di Franco Pezzini
Paolo Lago, Gioacchino Toni
Alle radici di un nuovo immaginario
Alien, Blade Runner, La Cosa, Videodrome
prefaz. di Sandro Moiso,
pp. 252, € 21.70,
Rogas, Roma 2023
“(…) scoprirsi organici significa in qualche modo fare i conti con la mortalità”. Il tema del call di narrativa breve “Visioni divergenti e corpi indisciplinati” del Premio Calvino di quest’anno, trova singolari tangenze con quelli evocati in questo bel saggio di critica cinematografica – e insieme di mitologie sociali – su quattro film cardine del fantastico anni ottanta, ma di impatto molto più duraturo. Al tempo nuove paure soppiantano le antiche gotiche, sorte fin dagli albori dell’attuale modo di produzione, “dando immagine a quelle inquietudini identitarie e a quelle mostruosità che hanno fatto capolino insieme al neoliberismo in apertura degli anni Ottanta e che, in fin dei conti, non sono che le premesse alla nostra contemporaneità, le radici di un nuovo immaginario”.
Alien di Ridley Scott (1979) è l’avvio di una saga che, tra sequel e prequel, più o meno felicemente continua: forte degli inquietanti xenomorfi dell’artista Hans Ruedi Giger – il padre dei biomeccanoidi, macchine “organiche” in cui metallo e carne si fondono – salda la fantascienza con un nuovo orrore, libero dai vecchi mostri gotici e molto più attento alle invasioni della carne. Blade Runner, sempre di Ridley Scott (1982) è invece fantascienza “pura”, e trae ispirazione dal romanzo del 1968 Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick: il tema è qui la presenza di androidi ribelli difficilmente distinguibili dagli uomini, di nuovo a parlare di corpi, e per di più indisciplinatissimi. La cosa (The Thing) di John Carpenter (1982), liberamente tratto dal racconto La cosa da un altro mondo (Who Goes There?, 1938) di John W. Campbell, torna pessimisticamente a mescolare horror e fantascienza in un tripudio di corpi invasi dall’alterità extraterrestre. E di nuovo francamente orrifico, per quanto radicato in nuove tecnologie del tutto terrestri, è Videodrome di David Cronenberg (1983), influenzato dalla letteratura di William S. Burroughs (nell’onirismo visionario) e James G. Ballard (nella “metamorfosi che riguarda l’inner space”) sui temi della visione e del corpo indisciplinato: in questione è il programma pirata eponimo, che trasmette solo immagini di torture e violenze sadomaso, provocando nel cervello degli spettatori mostruose allucinazioni, alterazioni nella percezione della realtà e in ultimo tumori. “Nonostante […] nelle opere cronenberghiane l’atteggiamento possa rivelarsi a volte duplice, di attrazione e repulsione, è difficile per lo spettatore godere di un qualche delightful horror che dovrebbe essere garantito da un’osservazione a ‘distanza di sicurezza’”. E può essere interessante ricordare negli anni Ottanta l’emergere di un autore come Clive Barker coi suoi Libri di sangue e la saga di corpi suppliziati di Hellraiser (romanzo 1986, primo film 1987).
Nel gruppo dei quattro film di un’età di svolta la riflessione sull’alterità (sempre più estrema e spaventosa) finisce con lo svilupparsi in quella sull’identità, le sue paure e il rapporto con lo spazio. In effetti, come emerge fin dal titolo, dalla dedica a Valerio Evangelisti e poi nella bella prefazione di Sandro Moiso – studioso tra l’altro di Ballard (cfr. “L’Indice” 2021, n. 6) – in questione è anzitutto un immaginario che ci influenza ancora. “Il capitale è entrato così nei corpi, nelle coscienze e nell’immaginario della specie minandone la comunità possibile per perpetrare, come lo xenomorfo di Alien, unicamente la propria”.
Abbandonati i vecchi mostri, i nuovi giocano di sponda a mostruose entità aziendali: la Weyland-Yutani Corporation di Alien, amministratrice di colonie umane al di fuori del sistema solare (e sulla “conradiana Nostromo, […] una parte dell’equipaggio discute di carichi di lavoro e paga”); la Tyrell Corporation di Blade Runner, creatrice di androidi particolarmente simili agli uomini; l’organizzazione filogovernativa di Videodrome, che con il programma pirata cerca di eliminare dalla società con tumori al cervello gli indesiderati attratti dalla violenza snuff. L’analisi condotta dagli autori segue passo passo lo sviluppo dei film affrontandone la potenza di metafora sociale e politica col ricorso a un’ampia bibliografia critica.
Paolo Lago si è occupato negli anni di letteratura e cinema (cfr. “L’Indice” 2020, n. 9); Gioacchino Toni ha scritto di stili nell’arte e nel costume (Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età moderna, e L’età contemporanea, entrambi con Gianluca Ruggerini, Odoya, 2019 e 2020), rapporti tra sport e società (Storie di sport e politica. Una stagione di conflitti 1968-1978, con Alberto Molinari, Mimesis, 2018), sorveglianza digitale (Pratiche e immaginari di sorveglianza digitale, il Galeone, 2022).
Sul tema della “nuova carne” androide, tra Blade Runner e prodotti televisivi molto più recenti, merita una citazione anche il recente saggio di Emanuela Piga Bruni, La macchina fragile. L’inconscio artificiale fra letteratura, cinema e televisione (pp. 179, € 19), Carocci, Roma 2022.