recensione di Eduardo Savarese
Paolo Massari
Tua figlia Anita
€ 17, pp. 176,
Nutrimenti, Roma 2023
Si cimenta con il grande tema della perdita Paolo Massari col suo romanzo di esordio, Tua figlia Anita (Nutrimenti). Lo fa scegliendo la prima persona, che corrisponde alla voce del marito di Anita, Giacomo, il vedovo, il sopravvissuto che per tutto il romanzo si rivolge a un altro grande assente, suo suocero, il poco simpatico padre di Anita. Ecco l’incipit: È morta la tua ultima figlia, l’unica che meritava di vivere. Ti ha cercato tanto. Ha passato pomeriggi interi a sgolarsi. Dalle case vicine qualcuno ha gridato: ‘E bastaǃ’.
Lo scheletro di trama e struttura narrativa appena descritto consente di comprendere subito che non solo Massari si confronta con la perdita, come tema (e, qui, la malattia e la morte prematura), ma che questo lo fa nel modo, a mio avviso, formalmente più arduo: restituire il personaggio quando ormai è morto, attraverso la memoria di chi racconta, e inscenare questa memoria con la voce della prima persona, rischiando in tal modo di precipitare a ogni pagina nella retorica del dolorismo. Ebbene, tutti questi rischi Massari li annichilisce donandoci un romanzo misurato: il dolore che ci viene raccontato è misurato dalla necessità di chi vive ancora, e racconta, di conservare un’immagine veritiera di quel che Giacomo e Anita sono stati insieme (dunque arrivano pagine di crudezza, talvolta di cinismo, ma anche di divertimento, così come di risentimento: c’è tutto, com’è vero che vi è tutto in ogni fenomeno di relazione umana. Lo capiamo dopo. Lo comprendiamo mediante la letteratura, principalmente); lo sgomento per l’assenza del corpo amato per trent’anni di vita insieme è misurato dalle incombenze di chi è rimasto – il funerale, l’interminabile pranzo con le sorelle di Anita (che va avanti per pagine e pagine, e in mezzo ritorna il passato, con i ricordi, con le immagini), la testardaggine dei fatti, delle ore che vanno comunque affrontate e vissute; la gravità della morte è misurata dall’iridescenza commovente dell’esperienza di un amore prolungato per decenni. Tutte le minuzie, anche quelle sceme, o banali, o imbarazzanti, o disdicevoli, tutte le piccole diaspore e i ritrovamenti della relazione tra Giacomo e Anita sono registrati, di ricordo in ricordo, nella forma di una lunga, liberatoria confessione al suocero, e assurgono al rango di materia preziosa, di impasto irripetibile, di esperienza sentimentale ed etica capace di rivendicare la profonda dignità di tutto quanto è stato: A un certo punto Don Pietro, per provare a non incepparsi più, ha cominciato a parlare della luce. ‘Dio l’ha chiamata con sé e ora lei vede la luce’. La luce eterna, la luce di Dio, la luce della salvezza. Mi sono immaginato Anita su una bella poltrona gialla, Dio seduto accanto a lei tutto vestito di bianco, una lampada soffusa e il tavolino da tè. Neanche Anita pensava alla luce del Signore. Ha solo accettato il suo destino. Con una calma che non ho mai capito da dove le potesse arrivare.
Massari però riesce anche in qualcosa di ulteriore. Forse l’effetto più toccante e durevole del suo romanzo: Anita riprende vita. E noi lettori siamo sinceramente dispiaciuti che sia morta alle soglie dei cinquanta. Non siamo dispiaciuti per Giacomo. Ma proprio per Anita. Al di là della loro relazione. O meglio: che Giacomo l’abbia amata tanto è misurato dal fatto che Anita non è un oggetto d’amore, ma un soggetto libero, una creatura complessa, amata proprio per questo. Ed è allora comprensibile, e non affatto una scelta di comodo o un pretesto emotivo, che la voce narrante si rivolga proprio al padre di Anita. Che, come ogni padre, ama e conosce sua figlia, che in qualche modo perde sua figlia già quando lei se ne va via di casa, e che non può non rivendicare la libertà della creatura alla quale ha dato la vita. E, ora che Anita e suo padre sono entrambi morti, ciò risuona in modo ancora più forte e si tinge anche di una forma di inevitabile inquietudine. In questo romanzo, il lettore trova tanta parte dell’inquietudine fondante che serpeggia nel genere umano nelle tappe ordinarie dell’esistenza. Infine, questa inquietudine è misurata dalla lingua di Massari: una prosa classica, con tutte le parole giuste al posto giusto, e con un ritegno riservato che, forse, in futuro potrà evolversi in altro, ma che intanto oggi restituisce al lettore una voce credibile come poche: Avrei potuto fare di più, in questi mesi e anche prima. Sono cose che capisci quando non c’è più tempo per riparare ma vedi, la morte in questo somiglia alla vita, si impara via via e forse tu stesso, come me, ne sai poco.