recensione di Matteo Moca
Alessio Torino
Al centro del mondo
pp. 264, € 18,50
Mondadori, Milano, 2020
In Tetano, romanzo del 2011 pubblicato da minimum fax, Alessio Torino aveva raccontato l’universo di un gruppo di adolescenti nella profonda provincia dell’Italia centrale, tra l’Umbria e le Marche, intorno ai rilievi dell’Appennino, riuscendo a tratteggiare con estrema accuratezza e spessore narrativo come si cresce nella provincia, come i sogni, quali quello dei protagonisti, appaiano tanto ingenui quanto possibili e le sofferenze ammantate da un alone ancestrale e confuso che solo l’infanzia e l’adolescenza possono costruire. Da quel romanzo, e passando dalle cronache di Urbino, Nebraska, Torino è giunto adesso al nuovo romanzo Al centro del mondo, edito da Mondadori, un libro che sancisce un’ulteriore crescita che lo conferma come uno degli scrittori più attenti e intelligenti della sua generazione, sicuramente tra i migliori. In Al centro del mondo i luoghi dell’ambientazione hanno ancora un carattere fondamentale: la bravura di Torino infatti è quella di fondere atmosfera e narrazione in un unico universo nel quale non è poi più possibile individuare confini certi, e stavolta la vicenda ruota attorno a Villa la Croce, borgo emblematicamente soprannominato “Villa dei Matti” («Lì da voi c’è qualcosa che non va» dicono a scuola al protagonista), ancora come in altre sue opere nel pieno del territorio marchigiano da cui proviene.
In questo luogo si svolge la storia di Damiano, che lì vive assieme ai nonni e allo Zio Vince, il «Gorilla», immerso nella produzione del miele prodotto dalla sua famiglia dal valore quasi miracoloso secondo gli abitanti dei dintorni, ma soprattutto investito da una sensibilità che poco ha a che fare con la normale percezione del mondo intorno. Damiano sembra infatti essere unito alla natura da un filo tanto invisibile quanto resistente e come un novello oracolo è in grado di interpretare l’invisibile, i suoi movimenti, il suono degli animali e i rumori delle stagioni, tutte sensazioni fugaci e continue che si trasformano in presagi pericolosi e malvagi, perché tale è la natura umana che assume i molti volti del «Demonio». Damiano, anche grazie a questa sua capacità di leggere il mondo, si accorge che la famiglia sta per vendere la terra e la decisione sembra ormai presa alla morte della nonna Adele (anche nel momento della morte della nonna Damiano sente il richiamo dello natura, irresistibile e antitetico rispetto alla fine biologica della vita: «Damiano seppe subito che non sarebbe mai potuto rimanere nella camera della nonna ad aspettare il suo prossimo respiro. Sentì il merlo che cantava e scese giù»). Ma vendere il terreno vuol dire anche condannare la natura che si muove attorno ai luoghi della sua vita, condannarla probabilmente al degrado e alla perdita della sua magia. Così Damiano proverà a combattere questa battaglia (in particolare contro un gruppo di stranieri che lì vogliono stabilirsi) per conservare la natura e la memoria di una famiglia che ha imparato a conoscere il dolore e a serbarne la memoria, con la sicurezza della propria innocenza. Non è un caso infatti che Damiano legga il romanzo postumo di Melville Billy Budd, in una copia annotata dal padre, che si è impiccato a una quercia della loro tenuta, copia su cui però non trova alcun segno nelle pagine che raccontano l’impiccagione del protagonista: come Billy Budd, innocente e puro, ma costretto a perire per le regole imposte da una società ingiusta, Damiano si sente mosso da una forza morale profonda e inarrestabile che non gli permette di accontentarsi di compromessi e lo spinge solo a una lotta continua e faticosa che talvolta lo conduce in territori prossimi anche alla follia.
In questa splendida narrazione dei rapporti di forza che legano un uomo ai suoi luoghi e alla natura che li compone, nei tic degli anziani che si muovono attorno a Damiano e nelle radici profonde di un mondo la cui natura pare spesso sfociare nel mito (con un’ispirazione che sembra riconducibile alle pagine pavesiane), il romanzo di Torino stabilisce un dialogo profondo, ma originale, con la sacralità pagana che abita le pagine di William Faulkner sul Mississipi e l’Alabama, e costruisce il racconto di un mondo arcaico, e forse oggi nascosto, quanto mai necessario.