Faccia ammaccata
recensione di Luca Ruffinatto
dal numero di dicembre 2017
Carlo Loforti
MALÙRA
pp. 218, € 16
Baldini & Castoldi, Milano 2017
“È il centovettisettesimo giorno consecutivo che nessuno prova ad abusare sessualmente di me, ed è con questo record che mi appresto a lasciare il carcere”. Con queste parole Mimmo Calò inquadra la sua situazione di fresco ex-galeotto alle prese con un processo di reinserimento che si rivelerà, manco a dirlo, più complicato del previsto. Disoccupato, senza più una moglie ed una casa, con una figlia che non l’ha mai visto e promette di fargliela pagare cara, Mimmo Calò è tornato ed è nella consueta disposizione dolceamara nei confronti del mondo.
L’ancor giovane Carlo Loforti (1987), con questo secondo episodio delle avventure del suo anti-eroe palermitano, già telecronista sportivo, già proprietario di una sfincioneria bersagliata dalla sfortuna e dalla mafia, ci ripropone un Calò maturato e segnato dall’esperienza del carcere e dalla parure di fatti, personaggi e situazioni che quell’esperienza comporta (vedi ad esempio, la descrizione dei “faccia ammaccata”, nerbo della popolazione carceraria dell’Ucciardone). Forse una vena malinconica lo percorre, forse ha perso un po’ di quell’entusiasmo nel lanciarsi in sempre nuovi e clamorosi fallimenti professionali, ma il suo linguaggio gnomico-scatologico e la sua personalissima filosofia di vita non vengono meno.
Una filosofia perfetta per assorbire l’irrimediabile goffaggine e l’immancabile, spassosissimo, accumulo di guai che gli si abbatteranno sul capo. Al solito, Mimmo Calò affronta la vita col suo bagaglio di rutilanti metafore fisiologico-esistenziali, buone per ogni situazione: dal mero espletamento di funzioni corporali, il nostro distilla succhi morali assoluti e imperdibili. Con Malùra (titolo non troppo criptico anche per i non siciliani), Loforti ci racconta le nuove peripezie di questa sorta di eroe a rovescio: affetto da una marmorea passività in tutte le circostanze della vita in cui serve fare qualcosa per cavarsi dai pasticci, ma capace di fulminee iniziative autolesioniste quando c’è il rischio di peggiorare la situazione. Mimmo Calò mantiene comunque il suo aplomb davanti ai rovesci più assurdi, e fa pensare ad un Candide in fondo non meno ingenuo di quello originale.
I Pangloss, invece, sono millanta (dall’ex-compagno di cella Gaetano Santoro in su), e tutti a mostrargli che questo è il migliore dei mondi possibili, che è solo questione di adattarsi; ad esempio, se ti rubano la macchina, non mette caso di fare denuncia ai Carabinieri, bisogna solo andare nel quartiere giusto e rivolgersi all’uomo giusto. Questa volta, però, sembra che le improbabili peripezie del nostro si sciolgano in una specie di lieto fine provvisorio, un certo apparente equilibrio ritrovato, col padre, con l’amico di una vita, con la figlia. Ma non c’è troppo da crederci, il sospetto è che il prodigioso magnetismo di Calò per le disgrazie tornerà a farsi sentire prepotente come al solito. Carlo Loforti lo sa, come è vero che un piccolo Mimmo Calò si agita, si industria e soffre in tutti noi.
lucaruffi@hotmail.com
L Ruffinatto è giornalista e lettore del Premio Calvino