Gaetano Pagano – Nuovo mondo ofidico

Fai apparire la vecchia in mezzo alla nebbia al limitare del bosco. Potresti scambiarla per un sacco accartocciato con gli zoccoli tondi come patate. Prendi una delle sue mani ruvide e squamate e poggiala sul bastone. Ora immagina che dietro di lei proceda un carro sgangherato. Si trascina da solo, avvolto da tende mutile. Trattengono qualcosa. Immagina che il carro semovente possa trasmetterti l’impressione di un carro stanco, o indolente, come un vecchio cane che imiti ciecamente l’andatura paziente della sua padrona. Se gli odori di ortiche e trifoglio rosso, che a fatica si contendono l’aria con quello ingombrante della merda di capra e con quello pungente del sangue di maiale, provengano dalla pelle della vecchia o dall’interno delle tende del carro, in fondo, non fa differenza. Ma tieni a mente che questa immagine ha un odore, un insieme di odori in lotta. Che la lotta è una cosa stancante e spesso inevitabile ma così profondamente ingiusta. Che per sopravvivere si debba prevaricare, sconfiggere, annientare.

Fai attenzione. La vecchia emette sibili inarticolati. Alcuni sembrano parole. Guerra. Futuro. Impossibile. Mamma.

Fai soffrire la vecchia.

È spaccata. È come due cose vicine ma mai uguali. Alito, soffio. Madre, matrigna. Serpente, donna.

Anche dal carro provengono suoni. Trapassano, quando le tende si schiudono debolmente col vento. Lunghi, disarmonici, profondi, spettrali. Vorticano. Non puoi capirli. Ma li ascolti come se potessero dirti come continuare la storia.

Ma in che storia hai voluto cacciarti? Non dovresti essere qui. Cosa ti ci ha portato? Ti fai la domanda sbagliata. Pensi al passato senza pensare al futuro. Questo è il problema di molte storie. Ti racconti che il futuro sia solo congetturabile e che il passato sia affidabile, ma chi lo ha detto che i ricordi non siano creazioni? Crea i ricordi della vecchia. Immagina cosa ha passato prima di apparirti qui, ora, al limitare del bosco.

Ha lasciato la fattoria e ha vagato per il paese in cerca di qualcuno. Ma non c’è più nessuno. Questo non è più un mondo per chi non sceglie. Per scegliere devi vedere. Non c’è nulla da vedere, o c’è il nulla da vedere? Fai attenzione.

Sai che la vecchia ha fatto visita a chi ricorda di conoscere. Si è sentita imbarazzata. Ma le guerre non spezzano solo i ponti e le teste, distruggono anche le cordiali inibizioni, come gli umani istrionismi. Così si chiede riparo a chi non ci deve nulla.

L’hai trascinata al casale dei Graffi. La porta era aperta quindi l’hai fatta entrare. Hai immaginato che il carro l’aspettasse fuori.

“Signora Graffi?” ha provato a dire all’ingresso. Ma non l’hai fatta parlare per tre giorni.

“Marina?” le hai fatto dire più forte.

Silenzio.

“Antonio, Filippo, Sara”. Non ha ricordato il nome della quarta figlia, quindi non glielo hai fatto dire.

La sala da pranzo, muta come un cimitero. Hai fatto apparire un gatto piegato nell’angolo. Forse è morto di paura. Forse lo hanno ucciso i Graffi prima di strisciare via. La tavola apparecchiata. Piatti: sporchi. Mosche. Pane: duro. Calici: ingialliti. Candela: squagliata: una ragnatela di cera rossa al centro della tavola sulla tovaglia verde, angeli ricamati con agrifoglio tra i capelli. Cinque fiale vuote, una davanti a ogni coperto. Dovevano averlo fatto a Natale.

