Ilaria Minelli – Il vecchio Marlin e la piccola ombra scura

OPERA SCELTA PER IL RETELLING: Il vecchio e il mare, Ernest Hemingway, 1952. (edizione consultata: Collana Oscar Moderni Cult, Mondadori)

ELEMENTO SCELTO: personaggio – Il marlin

Ilaria Minelli
Il vecchio Marlin e la piccola ombra scura

Era un marlin che solcava da solo le acque fonde della corrente del Golfo. Era per sua natura un pesce solitario, il più grande che si fosse mai visto da quelle parti. Predatore micidiale, ma preda per pochi. Di compagni al suo fianco, per procurarsi un pasto o sfuggire a un attacco, non aveva bisogno. Nuotava fiero nel buio delle profondità marine, la lunga pinna dorsale issata come una vela; le laterali, grandi ali spiegate sui fianchi; la coda a fendere l’acqua, una falce al raccolto. Solo quando emergeva in superficie, le squame, a contatto con la luce, si coloravano di viola intenso sul dorso, strisce più chiare gli segnavano i fianchi. Eppure anche lì, in fondo al mare, nella totale oscurità, c’era, nel modo in cui solcava gli abissi, la consapevolezza della propria bellezza. Era adulto, la sua grandezza lo provava. Ed era vecchio: non il tempo, ma la moltitudine di immagini accumulate nella memoria, la misura della sua vecchiaia.

Ne aveva visti di fratelli lottare dopo aver ingoiato un facile pasto, poi, sfiniti, venire attratti da una forza invisibile verso quelle grandi ombre scure in superficie. Scomparire, inghiottiti da una macchia rossa, lasciando un odore forte che lo disgustava e attirava gli squali a miglia di distanza.

Sapeva tutto questo quando fiutò la preda e la vide davanti a sé. Non ne fece un solo boccone: la tastò una, due, tre volte, le girò intorno, poi salì verso la superficie, scandagliò la distesa piatta sopra di lui e si accertò che non ci fossero grandi ombre scure, prima di ridiscendere e afferrarla. La strinse in bocca di traverso e se la portò via. Non lo capì subito, solo dopo averla ingoiata, quando un dolore acuto gli trafisse il palato e sentì quella forza invisibile tirarlo verso la superficie, solo allora capì. Si immerse nelle profondità, mosso da un istinto disperato. Ma più si immergeva e più quella punta fredda gli penetrava nella carne. Risalì allora, riducendo la tensione e, senza mai rallentare, puntò adagio verso il mare aperto.

Setacciò gli angoli della propria memoria, rivide la distesa piatta, un attimo prima di afferrare la preda: la grossa ombra scura non c’era. Vide però ora, ciò che allora gli era sfuggito: un’ombra più piccola, insignificante. Non poteva arrivare da lì la forza contro cui lottava. Nessun essere di quelle dimensioni avrebbe mai ingaggiato una gara di forza con lui, che era più grande e più forte. Quel pensiero placò il suo spirito: l’avrebbe trascinato piano verso la corrente, dove il mare è amico dei pesci come di nessun altro, e lì il nemico si sarebbe arreso. Non erano i giorni a scandire la sua vita e certo, quella cosa gli era rimasta conficcata in bocca, ma aveva mangiato, poteva resistere a lungo.

E così fece: nuotò ostinato a ritmo costante, senza mai cambiare direzione. Non sentiva la stanchezza e il dolore era poco più che un fastidio. Sapeva, nell’oscurità dell’acqua profonda, di essersi allontanato molto, aveva nuotato senza mai rallentare, fermarsi, voltarsi o risalire in superficie più di quanto avesse mai fatto. Solo il buio e davanti a sé una meta: la resa dell’altro.

Proseguì a lungo, ma quella tensione, la forza invisibile che lo attirava a sé, non cessò mai, né si allentò. Fu allora che, per la prima volta in vita sua, si sentì solo. Solo, stanco e vecchio. Un compagno con cui condividere la lotta era tutto ciò che desiderava, più del cibo, più del riposo, più della salvezza. Ebbe un fremito di disperazione, l’impulso di fuggire lontano. Mosse la coda disegnando un arco più ampio, diede uno strattone, ma capì all’istante che non avrebbe avuto la forza di procedere a quella velocità. Rallentò, risalendo un poco. I suoi occhi erano immersi nelle tenebre. La superficie, i prodigiosi balzi fuori dall’acqua a danzare con il vento caldo, le squame d’ametista ai raggi del sole, erano ricordi, immagini che affioravano colorando il nulla davanti a sé.

Non sapeva, nella sua corsa senza fine, se il mare lassù fosse tinto d’argento o blu cobalto, incendiato di fiamme rosse o reso di cristallo dai raggi di un sole feroce. Non contava i giorni, la fatica e la fame erano le misure del suo tempo.  Molto ne era trascorso, quando un banco di tonni gli sfilò davanti. Scordò in un attimo di essere preda, diede un violento colpo di coda, li raggiunse e roteò la lunga spada. Lo strappo inferto alla lenza e il movimento della testa mossero l’amo, che si piantò in profondità nelle fauci. Un lampo di luce e dolore squarciò il buio. La rabbia lo spinse in alto, la spada bucò la superficie, i muscoli si contrassero, la coda si inarcò, rilasciò tutta la sua potenza e il marlin schizzò fuori dall’acqua. Bello, maestoso e disperato. Sentì l’aria calda insinuarsi nel corpo, il vento leggero asciugare la sua pelle e percepì, un istante prima di ripiombare nell’acqua, la stanchezza e le ferite dell’altro. Fiutò la disperazione, la solitudine e la vecchiaia. Ne annusò la forza smisurata e seppe che non ci sarebbe stata resa. Era una lotta per la sopravvivenza la sua, non ne conosceva altre, solo vivere o morire. Ignorava cosa muovesse l’altro, ma sapeva ora che quella piccola cosa avrebbe lottato fino alla morte, di uno dei due o di entrambi.

Rallentò la sua corsa e accorciò la distanza, molte volte schizzò fuori dall’acqua con salti possenti, avvolto dall’oscurità. Poi riemerse piano, ormai sfinito, affamato e ferito, ma non più solo.

Ora procedevano insieme, stessa velocità, stessa direzione, una sola unica meta: vivere, o morire.

L’orizzonte si tingeva di rosa quando cominciò a descrivere cerchi intorno all’ombra scura, prima più ampi e poi via via più stretti, fino a sfiorarla con il dorso, incapace di immergersi per l’aria accumulata nel corpo e ormai vinto da quella forza invisibile.

Tutto avvenne in un istante: si sentì squarciare la pelle sul dorso, una lunga lama penetrare a fondo e un fuoco liquido divampare dentro di sé.

Spiccò l’ultimo maestoso salto, in tutta la sua struggente bellezza. Estremo tributo alla vittoria dell’altro. Poi tutto si colorò di rosso.

Li vide un attimo prima di sprofondare nel nulla: due grossi squali, e dietro altri ancora.

Non li vide dilaniare la sua carne.

Era già altrove.

Bello, forte e fiero, combatteva contro grossi squali.

Non era solo.

Al suo fianco una piccola ombra scura.