di Giulia Baselica
Tra i meravigliosi itinerari che Angelo Maria Ripellino ci invita a percorrere nella sua opera immensa ed eclettica, alcuni luoghi, in particolare, esercitano la potente attrattiva generata dal suo stesso sguardo ammaliato. Ripellino è il “viaggiatore incantato” di leskoviana memoria, appassionato scopritore di nuove contrade della letteratura o di loro inedite prospettive. Dopo di lui Praga è magica per antonomasia. “È un antico in-folio dai fogli di pietra, città-libro, nei cui libri resta ancora tanto da leggere, da sognare e da capire”, e il cui genius loci, proprio di una “città di miracoli creata per la poesia” dona ispirazione artistica a scrittori, poeti, pittori – da Kafka, Hašek e Nezval; a Marten, Jiránek, Mrštik; da Čapek, Kupecký, Šíma, a Linhartova, Hrabal, Werfel. Personaggi della sua “Praga magica e picaresca, della compagnia di alchimisti, di astrologhi, di manichini, di odradek che vi tiene spettacolo” in uno scenario urbano dalle geometrie precise e tuttavia avvolto da una nebbia fluttuante che annulla i contorni e che rinvia ai vuoti della memoria. È lo stesso Ripellino a definire il suo celeberrimo Praga magica: “dittamondo praghese […] libro sconnesso, sbandato, a frastagli, scritto nell’insicurezza e nei mali, con disperaggine e con pentimenti continui, con l’infinito rimorso di non conoscere tutto”.
Di magia ingannevole e illusionistica è invece espressione Pietroburgo che, avverte lo studioso (“Pietroburgo”: un poema d’ombre), “si profila dalle pagine degli scrittori russi come assurda città di incantesimi”. Rivelatrice dell’insussistente mito della Palmira del Nord è, soprattutto, la visone dostoevskiana: “dietro il falso fulgore di facciate maestose, dietro gli arcigni arabeschi delle architetture formicola un delirante tracciato di vicoli, di casamenti muffiti, di straducce contorte, di bische, di cloache, di bettole, di trattorie dozzinali”. La città di Pietro mostrerà un simile volto sul finire degli anni Venti, nella poesia di Nikolaj Zabolockij: “ambienti muffiti e pulciosi che sanno di gatto e di rancido”. Nella visione di Andrej Belyj la capitale petrina è invece reificata nel romanzo Pietroburgo, una città “avviluppata in un fittissimo velo di gialle e sudice nebbie”, dove gli esseri umani diventano ombre e dove svanisce ogni confine tra delirio e realtà, mentre per il poeta Aleksandr Blok è “miraggio palustre, impalcatura illusoria”.
Diversa ancora è la Pietroburgo dei salotti animati, tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento, da poeti, filosofi e dignitari ecclesiastici “per dibattere in dispute ardenti, impetuose problemi liturgici e confessionali”. Tre luoghi, in particolare, disegnano un peculiare itinerario nella topografia della Pietroburgo decadente e simbolista (La letteratura come itinerario nel meraviglioso): il Litejnyj prospekt con il palazzo Muruzi e il salotto di Dmitrij Merežkovskij e Zinaida Gippius; l’isola Vasilevskij e l’edificio della scuola elementare, nel quale abitava l’ispettore e poeta Fёdor Sologub; la via Tavričeskaja, nota per la Torre: al sesto piano, in un ampio appartamento, il poeta Vjačeslav Ivanov accoglieva poeti, artisti, filosofi e intellettuali. Da mezzanotte all’alba si discuteva di simbolismo, misteri ellenici, di anarchia mistica. Terminate le accese discussioni, si declamavano poesie.
Roma, infine, è la città in cui, per lunghi anni, fra il 1837 e il 1847, soggiornò l’ammiratissimo scrittore e drammaturgo Nikolaj Gogol’. Ripellino la evoca, per esempio, nella recensione E Čičikov cadde in ginocchio (Iridescenze) alla corposa biografia, Gogol, che Henri Troyat dedicò allo scrittore ucraino. Lo studioso si sofferma su un dettaglio riportato in una lettera, appunto scritta a Roma nell’aprile del 1838: “il desiderio di trasformarsi in solo naso, senza braccia né gambe, per aspirare gli effluvi di primavera”. Il dettaglio evocato sintetizza mirabilmente il sensuale rapporto fra l’autore delle Anime morte (che proprio a Roma videro la luce) e la città eterna. E ancora a Roma il surreale immaginario ripelliniano dall’oltretomba riceve la visita di Michail Bulgakov (Sono Satana. Spolveratemi il frac, Iridescenze) È il 1972, l’anno in cui dal romanzo Il maestro e Margherita una coproduzione italo-jugoslava realizza un film ed è anche l’anno delle elezioni politiche: il fu Michail Bulgakov giunge quindi in una “Roma pre-elettorale che brulica di scalmanati folletti” ed è preoccupato per l’esito della riduzione cinematografica del suo romanzo. Con lui Ripellino condivide ogni timore: “impresa difficile trasfondere in una pellicola questo bruciante miscuglio di sofferenza cristiana, di stratagemmi infernali, di acrimonia, di pagliacceria”.
Magiche sono le città evocate da Ripellino nei suoi scritti saggistici e critici – articoli, introduzioni, recensioni – e trasfigurate in luoghi della letteratura, abitate da un’umanità generata dall’ispirazione di poeti, scrittori e artisti. Città-teatri, dove le dimensioni spazio-temporali si sovrappongono e i confini tra realtà e immaginazione si dissolvono. Città-mondi che, proprio e soltanto per la loro irrealtà e indefinitezza, rivelano il volto vero e l’anima dei loro abitanti: è il sortilegio compiuto dalla parola ripelliniana, che prende forma da ogni possibile materia verbale ed è illuminata e rivelatrice.
Libri:
Angelo Maria Ripellino, Praga Magica, pp, 368, Euro 14, Einaudi, Torino 2014
Andrej Belyj, Pietroburgo, ed. originale 1913, trad. e cura di Angelo Maria Ripellino, pp. 384 Adelphi, Milano 2014
Angelo Maria Ripellino, Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1946-1977), a cura di Antonio Pane e Umberto Brunetti, 2 vv., Euro 60, Aragno, Torino 2020
Angelo Maria Ripellino, La letteratura come itinerario nel meraviglioso, pp. 275, Einaudi, Torino 1968