Coltivare l’ambiguità
di Valerie Tosi
Leslie Stephen
I romanzi di Benjamin Disraeli
a cura di Daniele Niedda,
pp. 119, € 20, Croce, Roma 2023
Il saggio di Leslie Stephen sui romanzi di Benjamin Disraeli, pubblicato originariamente nel 1874 e tradotto per la prima volta in italiano da Daniele Niedda, è un’opera significativa per almeno due ragioni. Innanzi tutto rappresenta una buona introduzione alla narrativa di un autore la cui identità letteraria, almeno in Italia, è meno nota rispetto alla sua immagine di personaggio politico; inoltre, è inscrivibile nel dibattito teorico sul comico che attraversa il XIX secolo e che coinvolge personalità di rilievo come George Eliot e George Meredith. Nell’Introduzione, Niedda spiega come le riflessioni di Stephen sul comico, maturate attraverso lo studio dei romanzi di Disraeli, siano poi confluite nel saggio di costume Humour (1876), in cui l’autore decostruisce la linea umoristica prevalente nella cultura inglese del secondo Ottocento. Il sentimentalismo vittoriano, erede della sensibility settecentesca, è descritto da Stephen come un male connaturato al perbenismo e all’ipocrisia delle classi agiate e come uno strumento di “pulizia delle coscienze” volto al mantenimento delle gerarchie sociali. Stephen ironizza quindi sull’umorismo benevolo di Sterne, Austen e Dickens e, riallacciandosi alla tradizione satirica di Swift, celebra una tradizione comica più schietta e arguta, l’unica per lui capace di farsi promotrice di un ideale di civiltà e di uguaglianza tra gli uomini. Per Stephen, l’umorismo di Disraeli è un umorismo genuino, sottile e poetico, che fluttua impercettibilmente tra la serietà e il sarcasmo, dimostrando il divertimento provato dall’autore nel “coltivare quell’ambiguità che si fa interpretare secondo il gusto dei lettori e l’evolversi dei tempi”.
Analizzando Coningsby (1844) Stephen elogia la maestria dell’autore nella caratterizzazione dei personaggi: il protagonista Coningsby rappresenta il giovane intraprendente la cui personalità è una combinazione di follia e talento, mentre il più riflessivo Sidonia si rivela una maschera autoriale, guardando agli eventi narrati con un atteggiamento ironico che non degenera mai nel bieco paternalismo. Sybil, pamphlet travestito da romanzo, descrive le conseguenze del sindacalismo nel South Yorkshire; osservando gli eventi sociali del tempo con uno sguardo sarcastico, il narratore denuncia la natura mistificatrice della storiografia ordinaria. Di Tancred (1847) Stephen delinea alcune tematiche, tra cui il rapporto tra illusione e realtà, tra misticismo religioso e pragmatismo politico, tra un Occidente civilizzato e un Oriente esotico e misterioso.
Per Stephen le opere migliori di Disraeli sono quelle giovanili, ad eccezione dei romanzi “storici”, rei di appartenere a un sottogenere impuro dove spesso la mescolanza di prosa e poesia crea vizi di forma. Niedda difende invece la comicità arguta di The Wondrous Tale of Alroy (1833) e Venetia (1837), sottolineando come il gusto personale del critico e la sua analisi a tratti impressionistica non riflettano sempre in modo obiettivo i pregi e i difetti della produzione di Disraeli. Stephen descrive il protagonista di Contarini Fleming (1832) come un giovane i cui interessi oscillano tra la poesia e l’arte, così come il genio del suo autore è diviso tra la passione per la letteratura e le aspirazioni politiche. Henrietta Temple (1837) rivela invece la simpatia di Disraeli per i giovani aristocratici e per le loro passioni, nate sotto le luci sfolgoranti dei palazzi nobiliari.
Niedda evidenzia due questioni su cui Stephen sorvola nella sua discussione di questo romanzo: la trasformazione del dandy previttoriano in un aristocratico “democratico” e l’importanza del witz ebraico come forma di umorismo auto-delatorio. Un’appendice con le trame dei romanzi e una cronologia bio-bibliografica accompagnano il lettore nella riscoperta di un autore poliedrico e del critico che ha illuminato la sua figura nel panorama della tradizione umoristica inglese.
valerie.tosi@phd.unipi.it
V. Tosi è dottoranda in letteratura inglese all’Università di Pisa