di Vladimiro Bottone
Nando Vitali
Notturno napoletano
pp. 64, € 10
Colonnese, Napoli 2024
Quella di Nando Vitali è una ormai lunga, valorosa militanza al servizio della scrittura, oltre che del suo insegnamento. Il suo universo immaginario coincide, il più delle volte, con il perimetro di una Napoli non scontata, laterale sia rispetto ai grandi affreschi della tradizione, sia rispetto a certi corrivi set predisposti alla serialità. Con Vitali, dunque, siamo lontani dalla città sovraesposta e sovra-raccontata. La sua lente di ingrandimento, casomai, preferisce spingersi verso quartieri operai come Bagnoli, dalle atmosfere calcinate, ferrose. Questo “Notturno napoletano”, tuttavia, scampa anche al pericolo di una declinazione piattamente realistica, ma in realtà artificiosa quando non retorica e miserabilista, della marginalità napoletana. Al contrario, questo dittico che affianca due racconti lunghi ruota intorno a una coppia di episodi notturni, entrambi all’insegna di una narrazione che sa rendersi, in certi momenti, favola morale e che, proprio attraverso questo passo antirealistico, ha la capacità di sorprendere prima, incantare poi il lettore.
Il primo racconto, Luisella, è ambientato in mezzo alle ombre delle Quattro giornate napoletane del ‘43. Dunque in una cornice che tenderebbe a favorire le tinte accese, i trionfalismi sopra le righe. Al contrario, in Vitali gli eventi insurrezionali fungono da sfondo macrostorico che mette in primo piano una vicenda di trascurabilissimi individui. Ovvero il corpo a corpo fra quelli che potremmo definire due scarti dell’esistenza. Il primo è Luisella: non più giovane, gobba, rassegnata ad un destino di solitudine e ignara dell’amore fisico (“non è coraggiosa, né vigliacca, solo un insetto che sa, prima o poi, di essere scarpesato). Il suo equivalente, nonché controparte è Franz: un militare tedesco tagliato fuori dalla ritirata del suo reparto e ospitato da Luisella. La tardiva, tenera e animale scoperta dell’amore fisico si consumerà, per la donna, con lui. Un amore non amore fra reprobi, dunque, esposti in ogni momento a venire schiacciati dal tallone di ferro della Grande Storia, un rombo che sovrasta la nuda vita di coloro che possiedono solo se stessi.
Se Luisella si rapporta comunque ad un ancoramento storico ben determinato, il secondo episodio del dittico (Zampanò, il lupo mannaro di Bagnoli), si sgancia verso una dimensione più marcatamente favolistica, che sembra oscillare fra Chagall e Fellini. Federico il Grande che, proprio attraverso il gioco citazionistico e il clima a tratti onirico del testo, si profila come l’ispiratore immanente al racconto. Anche in questo caso, il nucleo narrativo è costituito dall’incontro fra un uomo e una donna, destinati all’impossibilità dell’amore reciproco. Parliamo di Zampanò e di Margherita, tenere creature dai contorni circensi tra Fellini e Chagall, in balia della crudeltà gratuita che infesta l’animo degli umani. In questo omaggio non criptico al regista riminese, che nulla toglie all’originale inventiva di Vitali e alla sua crudele levità, l’autore gioca abilmente con i propri peculiari fantasmi: Bagnoli, una sorta di periferia dell’umanità intera; la vulnerabilità creaturale di alcuni destini; gli intarsi dialettali della lingua madre, il napoletano, che affiora come un fiume sotterraneo nell’immaginario di Vitali e nel suo italiano cesellato, ma senza leccature. Dove si riscontra, in questo volumetto impreziosito dal controcanto delle suggestive illustrazioni di Luca Dalisi, il valore narrativo di Vitali? A mio avviso, nella sua capacità di trasfigurare gli stigmatizzati (deformi, alcolisti, disertori) in portatori di poesia; nella sua innata capacità di trasformare delle ambientazioni disadorne, altrettanto antiestetiche, in occasioni per liberare tutta la pregnanza immaginativa di uno stile coerente come pochi e fedele, come pochissimi, ad una propria idea di moralità letteraria.