recensione di Mauro Maraschi
Claudia Petrucci
Il cerchio perfetto
pp. 232, € 16
Sellerio, Palermo 2023
Roma. La quarantaduenne Irene Sartori è una curatrice fallimentare di successo, conduce un’esistenza incentrata sul lavoro e nutre un vago desiderio di maternità inappagabile nelle sue condizioni attuali. Vorrebbe cambiare tutto, ma è vincolata da una relazione esausta con un uomo di vent’anni più anziano. Così, quando l’avvocato Ferrari le affida un incarico a Milano – un immobile prestigioso quanto difficile da piazzare – Irene non ci pensa due volte e fa ritorno nella città natale, dove può tra l’altro rivedere la famiglia e informarsi presso una clinica per la fecondazione assistita. Fatta eccezione per gli attriti con il padre, ex archistar incattivito dall’invalidità, la “pausa da Roma” si rivela salutare.Le cose si complicano quando Irene scopre che la casa di via Saterna, dove si è recata per l’inventario, è occupata da tale Lidia, giovane confusa che sostiene di essere la figlia degli ex proprietari caduti in disgrazia. Irene le intima di sparire, ma dopo averne ascoltata la storia le si affeziona sempre di più, tanto che per lei finirà per mettere a rischio la propria carriera pur di proteggerla.
Detta così, sembrerebbe una storia su buoni sentimenti, rivalsa sociale e sorellanza. Niente di tutto ciò: Il cerchio perfetto è un romanzo crudele, amorale e implacabile. Pensato intorno a due colpi di scena degni di un giallo, ha comunque caratteristiche da letteratura alta, in particolare l’atipica struttura: alla trama principale, infatti, ne è avvinta una secondaria che ha come protagonista un’altra Lidia, giovane rampolla morta negli anni Ottanta in circostanze misteriose; ma se l’espediente di alternare due plot è comune, in questo caso la particolarità è data dal fatto che la trama al passato procede a ritroso, in ordine cronologico invertito. Una scelta che richiede un lavoro certosino di giustapposizione(si pensi al film Memento), e che in questo caso risulta efficace: al di là di un possibile disorientamento iniziale, infatti, questa struttura sembra il modo migliore per raccontare una storia di bugie la cui scaturigine si trova sempre un passo prima.
Claudia Petrucci (classe 1990) aveva già dato prova del suo talento con L’esercizio (La nave di Teseo, 2020), romanzo d’esordio che spiccava sia per l’originalità dell’idea di partenza sia per l’equilibrio tra ricerca stilistica e capacità di intrattenere. In quel caso, Petrucci raccontava un disturbante esercizio di manipolazione, il tentativo di due uomini di contribuire alla riabilitazione psichiatrica di una giovane donna riscrivendone l’identità sotto forma di copione teatrale: un soggetto da racconto allegorico tradotto in una narrazione verosimile dalla prima all’ultima pagina. Con Il cerchio perfetto l’autrice parte da uno spunto meno stravagante ma osa di più nella sovrapposizione dei piani di verità. Degno di nota è l’alto numero di elementi in comune tra L’esercizio e Il cerchio perfetto: una protagonista portata per l’eccellenza (Giorgia nel teatro, Irene nel lavoro) eppure succube di uomini infantili ed egocentrici; un personaggio carismatico, mellifluo e imperscrutabile che è, per molti versi, il vero protagonista (lì Mauro, qui il padre); il tema della manipolazione (lì a fin di bene, qui atroce, disambiguata); una rappresentazione dei personaggi intesi come incarnazione di un percorso esistenziale che non è mai didascalizzato, bensì affiora attraverso tic fisici o linguistici, vestiario, scelte alimentari, modus operandi e in generale rapporti umani che sembrano pensati per confutarne l’identità ufficiale. Forse, rispetto all’Esercizio, si sente la mancanza di un approfondimento dei personaggi secondari:la trama principale vede coinvolte soltanto le due donne e si svolge tutto sul palco della loro recita sociale, simile a un’allucinazione (alcune sequenze attraverso Milano lo sembrano); dispiace perché ogni volta che un comprimario esce dall’ombra si rivela così ben tratteggiato, così vivo, che viene voglia di ritrovarselo in scena più a lungo: si vedano il siparietto con l’amica Francesca, la seduta di bellezza con la sorella Elena ma soprattutto l’apparizione del padre, la cui arringa al desco di famiglia vale da sola la lettura del libro (“Anni di studi di Architettura, ti abbiamo pagato l’università, fatto conoscere le persone giuste, tutte le persone giuste, con il proposito di garantirti una vita con un vago significato, una minima tensione verso uno scopo nobile… E tu hai deciso di fare il rigattiere”); eppure, come si capirà, si tratta di una scelta quasi inevitabile. A latere, va aggiunto che la presenza di qualche elemento futuristico non è sufficiente per parlare di una distopia, ma serve al massimo a suggerire l’imminente collasso delle relazioni umane in un mondo in cui, grazie alle distanze consentite e imposte dalla tecnologia, prevalgono falsità e doppiezza. Se L’esercizio era un’opera prima in stato di grazia, Il cerchio perfetto, pur danzando in un paio di occasioni con gli oneri dell’ambizione, intrattiene e sfida il lettore con una storia nella quale empatia e speranza non trovano spazio e i rapporti umani, alla fine dei giochi, si rivelano poco più di una grande messinscena opportunistica.