Le menzioni speciali del direttivo e di Treccani

La Menzione Speciale del Direttivo del Premio Calvino 2020 è stata attribuita al romanzo Il Tullio e l’eolao più stranissimo  di tutto il Canton Ticino di Davide Rigiani

Motivazione: Il testo, con fantasia scatenata e una lingua mai stanca di sorprendere, sotto l’apparenza del mero divertimento, descrive con esattezza antropologica un ordinato mondo di periferia residenziale dei nostri tempi (nel caso, ticinese), proponendo un’ariosa alternativa attraverso la famiglia del Tullio. Interessante tentativo di costruire un’opera ibrida rivolta contemporaneamente all’immaginazione infantile e a una sensibilità matura. Ardita scommessa in gran parte vinta. Un libro da illustrare e da leggere insieme, bambini e grandi.

L’eolao, uno straordinario bruco mutante, si inserisce nella casa unifamiliare con giardino ‒ dove non si contano i gatti dai nomi grammaticali ‒ della bizzarra famiglia Ghiringhelli. Scatta immediatamente un amore col Tullio, pigro allievo di quinta elementare dotato di una sbrigliata immaginazione, che si porterà l’eolao anche a scuola. La narrazione è un caleidoscopico susseguirsi di sequenze surreali in un sottile gioco tra ordine e disordine.

Il Tullio e l’eolao più stranissimo  di tutto il Canton Ticino

di Davide Rigiani

Il bruco geometra e la famiglia Ghiringhelli

Tutta questa stranissima storia incominciò la sera che il papà del Tullio trovò un bruco geometra nell’insalata. Era agosto, un venerdì, e quel giorno il Tullio aveva compiuto dieci anni. Il bruco geometra in questione era un cosino minuscolo, verde, lungo meno di un centimetro, sottile come il gambo di una margherita. Percorreva una foglia di lattuga con il suo incedere da compasso, allungandosi, accorciandosi, allungandosi, accorciandosi. Sembrava davvero che stesse prendendo le misure all’insalata.

Il papà del Tullio era un signore con una barba sale e pepe, niente capelli e un paio di occhiali con le lenti tonde come due O maiuscole. «C’è un signore nell’insalata» annunciò.

Il Tullio, che era là intento a rovistare nella credenza, lasciò perdere e si avvicinò per vedere.

«Dev’essere rimasto nel frigorifero per tutta la settimana» disse il papà. «Chissà che freddo.»

Il Tullio guardò il bruco e non disse niente.

Il papà gli appoggiò una mano su quel garbuglio riccioluto a forma di cavolfiore che aveva in testa. «Fa’ una bella cosa» disse ancora, «portalo fuori e lascialo là da qualche parte. Così magari avremo una farfalla in più in giardino.»

Il Tullio fece di sì con la testa e prese l’incarico molto sul serio. Raccolse con cautela la foglia di lattuga con il bruco e se ne uscì dalla porta della cucina.

La famiglia del Tullio abitava in una casetta a due piani su in Val Colla, che era un posto che stava nel Canton Ticino, che a sua volta era un posto che stava nella Confederazione Svizzera. Sul campanello all’entrata e sulla cassetta della posta c’era scritto «Famiglia Ghiringhelli». Sul retro della casa c’era un giardino con un pruno da un lato e un grande salice dall’altro. …

Il Tullio superò il capanno e il pruno, e in fondo in fondo, là dove la siepe faceva l’angolo, trovò un posto che gli sembrava adatto. Posò la foglia a terra.

Là accanto c’erano alcune piccole lapidi di legno messe in fila. Il signore e la signora Ghiringhelli avevano sempre ospitato in casa uno sproposito di gatti, e questo fin da prima ancora di sposarsi. Molti erano campati più di vent’anni. Quando poi ne moriva uno, solitamente vecchio e decrepito, lo seppellivano in giardino. Sulle le lapidi erano incise con un pirografo le parole «Forse», «Ancorché», «Cioè» e cose del genere. Erano tutti avverbi o magari preposizioni o congiunzioni. Era il papà del Tullio che immancabilmente battezzava i gatti a quel modo, perché poi trovava divertente parlarne. «Infatti Infatti, la sera, fa sempre le fusa stando in braccio a mia moglie mentre guardiamo la televisione» spiegava per esempio alla postina, una bella ragazza con una treccia di capelli fucsia lunga un metro e mezzo, laddove il primo infatti era una congiunzione, mentre il secondo era un gatto. «Inoltre Purtuttavia e Nondimeno spesso gli fanno compagnia.»

La postina fucsia si concentrava. «E quindi Inoltre è un altro gatto?»

«Be’, sì, certo, Quindi è un gatto. Ma lui non fa le fusa in braccio a mia moglie con Infatti, Purtuttavia e Nondimeno.»

«Sì, no, voglio dire, Inoltre è un gatto?»

«A volte, ma non in questo caso. Ora è, sa, un avverbio.»

«Aha» faceva la postina fucsia, oramai confusa del tutto. «E un avverbio è un gatto?»

«No, be’, un avverbio è un avverbio, e un gatto è un gatto.»

Su una lapide un po’ più piccola delle altre invece c’era inciso «La Pagnotta Volante».

(…)

A ogni modo, mentre il Tullio era lì che rimuginava sul funerale della Pagnotta Volante, il bruco aveva già fatto più volte il giro della sua foglia di lattuga, ma ancora non si arrischiava a esplorare i dintorni. Il Tullio esitò un momento poi, già che c’era, pensò bene di prendere nella coppa della mano un po’ d’acqua dal tubo per annaffiare e di lasciar cadere qualche goccia lì sulla foglia, nel caso che il bruco avesse sete. Gli augurò poi buona fortuna, si voltò e tornò dentro casa.


