Il mondo in una via
recensione di Laura Mollea
dal numero di aprile 2016
Alessandro Musto
VIA ARTOM
pp. 317, € 15
RaiEri, Roma 2016
“La reputazione di via Artom e del reticolo rettangolare di stradine affiancate era terribile in tutta la città soprattutto negli anni ottanta, ma faticava a migliorare. ‘Via Artom’ era una coppia di parole che a Torino evocava immediatamente, con suprema potenza, l’eroina e i suoi esangui adepti, i tossici. Ad ogni modo, quasi nessun torinese era mai stato in via Artom, se non chi vi abitava”. Le vicende narrate in Via Artom di Alessandro Musto non hanno niente a che fare con eroina e tossici: nel romanzo via Artom diventa lo snodo simbolico di tre narrazioni distinte, che tali rimangono quasi fino alla fine. La prima riguarda Fabio che in via Artom ci abita e nel 2003 assiste al crollo del palazzo simbolo degli operai Fiat di prima immigrazione e dei problemi sociali che avevano reso emblematico il nome della via; la seconda narrazione riguarda il giovane Tariq e la sua migrazione dal Marocco alla comunità Crocevia di San Salvario; la terza riprende invece gli ultimi anni di vita del giovane Emanuele Artom, dal 1941 alla morte avvenuta nel 1944. Il trait d’union dei tre fili narrativi è il personaggio di Enrica, giovane fotografa che abita in via Sacchi nell’appartamento che era stato della famiglia Artom, che va a fotografare il crollo del palazzo, che aggancia prima Fabio e poi Tarik per farne i protagonisti di una mostra fotografica su migranti, pregiudizi, odio razziale. Via Artom, segnalato nel 2015 alla ventottesima edizione del Premio Italo Calvino e primo classificato alla quarta edizione del Premio La Giara, è un romanzo che rivela numerosi pregi, primo fra tutti la capacità di racchiudere un mondo intero in una via, un mondo dove le coordinate spazio-temporali variano e risultano al tempo stesso ben saldate tra loro, perché accomunate dalle dinamiche e dalle tematiche (la periferia di una città e le periferie del mondo; la in/capacità di accogliere il diverso da sé; inclusione, esclusione e persecuzione sociale; la memoria e la storia come scrigno su cui lasciamo accumulare polvere; le ondate migratorie del passato e quelle attuali…). Via Artom diventa quindi una sorta di caleidoscopio in grado di dar vita a una molteplicità di narrazioni simmetriche e alternate, tenute insieme da una struttura semplice e regolare, che scandisce per capitoli le vicende di Fabio/Tariq/Emanuele.
Avvincente il “racconto nel racconto” del secondo capitolo, quando l’affabulatore Abdellatif, presunto zio di Tariq, narra la fuga di Driss Rabeh ai compagni di viaggio nel buio cassone del camion che li sta trasportando a Melilla, dove tenteranno di varcare la frontiera con la Spagna. Singolare e riuscita l’idea di raccontare la storia di Emanuele Artom in seconda persona, un “tu” pieno di empatia e ammirazione per la figura storica, restituita con precisione e competenza, senza peraltro cadere nel didascalismo. Interessante la resa del milieu culturale della famiglia Artom (e delle altre famiglie ebree che vivevano a Torino prima della guerra). Questo e altro ancora. Un esordio brillante. Un romanzo che fa dialogare presente e passato, rapportandosi a entrambi in maniera convincente.