Anticanone letterario
recensione di Damiano Latella
dal numero di marzo 2018
Andrea D’Urso
LA STRADA È UN LIBRO APERTO
pp. 118, € 13
Vydia, Montecassiano MC 2017
Un diario di lettura travestito da romanzo on the road. Così potremmo definire La strada è un libro aperto di Andrea D’Urso, giunto al secondo romanzo dopo Just a gigolò (e/o, 2014) finalista alla XXVI edizione del Premio, e due raccolte poetiche. Tutto filtra attraverso la figura di un protagonista di apparente inettitudine, Arturo (nome che riecheggia il Bandini di John Fante), specialista nello scroccare cene a casa di vecchi conoscenti o alle inaugurazioni con buffet incluso. Oltre a rifiutarsi di andare a vivere da solo alla bella età di quasi quarant’anni, il nostro antieroe non intende impegnarsi nemmeno dal punto di vista sentimentale. E dire che, per una volta, ci sarebbe persino una donna interessata. Tra le poche passioni che lo animano, invece, spicca una vorace pulsione bibliofila, nella duplice veste di aspirante autore rifiutato dalle case editrici e di avido lettore. “Per molti Milano era la città da bere, la città della moda, la città della Scala, la città della Madonnina, la città dei grandi affari, la città dell’Expo, la città più bella di quello che si credeva. Per me Milano era la città dell’Adelphi, in virtù dei 584 libri che gli avevo comprato nel corso degli anni”. Con i pochi soldi ammonticchiati grazie a lavori occasionali di vario genere, Arturo si concede solitari viaggi in automobile, all’unico scopo di visitare le tombe degli scrittori a lui cari per deporvi simbolicamente una loro opera, non per forza la più conosciuta. Sarebbe molto facile per un romano guardare in casa e limitarsi ai confini dell’Urbe, tra il Cimitero del Verano e quello degli Inglesi. Basti citare Moravia, Ungaretti, Amelia Rosselli… Invece Arturo si lancia in itinerari rigorosamente low cost che lo conducono dopo parecchie ore di guida in luoghi periferici, sia in senso geografico che in senso editoriale. Si compone in tal modo una sorta di bizzarro e raffinato anticanone letterario, solo in parte adelphiano, che saggiamente si allarga a includere più voci femminili e senza trascurare la poesia.
Non li citeremo tutti, ma si parte dal borgo d’infanzia di Dolores Prato, Treia, in provincia di Macerata; si passa poi al lago di Varese, nella casa rosa abitata da Guido Morselli; si ritorna a Roma per omaggiare uno dei meno noti fra i nomi illustri che riposano a pochi passi dalla Piramide Cestia, Juan Rodolfo Wilcock; fino a un’incursione all’estero, sulle orme di uno scrittore che non ha una tomba vera e propria, Roberto Bolaño. È difficile stabilire quale sia tra questi autori lo spirito più affine ad Arturo, e proprio in questo risiede il fascino sottile degli accostamenti. Più semplicemente, tutti e nessuno, in una inesauribile ripetizione dell’eterna domanda sul senso profondo della letteratura. Sono tanti gli incipit scritti e poi accantonati dal protagonista, che, come dice lui stesso, “lì per lì gli spumantizzano dentro” per poi finire in un vicolo cieco nel volgere di qualche pagina. Eppure non bisogna avere paura di cestinare le prove non convincenti. Alla fine del lungo pellegrinaggio, la risposta non è solo un libro aperto, ma un libro ancora da scrivere.