La Menzione Speciale Treccani 2020 è stata attribuita al romanzo Giardino San Leonardo di Gian Primo Brugnoli.

Motivazione: L’insolita e spiazzante maestosità del dettato, la crudezza icastica, il virtuosismo linguistico esagerato ma efficace: il Giardino di San Leonardo esibisce una prosa rocambolesca e ribelle, strabordante ed eccessiva, maneggiata con disinvolta duttilità e zeppa di neologismi ed espressioni vernacolari d’altri tempi che si rincorrono costruendo un’architettura narrativa di straordinario impatto. L’esperienza creativo-stilistica è bizzarra quanto basta a far girare la testa del lettore disorientato da un vortice trascinante di parole e personaggi, ma semanticamente consapevole e forse memore di qualche racconto degli Accoppiamenti giudiziosi.

Il riconoscimento è frutto di una convenzione triennale siglata nel 2018 tra il Premio Calvino e l’Istituto della Enciclopedia Italiana: essa prevede di insignire di una “speciale menzione Treccani l’opera che, tra i finalisti del Premio Italo Calvino, si distingua per originalità linguistica e creatività espressiva” nonché di organizzare presso la sede romana dell’Istituto un incontro “volto a dibattere i temi emergenti della narrativa italiana contemporanea nel suo rapporto con la lingua”.

Giardino San Leonardo

di Gian Primo Brugnoli

Come qualmente avvenne il fatto

Lui a tradiscio mena fendenti in capa e pugnacci in corpo all’Amelia e, quando uno studente erto e pugnace sgarra dal portico e gli va dirimpetto dicendogli: «Che fai? Attento», lui Giuseppe,detto Beppo, si disalbera alquanto, fugge sull’imperiale di una Fiesta lì parcheggiata, tira fuori lo sguincio e dice a quell’altro imberbe: «Vieni sotto, se ci hai fegato». Lo studente allora afferra un ramo, franato chissà come da un’acacia del sovrastante Giardino San Leonardo, e lo protende a mo’ di fioretto verso lo sconcludente che ha appena menato l’Amelia con urlacci da bestia senza che la poveretta avesse proferito verbo alcuno.

«Ti stronco, figlio di puttana,» urla il Beppo allo studente «ti sgranacchio tutte le rotelle che non hai in zucca. Bravo il cavalierino, dà su alla monachina». Lo studente fiero e deciso non si disappone e converge verso l’altro che continua a menar fendenti all’aria, alla Madonna, a Cristo pur di dir la sua, che la monachina fetente se ne va in giro, con il suo visino cuccino cuccino, a dire chiocciole dure e pensi insani a magnaccia del Comune e magistra infrolliti. Lui, Saluzzo Giuseppe, l’Alberella la tiene come una principessa e la Papi Moana pure. Che non ci provi, figlia di piscio, a sguinzagliar carabba e polla per estorcere la piccola. La Papi e lui sono persone per bene e sanno come fare. E qui, a sommar intenzione, il Beppo prende a dar pedate sul tetto della malcapitata Fiesta e a tagliar l’aria di brutto con la malpensa che ha in mano. Fintanto che sovraccorre l’Albina, fiera ‘defensor fidei’ del Giardino San Leonardo. «Vieni giù subito di lì» grida e comanda. «Che ti prende, brutto somaro. Picchiar così l’Amelia, vergognati. Tuo padre si rivolterà nella tomba».

Il Beppo, a sentir nomar suo padre per sempre infermo, si disarticola nella cervice. Salta a mo’ di Tarzan dalla Fiesta e a mani nude prende per il collazzo l’Albina e la protende per bene contro un pilastro del portico nella via medesima di San Leonardo. La spalla dell’Albina percossa violentemente contro la pietra fragaglia in parte, tanto che l’intrepida pare sganasci repentinamente e svenga di botto sull’asfalto, con gli zoccoli che vanno uno di qua uno di là. Urla e scompiglio tra i soccorrenti, in vista più che in fatto, di due povere donne malmesse e stornate.Ma presto giunge una gazzella della polla e tutti all’impresente diradano, solo permangono le due donne, una accucciata al muro sotto il portico e l’altra del tutto ignara nel bel mezzo della via. E il Beppo.

Al solito lento, vien preso da braccia di legge, mano in zucca per ficcarlo nell’Alfa e via di pressia in questura a farlo cantare. Un’asnalubma viene soccorrevole e le due malcappa vengono portate al S.Orsola, che c’è da fare.

Rinsana intanto la plebe di via San Leonardo che ha specchiato il fatto. Tutti a dire della povera Amelia di nulla colpevole. Nedo Nedi, l’handi in carrozzella, si sbraca a dire che davvero l’Amelia era intonsa. Aveva anzi preso a cuore la sorte dell’Alberella. «Eh sì,» rincara la Zunchiglia, una donna fattasi nell’antico modo ed ora proprietaria di mezza San Leonardo «una bimba di tre anni, lasciata circuire sola soletta in strada. Perfino di notte e loro due, la Papi e il Beppo, chissà dove». Bisogna provvedere, aveva detto l’Amelia donna di nettezza a ore. Ma nulla denunzia aveva allungato, la povera. Chi ci aveva messo la biancheria sul filo erano stati altri. Solo compatio per la piccola figlia dell’Artemisia Villani, data in custodia perché la madre potesse raccogliere uomini come grano in casa. Arrivano anche i vigili e cercano di aver notizie del fatto. Ma quando s’ha da dire all’autorità, si sa, frana l’eloquio e si secca la lingua in bocca. Privati di qualche costrutto alfine se ne vanno.

Così alla nona ora via San Leonardo e il suo Giardino ritornano silenti com’erano prima che il Beppo ingrullisse. Un merlo si ferma sul ramo di un’acacia, altri frollano via.