Hai fatto iniziare alla vecchia una preghiera. Quella tipica per i morti. Ma era sbagliata, non erano morti, quindi l’hai interrotta. L’hai immaginata toccarsi la tasca, tastando qualcosa al suo interno e versare due lacrime, ma è stato solo un attimo. Qualcosa, da fuori, ha richiamato la sua attenzione. Un suono proveniente dal carro. Non hai saputo immaginare che suono fosse ma per la vecchia doveva avere un significato perché le hai fatto asciugare le lacrime e l’hai fatta uscire. Le hai fatto chiudere la porta, le hai fatto toccare per un attimo il legno, con la testa abbassata e gli occhi chiusi, come se un pensiero potesse trapassare dalla mano alla casa, e poi l’hai rimessa in cammino. Il carro l’ha seguita.

Le piscine comunali si trovano a pochi isolati dal casale dei Graffi. Ma è stata una lunga camminata per la vecchia. L’hai vista sopportare quel clima innaturale, non è caldo e neppure freddo, ma non è mite, è come un cadavere gelido che non ti si toglie di dosso e ti fa sudare.

Hai immaginato la vecchia guardare i suoi passi, meditativa, cercando di respirare con attenzione come se si potesse dividere l’aria pura da quella marcia. Forse una specie futura si sarebbe evoluta fino ad essere in grado di farlo davvero. Per ora, con quell’aria si poteva solo convivere finché le cose che lei portava non decidevano di voler essere le uniche ad abitare il tuo corpo e ti facevano fuori. O si poteva scegliere di affidarsi alla fiala.

Hai fatto procedere la vecchia senza curarsi dei suoni striscianti che venivano da ogni parte e i cartelloni avvizziti degli oculisti e dei dentisti e i volantini dei contrabbandieri di fiale attaccati sui muri e sparsi a tappeto per le strade deserte.

Insapori, inodori, indolori. Una nuova vita è possibile.

Centro chiamate: cornette penzolanti.

Fornaio: matasse di vermi ovunque.

Tane dei serpenti: in ogni angolo.

La vecchia è arrivata ansimando davanti al lungo edificio, una distesa cupola di vetro orizzontale. Un tempo era il più moderno della zona. Ora tutto sembra di proprietà del passato. Hai visto i vetri tremare per le frequenze basse di un pezzo da festa. Hai visto apparire sul volto della vecchia un cenno di quella smorfia che ha ereditato dalla madre e da tutte le donne della fattoria. Hai visto la smorfia sparire. Non ha senso esprimere alcun gusto quando non c’è scelta. L’hai fatta entrare. Hai immaginato il carro immettersi con lei attraverso l’entrata sufficientemente larga. Le piscine immobili, pallide e verdi. Fiale galleggianti sulla superficie dell’acqua. Bottiglie di vino: semivuote sui bordi delle piscine. Costumi da bagno: sparsi ovunque. In prossimità di una delle piscine, la vecchia ne ha calpestati due messi uno sopra l’altro che avevano un che di familiare. Li ha divisi col bastone per guardarli meglio, poi li ha riconosciuti e li ha rimessi vicini. Le hai fatto stringere le labbra per la rabbia mentre si toccava di nuovo la tasca. Poi il carro deve aver emesso qualche suono e allora hai fatto voltare la vecchia verso le casse che continuavano a far rimbombare la musica da festa. Hai fatto il possibile per immaginare la vecchia che staccava le casse o che prendeva a bastonate la musica portando a quel cimitero d’acqua il silenzio che gli si addirebbe, ma hai lasciato perdere. Hai fatto guardare alla vecchia l’apparecchiatura con gli occhi stretti e l’hai fatta uscire. L’hai allontanata dal centro abitato e l’hai diretta verso il bosco. Il carro con lei. Hai immaginato la musica della festa vuota continuare.

