recensione di Alessio Rischia
Amélie Nothomb
Luccicante come una pentola
trad. dal francese di Federica Di Lella
pp. 112, € 14
Voland, Roma 2022
Delle sue numerose fotografie che possiamo trovare sul web, ce n’è una che attira particolarmente l’attenzione: Amélie Nothomb seduta sulla scrivania nel suo bureau parigino presso la casa editrice Albin Michel. A guardarla, ci si sente sovrastati dal proliferare caotico di pacchettini sparsi qui e là, fogli impilati l’uno sull’altro, scatoloni ricolmi, post-it affastellati un po’ ovunque. Una sorta di Babele in miniatura eretta su colonne pericolanti di libri, dove ogni oggetto sembra vivere in un equilibrio precario. Assediata dalla monumentalità di questo disordine, Nothomb sembra trovarsi a proprio agio, pronta a rispondere “rigorosamente a penna” (come riferisce Daniela Di Sora, direttrice di Voland), alla pila di lettere che riceve quotidianamente dai suoi ammiratori. Eppure, in questa immagine c’è una cosa che non può sfuggire allo sguardo dell’osservatore più smaliziato: l’assenza di un computer. Come sanno i suoi lettori, la scrittrice non possiede neanche uno smartphone. Un problema di non poco conto per chi volesse farle un’intervista a distanza. Per fortuna, la direttrice di Voland si è offerta di inoltrare il file word: gli uffici di Albin Michel hanno provveduto successivamente a stampare la mail, consegnarla e infine rinviare il materiale: «un sistema perfettamente rodato». Ed eccola, dunque, Amélie Nothomb, sulla sua scrivania, penna alla mano, immersa nel suo caotico studio, intenta a risponderci. Potete immaginare la mestizia provata quando, a un paio di queste domande, già di per sé esigue, le risposte si limitavano ad un laconico “Oui”. La scrittrice cerca di dedicarsi a tutte le lettere che riceve ogni giorno: comprensibile, quindi, una certa essenzialità nelle risposte.
Nothomb e Voland ci regalano, comunque, l’occasione di riscoprire la sottile magia di un libro quasi dimenticato. Cinque racconti brevi, di cui uno inedito, nella elegante traduzione di Federica Di Lella. Spinta dalla consapevolezza che questi racconti avessero qualcosa che oltrepassava la dimensione infantile, Nothomb ne propone la ripubblicazione: “Penso di aver finito col capire che questa raccolta rivolta ai bambini, fosse piuttosto destinata agli adulti. Volevo rieditarla per verificare questa presa di coscienza”. In Leggenda forse un po’ cinese, il giovane principe Pin Yin trascorre con indolenza le estenuanti giornate al Palazzo delle Nuvole, circondato, ovunque, dalla bellezza. Che noia! sembra gridare. Obbligato dalla legge a prendere moglie, inizia così la ricerca della dama più brutta di tutta la Cina. Se nella novella che apre la raccolta ci sembra di percepire un’eco baudelairiana – “ai flâneur annoiati per i quali l’eccessiva bruttezza procura qualche momento di distrazione” –, il successivo Di migliore qualità si avvicina, invece, alle atmosfere di Edgar Allan Poe. Il protagonista si è dato all’omicidio seriale “tanto per fare qualcosa”. Casalinghe rimediate nei parcheggi dei supermercati, cameriere sottopagate che lavorano in squallidi ristorantini di periferia. Solo donne, ovviamente, per quella “inspiegabile sensazione di essere un Don Giovanni”. Nonostante l’amore incondizionato che Nothomb prova per i due Maestri, scrive di non essersi ispirata a loro volontariamente: “Non c’è compagnia migliore, ma non si può volerla: sarebbe pretenzioso. Il massimo che si possa fare è profumarsi l’anima rileggendo Poe e Baudelaire”.
Una raccolta infantile, ma solo per quel puro piacere, entusiastico e disinteressato, di narrare delle storie. Matura, invece, per tutti quegli echi della grande letteratura francese che riverberano tra le sue pagine, in cui filtra un imperativo morale: tutto pur di fuggire la noia. Perché nelle impetuose onde dell’immaginazione, non solo nulla è bandito, e tutto è possibile, ma la bruttezza, la disarmonia, finanche le vertiginose voluttà del male, vi trovano un luogo sicuro in cui albergare. “Sì, è così – ci risponde Nothomb – riuscire a non abolire nulla e a godere di tutto, persino la bruttezza, persino il male”. Solo l’arte, ci dice, può regalarci una tregua momentanea dalla noia. Ma è solo una finestra temporanea su quella piccola porzione di cielo dove non subiamo gli assedi della realtà. È quello che scoprirà Ondine, protagonista di Water Music, il racconto inedito rispolverato da Nothomb. “È qualcosa di antico, non rimaneggio mai un testo”. Nel nome è già inscritto il destino della bambina: “vorrei essere libera come l’acqua”. Eppure, nel deserto glaciale dell’Antartide, privo com’è di ogni elemento liquido, questa libertà le è fatalmente preclusa. Scoprendo le zampillanti dolcezze della musica di Händel (Water Music), la piccola riuscirà infine ad aprirsi un varco su un altro mondo: “Subito tutte le meraviglie dell’acqua inondarono la stanza”.
Alessio Rischia è dottorando di letteratura francese presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.