di Matteo Moca
Alessandro Gazoia
Tredici lune
pp. 198, € 15
nottetempo editore, Roma, 2021
Il 2020 è stato l’anno in cui abbiamo cominciato a vivere un evento dalla portata enorme e in grado di cambiare in maniera permanente il nostro approccio al mondo, un frangente che ha portato molti scrittori a riversare in numerose pagine le loro riflessioni: sono infatti stati scritti diversi libri incentrati su come sono trascorse le settimane di reclusione dal mondo con la sensazione della fine alle porte, riflessioni spesso autoriferite ed egocentriche incapaci di consegnare al lettore un’interpretazione più accurata e ordinata di tutto quello che è accaduto, o semplicemente di trasferire sulla pagina pensieri in grado di fornire nuove visioni del reale. Poche sono state le eccezioni (tra le quali si segnala In occasione dell’epidemia di Francesco Cataluccio pubblicato da Casagrande), e tra queste si può certo annoverare l’esordio romanzesco di Alessandro Gazoia, Tredici lune. Gazoia si sfila da quello che il protagonista del suo romanzo chiama ambulance chasing riprendendo il modo in cui, nelle serie tv americane, ci si riferisce agli avvocati cinici che aspettano al pronto soccorso le vittime per trasformarle in clienti, perché Tredici lune è un libro che nasce durante la pandemia ma che con intelligenza non si abbandona esclusivamente al suo racconto, preferendo lavorare con gli strumenti che uno scrittore dovrebbe saper adoperare, le storie, per costruire una narrazione che da lì muova per guardare oltre. Tredici lune è un romanzo che assume una prospettiva ben precisa, che mantiene le distanze pur rimanendo centrato sull’evento, concentrandosi su cosa questo momento eccezionale ha significato immergendosi nel clima e nel vociare di quei giorni per uscirne però con uno scarto, provando a fare ordine e i conti con quello che è successo, nell’attesa di affrontare il futuro.
Tredici lune inizia con il protagonista, Ale, un editor, che sta trascorrendo un weekend con Elsa, la donna di cui è innamorato e per la quale la sua quotidianità sta iniziando ad assumere alcuni nuovi caratteri, con riti e oggetti ben precisi (dalla tisana a letto allo yogurt greco nel frigorifero). Ma siamo all’inizio di marzo 2020 ed Elsa, che è arrivata con il suo trolley da Napoli, deve tornare a casa, dai suoi genitori anziani, prima che la situazione non glielo permetta più: così, lasciando un paio di maglioni a casa di Ale («anche questo lo fa per la prima volta, così il trolley si chiude meglio. Li metto in un armadio, ogni giorno li tirerò fuori, non devo sovrinterpretare come al solito, lo ha fatto per chiudere meglio il trolley, me lo ha pure spiegato ed è un gesto che esiste nel momento, il suo significato si rivela e realizza lì»), riparte con un Intercity alla volta di Napoli. L’intreccio è dato da questa storia d’amore interrotta dalla distanza, ma l’impressione è che, nulla togliendo alla funzione letteraria di questa storia, l’innamoramento di Ale funzioni anche come un pretesto per potersi muovere con lucidità tra gli effetti, sentimentali e psicologici prima di tutto (i dubbi sulla relazione, la sofferenza per la sua possibile fine, ma anche l’ossessione per la pulizia della casa e del corpo), ma anche lavorativi, del lockdown dello scorso anno. Se volessimo trovare i nuclei principali di questo romanzo, che non è semplice definire tale anche per la sua struttura (per esempio i vari capitoli sono intervallati dalle Microdemie, serie di piccoli racconti che il narratore scrive durante il lockdown), questi sono la pandemia come lente per leggere in maniera diversa e più centrata il nostro tempo, l’amore, non solo la storia con Elsa, ma una più generale sua fenomenologia che trova varie declinazione tra cui l’affetto per il padre morto e per la madre anziana con «patologie pregresse», e, infine, il mondo editoriale. Perché il personaggio di Gazoia è, come Gazoia stesso, un editor, lavora con i libri e vive attraverso questi: ma il sogno di poter lavorare su grandi capolavori si infrange nelle ripicche di uno scrittore non particolarmente dotato nelle storie, nelle preoccupazioni di un altro per il libro che esce, o dovrebbe uscire, in piena pandemia, nell’idea di trasformare un libro sull’Atalanta in un libro sulla Bergamo bersagliata dal Covid 19 oppure nel lavoro oscuro, ma ben remunerato, del ghost writer per epidemiologi (come Elsa, anche se il libro non andrà a buon fine) o per politici (un sindaco che ci tiene a far credere che il libro sia del tutto opera sua e quindi non vorrebbe il nome del ghost in copertina ma solo nei ringraziamenti). Il ritratto dello stato di salute del mondo editoriale italiano pare essere preoccupante, ma nel gioco narrativo di Gazoia, che inserisce nel romanzo se stesso e la negazione di se stesso, la struttura romanzesca e una sua demolizione, tutto è il contrario di tutto e il libro stesso che abbiamo tra le mani diventa testimonianza dell’impegno dello scrittore e di quanto ancora la buona letteratura possa sopravvivere anche ai tempi più nefasti.
Un anno con tredici lune è il titolo di un memorabile film del regista tedesco Fassbinder, che negli istanti finali della sua opera svela cosa questo significhi: «ogni settimo anno è un anno lunare, in cui un numero particolarmente elevato di persone soffre di depressione. Ma quando un anno lunare è anche un anno con 13 lune nuove, come il 1978, si verificano tragedie personali». Inutile dire che l’influsso di un anno con tredici lune sembra essersi sentito con una certa potenza nel 2020, ma la scelta di dare questo titolo al libro è anche simbolo di come, attraverso la sofferenza, il ragionamento e le difficoltà, i frammenti di un’apocalisse che ha ancora da passare possono trovare una loro forma, fatta di riflessioni sui sentimenti, la letteratura e le parole.