Hai fatto scendere la sera e sei a pochi secondi prima del tuo incontro con la vecchia. Decidi che sia questo il momento in cui ha infilato una mano tremante nella tasca. Le hai fatto tirare fuori la fiala.  Le hai fatto stringere le labbra e tremare la pelle della faccia. È stato un pianto trattenuto e breve. Le hai fatto portare la fiala alla bocca sdentata e le hai fatto bere il liquido verde. Il carro ha cominciato a emettere suoni sempre più cupi e spaventosi, simili a quelli che stai per percepire nel momento presente. La vecchia ha lanciato un urlo da sforzo, con la bava alla bocca e ha rimesso la fiala vuota in tasca. Hai immaginato che è a questo punto che ha cominciato a pronunciare parole sconnesse simili a sibili.

Ora hai creato i suoi ricordi recenti e sei di nuovo al presente.

Fai muovere gli occhi della vecchia da destra a sinistra, da sopra a sotto, come se qualcosa potesse attaccarla da un momento all’altro. Provocale spasmi pietosi. Come se cercasse di orientarsi tra un finora e un d’ora in poi. La vecchia avverte l’entità del costo. Che tra quei due universi semiotici non c’è comunanza di pensiero e percezione. Che nonostante la speranza, non può ignorare che ogni valore dato alla realtà è nullo se la coscienza da cui dipende si dissolve. Non hai mai visto nessuno emanare un terrore più grande. Pensi che la morte sia di gran lunga preferibile. Ma cosa ne sai? Non hai mai conosciuto nessuna delle due possibilità, né la morte né una vita diversa dall’unica che hai incastrata nel cervello.

Ma ora guarda quell’intrico di stracci e pelle impaurita assumere un che di regale. Solenne. Immagina che in questo momento la vecchia senta i ricordi congelarsi, farsi irraggiungibili. Ha come l’istinto di riprenderli perché se li perdesse sarebbe come perdere tutta la sua storia, ma non è questo in fondo che vuole fare? Lo capisce. Va bene. Fra poco non farà più paura. È già così. È quasi pace.

Un’ultima cosa. Si volta verso il carro. È già più agile. “Puoi smettere di seguirmi”. Il carro cigola. Puoi smettere di seguirmi, ho detto. C’è qualcun altro qui per te.

Vedi la vecchia ruotare la testa lentamente in una specie di danza, disegna col mento degli anelli nell’aria. Gli occhi perlustrano l’oscurità attorno, come se nel bosco scorgessero qualcuno. Come farebbe un rettile che ha percepito un topo.

Hai sentito bene. La vecchia ha sibilato. Stavolta è inconfondibile.

È il sommo resoconto del suo mondo umano al cospetto del nuovo mondo ofidico. Una lingua incomprensibile, un testamento a vuoto. Come l’addio di chi muore solo in un incidente alle plastiche del suo abitacolo.

Fai accartocciare la vecchia. Fai cadere il suo bastone lentamente, con un tonfo sordo sull’erba morta. I vestiti si svuotano, tutta la sua figura si sgonfia su se stessa. Come alito. L’odore potrebbe farti vomitare. Sangue, merda, ortica, trifoglio.

Immagina che la vecchia sia sparita, è l’ultima cosa che sai immaginare di lei. È fuori dalla portata dei tuoi sensi. Irrecuperabile. A pochi metri, una serpe si getta nel fitto del bosco.

In che storia hai voluto cacciarti? Perché sei qui? Cosa ti resta da guardare adesso? Guardalo avanzare di poco, cigolando. Ora puoi sentire davvero i suoni che la sua oscurità tratteneva. Ora ti riguardano. Pensavi davvero di volerli capire, ma ora che puoi… Un cucciolo è sempre più pesante di quanto credevi prima che ti capitasse in braccio.

Investendo i resti della vecchia sgonfiata, il carro traballa come un bambino che gattona. Schiacciando i vestiti rompe la fiala vuota da cui la vecchia aveva bevuto.

Si riassesta. Le ruote percorrono un metro lentissimo, stridendo, poi si fermano.

Il carro è davanti a te.

Hai qualcosa in tasca.