Un panorama variegato che affronta nodi esistenziali di rilievo
di Mario Marchetti
Il comitato di lettura (costituito quest’anno da una cinquantina di membri, di cui due terzi donne), fra seicentosettanta concorrenti ne ha selezionati nove. Il compito non è stato facile perché i testi interessanti erano davvero molti. Si è puntato a una scelta che fosse insieme rigorosa e rappresentativa di tendenze, temi e stili diversi. Quest’anno, ed è una novità, abbiamo un campionario di autori tutto spostato verso il centrosud e le isole. E ciò ci fa molto piacere: non capitava da anni. In particolare ben tre sono gli autori di area napoletana; quattro altri autori risiedono a Roma, tra cui uno di origine siciliana; un altro finalista è sardo, confermando la produttività narrativa della sua regione, sempre ben rappresentata al Premio Calvino. Una sola finalista proviene dal Nord, e precisamente dal Nordest, che tante soddisfazioni ci ha dato in passato. Questi dati non fanno che confermare il carattere nazionale del Premio. Le età variano dai 31 ai 49 anni, con una netta predominanza della fascia dei trentenni. Quest’anno nessun giovanissimo, come lo scorso anno (quando furono ben quattro su nove gli under 25). Tra i finalisti solo due donne, purtroppo, benché il Premio si sia sempre segnalato per una particolare attenzione rivolta ad esse. Ma, naturalmente, in un premio letterario non possono valere le quote rosa.
Quanto ai temi, non è immediato trovare un filo comune. Di certo, però, nessun testo è consolatorio o eminentemente commerciale. Tutti affrontano, sia pur in chiave diversa, nodi esistenziali di rilievo. Un romanzo particolarmente godibile sul piano narrativo è il garbato Jimmy Lamericano che ci racconta una storia di amore per il cinema che nello stesso tempo è la storia di un triangolo amoroso alla Jules et Jim, sullo sfondo degli ultimi anni del fascismo e della guerra, dove fa miracolosamente capolino una Greta Garbo reduce da Ninotchka. Sempre secondo una tastiera di intelligente leggerezza, peraltro venata di carsiche malinconie, si segnala Alla cassa, micro-epica di un gruppo di scommettitori sulle partite di calcio, il cui tempio è lo Snai e il cui tempo si consuma in dissennate discussioni che non temono il confronto con la realtà: come si sa sogno e illusione non hanno prezzo e sono il sale della vita.
In tutt’altri territori passiamo con una serie di testi in cui a prevalere è una visione del mondo cupa che lascia poco spazio alla luce. E’ un sentimento, questo, che abbiamo colto in molti testi concorrenti, emblematico probabilmente di un’epoca che sembra tarpare gli orizzonti soprattutto alle generazioni più giovani. Sicuramente il più significativo, in tal senso, è Città assediata, allucinato e impietoso quadro di una fine del mondo incombente, secondo uno schema che pare ispirarsi all’Apocalisse giovannea, ma, nel caso, i peccati non sono quelli della tradizione evangelica, bensì un’incontenibile pulsione all’autodistruzione. Accanto a questo possiamo ricordare Le lettere dal carcere di 32 B, dove a dominare è la claustrofobia, com’è inevitabile, e dove il vero carcere è l’anima, la psiche. Qui non c’è fine del mondo, ma, forse ancor peggio, l’eterna ripetizione di un presente senza speranza e l’angosciosa richiesta di un ascolto impossibile: del protagonista, potremmo dire, proseguendo nelle suggestioni bibliche, che è una vox clamantis in deserto.
In un territorio intermedio, che si avvicina maggiormente a ciò che si intende per realtà, ci troviamo con Il Regno, l’ambiguità del cui titolo peraltro sembra lanciare un avvertimento al lettore. In questo romanzo, con perfetta scrittura, incontriamo un’altra anima prigioniera, del diavolo, di un trauma: è una schiava dei nostri tempi, una badante intrappolata nel più tipico rapporto servo/padrone. Ma una vacillante speranza si apre nel finale, dove la vita sembra cautamente recuperare i propri diritti. Una favola realistica, non senza tracce, ancora una volta, di un mondo in sfacelo, è quella che ci viene narrata nella Fine dell’estate. In un’atmosfera senza tempo, in una periferia romana ricreata dall’immaginazione, ci troviamo di fronte a un mondo salvato dai bambini. C’è una guerra sullo sfondo e gli adulti, soprattutto gli uomini scompaiono. Tocca ai bambini cavarsela, i quali maturano precocemente pur non perdendo la loro innocenza. Ma è stato sogno o realtà? L’autrice, come Prospero, alla fine sembra voler dissolvere la sua ammaliante creazione.
Anche la livida Sardegna invernale − una Sardegna ben reale dell’inverno 1955-56 – scelta dall’autore de Le Tigri del Goceano come scenario della sua narrazione presenta tratti spiazzanti, quasi distopici. Qui, ancora una volta, la tradizione sarda ci presenta un frutto della sua inesausta vitalità. Il passato che non passa si concretizza nella densa tragedia annunciata con la sua vittima sacrificale, un giovane bandito senza scampo: per lui non c’è più posto nel mondo. Con L’animale femmina diventa protagonista la donna in quanto tale, come viene antifrasticamente alluso dal titolo. Si tratta di un apologo perfettamente sviluppato e articolato sul piano narrativo: è una storia di liberazione femminile dallo sguardo maschile e insieme dallo sguardo materno. La protagonista sembra venir catturata nel gioco perverso e insidioso di un atrabiliare avvocato, risentito con la vita, ma le cose andranno diversamente…
Infine con Presunzione rientriamo in una precisa e perfettamente disegnata realtà contemporanea: un disincantato e disilluso romanzo di formazione sull’ambiguo sfondo sociale della Campania non più felix. Accanto al quadro senza concessioni di un mondo magmatico sul piano morale e politico, si sviluppa la vicenda postideologica del protagonista che si aggrappa a uno sprezzante individualismo per affermarsi. Ma la sua si rivelerà presunzione o, forse, meglio, una moralità senza sponde possibili.
Gli stili e le scritture sono mediamente di buon livello, per coerenza e capacità evocativa: si va dalla levità di scrittura di Jimmy Lamericano e, soprattutto, di Alla cassa, al rarefatto e perfetto stile del Regno e delle Lettere dal carcere di 32 B, dalla lingua più distesa della Fine dell’estate e dell’Animale femmina alla forza, non priva di rudezza, di Le Tigri del Goceano, dall’originale e martellante manierismo di Città assediata alla lingua modernamente incisiva di Presunzione.
Un panorama, insomma estremamente variegato, che ci conforta nella nostra formula di sondaggio nel sommerso.
M. Marchetti è il presidente del Premio Italo Calvino