La semiosfera dei corpi mutanti
Massimo Maurizio (a cura di)
La mia vagina. Antologia di poesia femminista russa contemporanea
pp. 274, € 19
Stilo Editrice, Bari, 2024
Al lettore italiano di oggi la locuzione ‘femminismo russo’ può apparire quasi ossimorica. Le politiche belligeranti e repressive portate avanti dalla Russia trasmettono in Occidente l’idea di un paese retrogrado e poco sensibile alle questioni che scuotono la cultura accademica e pop di questa parte di mondo. E a proposito di cultura pop, vorrei partire da una scena della serie Machos alfa di produzione spagnola, che riflette con leggerezza e simpatia sulle tematiche di genere: i quattro protagonisti, uomini “decostruiti” che hanno affrontato un lungo e tortuoso percorso per liberarsi degli stereotipi della mascolinità virile, vengono invitati al festino privato di un oligarca russo, un uomo tutto d’un pezzo, ottuso e circondato da donne seminude; uno dei quattro cerca di intraprendere col festeggiato una conversazione costruttiva, che si rivela ben presto impossibile e che termina con una domanda retorica dai toni evidentemente sarcastici: “voi in Russia non parlate di queste cose, vero?”. Ecco, con la sua antologia Massimo Maurizio dimostra al pubblico occidentale che la risposta a questa domanda può essere sorprendente. Le autrici delle poesie inserite nella raccolta mostrano non solo di possedere un altissimo grado di consapevolezza delle problematiche derivanti dal sistema etero-patriarcale, ma anche di saper maneggiare con originalità e maestria gli strumenti critici del discorso femminista.
Maurizio raccoglie e traduce le opere di diciannove poetesse russofone, tutte impegnate in un’intensa e viscerale riterritorializzazione e risemantizzazione del concetto di femminilità. Nella prefazione, il curatore traccia un quadro completo e complesso delle diverse forme in cui si articola il rapporto tra linguaggio poetico-letterario e discorso femminista in epoca tardo e post-sovietica, evidenziando come il movimento attuale dell’ “f-pis’mo”, “scrittura femminista” in lingua russa, si caratterizzi per l’attitudine ad accampare “uno spettro di rivendicazioni più ampio rispetto al femminismo occidentale, prima di tutto nel senso della difesa dei diritti delle minoranze sessuali, che, come è noto, in Russia vengono discriminate con crescente ferocia”. Cresciute in un mondo crudele e machista, le poetesse tradotte da Maurizio rinunciano allo status passivo della vittima, non limitandosi a distruggere il paradigma patriarcale, ma unendosi per creare delle nuove coordinate assiologiche, un nuovo modo di ragionare, comunicare e vivere che fa perno su due aspetti fondamentali: la corporeità e la lingua. Il corpo femminile che abita queste poesie è uno spazio capace di raggrumare nei propri anfratti nuove e infinite possibilità semantiche, assorbendo significati che il linguaggio tradizionale gli aveva negato e forgiando un codice linguistico di matrice filosofico-sensoriale che, grazie al magistrale lavoro del traduttore, conserva le sue capacità espressive e immaginifiche anche nella versione italiana. Così la vagina, il seno, il clitoride, la vulva diventano strumenti per conoscere sé stessi e l’altro, luoghi che vanno decolonizzati dalle definizioni imposte per esprimere il proprio potenziale privato e politico, parole che vanno liberate dai filtri censori per immettersi nel discorso comune e obbligarlo a confrontarsi con la loro presenza. Esempi particolarmente compiuti di queste strategie sono, a mio avviso, le prime due poesie, La mia vagina, che dà il titolo alla raccolta, e La categoria del reggiseno. Nonostante i venticinque anni che le separano, i cui segni sono rintracciabili nella diversità dei toni – polemico ed esplicitamente militante quello della prima, più giovane, e marcatamente ironico quello della seconda, figlia dello scetticismo postmoderno degli anni ’90 –, le opere hanno in comune la tendenza a rendere rispettivamente la vagina e il seno epicentri in cui si attua l’interferenza tra l’io e il mondo, tramite un movimento di liberazione dalle incursioni esterne e di riappropriazione del corpo, attuato, nel primo caso, attraverso la parola, “il monologo” incensurato, e nel secondo attraverso una nudità disinvolta e incurante dei giudizi altrui. I corpi descritti dalle autrici sono sanguinanti, desideranti e purulenti contraddizioni dell’immagine astratta e stereotipata dell’eterno femminino, candido e immateriale. Le protagoniste dell’antologia sono donne in carne e ossa, che parlano con disinvoltura delle proprie pulsioni sessuali, spesso dirette a e soddisfatte da altre donne. Lontano dalle derive TERF ed escludenti di alcune fila del femminismo radicale occidentale, il suo corrispettivo russo è dominato da una profonda apertura alle molteplici declinazioni della femminilità indipendenti dal sesso biologico, da una spiccata sensibilità nei confronti dell’ibrido che si sostanzia in figure di corpi mutevoli, in grado di assumere tratti proibiti e sconcertanti per i diktat conservatori. Così, in La mia vagina il corpo del compagno dell’autrice perde le sue caratteristiche virili e diventa un sistema fluido abitato dalle fantasie non-binarie della poetessa:
“Amo quando il tuo membro è coperto del mio sangue, /e mi piace pensare che anche tu abbia le mestruazioni, /che un sangue tiepido e salato sgorghi dal piccolo buchino/sulla tua cappella.”
La femminilizzazione del maschile è inoltre il tema centrale de La regola della disgregazione, dedicata appunto a un uomo in fase di transizione sessuale. Qui il corpo perde la sua compattezza per farsi luogo di frantumazione, di accoglienza e coesistenza di aspetti tradizionalmente incompatibili, in una trascendenza post-umana dietro la quale si cela la scoperta di un nuovo sé: “ho fatto sesso con un androide/poggio dopo poggio il futuro giungeva a me”.
Al maschio-androide si oppone il maschio autoritario e violento, espressione frattale di uno stato patriarcale e sessista, la cui intrinseca pericolosità è sottolineata dall’uso di calembour che evidenziano, per esempio, la radice comune di “nazista” e “nazione”. Le esperienze di vita delle scrittrici sono pervase da un costante confronto con la violenza, che trova espressione in quasi tutte le opere della raccolta: la violenza domestica invade i ricordi e irrompe nella vita sottoforma di una signora che regge in mano un pezzo del proprio scalpo nel giorno della feste delle donne; la violenza coloniale modella i contenuti espressi da molte poetesse; la violenza dell’indifferenza rende disturbante la lettura di Natale e, infine, la violenza vendicatrice si erge come unica e disperata forma di resistenza nella poesia dedicata alle sorelle Chacaturjan, processate e arrestate per aver ucciso il padre stupratore.
Nonostante questo, il mondo monolitico e opprimente della Russia conservatrice non riesce ad avere la meglio e, anzi, viene ribaltato e messo in crisi da un nuovo discorso le cui strategie e i cui presupposti, grazie alle scelte oculate del curatore, si svelano e si solidificano con l’avanzare della lettura, generando nella mente del lettore una mutazione attuata tramite la non-arma della parola e ottimamente sintetizzata dalla strofa che chiude l’antologia: “Tu sei/La vittima/Di una violenza/Di gruppo/Che ha/Nome/Vagina”.
martina.greco.1@phd.unipd.it
Martina Greco è Dottoranda in Letteratura russa contemporanea presso l’Università di Padova