasse sua figlia Ifigenia per placare Artemide che, offesa da un suo insulto, aveva scatenato una tempesta e minacciava di distruggere la flotta dell’armata greca. L’oracolo pone sempre di fronte alla crisi di una scelta foriera di cambiamenti (“and lean-looked prophets whisper fearful change” scrive Shakespeare nel Riccardo II), ma Agamennone non ci pensa su due volte, manda a chiamare Ifigenia con la scusa che avrebbe dovuto sposare Achille. La ragazzina abbandona fiduciosa Micene, arriva al campo greco in Aulide con la madre, e lì viene sgozzata come un capretto mentre maledice il padre e tutti i suoi uomini. La tempesta si placa, ma non l’odio di Clitemnestra per il codardo, tracotante, ottuso Agamennone.
Già che c’era Calcante avrebbe potuto anche predire che dieci anni dopo, una volta finita la guerra, Clitemnestra avrebbe ucciso il marito e che a sua volta Clitemnestra sarebbe stata uccisa da suo figlio Oreste con la complicità della sorella, Elettra. Essenzialmente storie di famiglie disfunzionali quelle narrate da Eschilo, Sofocle e Omero, per questo attuali come non mai, avvincenti più di un fatto di cronaca nera. Storie che vengono rinarrate da secoli. Ora lo ha fatto lo scrittore irlandese Colm Tóibín in La casa dei nomi (Einaudi, 2018), dove rilegge la tragedia degli Atridi in chiave omo-erotica, o la scrittrice inglese Pat Barker con il romanzo Il silenzio delle ragazze in cui racconta la guerra di Troia da un’ottica femminile, ovvero dal punto di vista di Briseide, moglie del re di Cilicia, fatta schiava da Achille come bottino di guerra. La storia dell’Iliade ci viene riproposta tramite i suoi occhi, la sua pelle, le sue umiliazioni. E cosa sarà a scatenare ancora una volta l’ira funesta del Pelide Achille se non le nefande conseguenze dei capricci di Agamennone? Pat Barker, che con la trilogia Rigenerazione si è fatta un nome come esperta della Grande guerra, ora ricostruisce la guerra delle guerre, quella Troia. Così vediamo la bella Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo, fatta prigioniera da Agamennone, e quando Crise lo prega di restituirgli la figlia, il capo degli Achei è così stolto da insultarlo e scacciarlo. Umiliato il sacerdote e offeso il dio, Apollo si scaglia contro Agamennone, i suoi topi portano la peste e seminano dolore e morte tra i guerrieri achei. Briseide e le schiave troiane devono curare i malati, soddisfare le voglie di chi è ancora sano, cucinare, pulire, tessere le stoffe per gli abiti dei soldati.
La peste fa più vittime della guerra. Viene di nuovo interpellato l’oracolo, sempre Calcante, che non può far altro che rendere palese la vendetta divina. Agamennone infine cede, restituisce Criseide al padre, ma in cambio vuole una sostituzione, il bottino di un altro dei capi achei: la schiava di Achille. Briseide non s’era certo affezionata al suo padrone, che chiama “la bestia”, ma aveva stabilito con lui uno strano rapporto, perché ricordava all’eroe sua madre, la ninfa Teti. Achille cede la schiava a Agamennone, ma per poco, perché per ripicca smette di combattere. Sarà solo dopo la morte del suo amante, Patroclo, che in una furia sovrumana Achille tornerà sul campo di battaglia per uccidere Ettore e farne scempio, ma anche lui verrà ucciso dopo esser stato tratto in inganno dai figli di Priamo, Polissena e Paride. In La casa dei nomi Tóibín racconta invece la fine per mano di Clitemnestra dello spregevole Agamennone e della sua ultima preda, la veggente Cassandra. Storie mozzafiato, da secoli, nonostante tutto. Non si potrà però essere mai abbastanza grati a quella divinità che impedì a Christa Wolf d’inserire dialoghi nella sua Cassandra. Peccato che nel frattempo gli dei siano morti, e anche i loro oracoli.
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