Witold Gombrowicz – Diario

Come l’acqua che si insinua

di Lidia Mafrica

Witold Gombrowicz
Diario
a cura di Francesco Maria Cataluccio,
ed. orig. 1966, trad. dal polacco di Vera Verdiani,
pp. 928, € 60,
il Saggiatore, Milano 2024

La recente proposta del Diario da parte del Saggiatore rientra nel lungimirante progetto editoriale dedicato a Witold Gombrowicz, partito nel 2017 sotto la curatela di Francesco Matteo Cataluccio, che nel denso saggio in apertura della nuova edizione del diario pubblico dello scrittore descrive l’opera come “il compimento di un percorso intellettuale ed esistenziale profondo e doloroso”. Nel 1953 Gombrowicz iniziò a compilare il Diario in Argentina, dov’era giunto nel 1939, inconsapevole che la scelta di salpare verso il paese sudamericano quando “ancora [lo]frastornava il boato guerresco dei giornali” (Diario) si sarebbe rivelata una sliding door che avrebbe avuto ripercussioni sulle proprie esperienze personali e sul proprio percorso di scrittore. Nonostante la porta della “gabbia argentina” – utilizzando una sua definizione – fosse aperta, Gombrowicz vi rimase da esule per ventiquattro anni, rientrando in Europa solo nel 1963 e senza fare mai ritorno in Polonia. Nel periodo dell’autoesilio argentino e oltre, i frammenti del Diario apparvero sulla rivista dell’emigrazione polacca dell’Instytut Literacki di Parigi, “Kultura”, diretta da Jerzy Giedroyc. Nel 1957 l’Instytut Literacki ne raccolse e pubblicò in volume una prima parte (Dziennik 1953-1956). Fu in quell’occasione, che a mo’ di introduzione Gombrowicz scrisse il celebre incipit: “Lunedì: Io. / Martedì: Io. / Mercoledì: Io. / Giovedì: Io”.

Il Diario venne letto in Polonia illegalmente fino al 1986, quando apparve la prima edizione polacca, contenente una dozzina di tagli operati dalle forbici della censura, affilate persino negli anni in cui la Repubblica popolare di Polonia volgeva al tramonto (solo tre anni dopo fu data alle stampe la sua versione integrale). La nota dell’editore ne riassumeva così il contenuto: “Il tema principale del Diario è, ovviamente, lo stesso Gombrowicz”. Il Diario è una silva rerum al cui centro sta, invero, l’io dell’autore, o meglio l’io che l’autore crea a uso e consumo del lettore, ma soprattutto un io d’innanzi a, a contatto con e in relazione a gli altri (il singolo, la società, la Polonia), un io a proposito di (letteratura, filosofia, musica, cultura), e un io al contempo contro tutto questo, incluso sé stesso. I livelli di lettura del Diario sono svariati quanto lo sono i suoi temi e le sue forme: grazie alle sue importanti pagine di autoesegesi, può fungere, ad esempio, da peritesto autoriale della produzione letteraria di Gombrowicz, ma non mancano i passi in cui egli si concede all’indiscreta curiosità di chi legge rendendo pubbliche diverse questioni personali. “Bisognava […] che il Diario non fosse una confessione, ma che mi mostrasse ‘in azione’, nella mia intenzione di impormi alla gente in un certo modo e non in un altro”. Non il “Io sono così”, ma il “Sono così per voi”, dichiarava Gombrowicz nel Testamento. Le annotazioni contenute nel Diario, ora ampi saggi, ora brevi note, ricoprono i diciassette anni (1953-1969) trascorsi dall’autore tra l’Argentina e l’Europa (Berlino e la Francia), suddivisi in altrettanti capitoli che per la prima volta nella storia delle edizioni italiane dell’opera il Saggiatore propone in un unico, poderoso volume, che comprende, in appendice, i testi Contro i poeti e Sienkiewicz.

Il Diario sarebbe potuto circolare in Italia già agli inizi degli anni sessanta, quando presso Einaudi si preparava l’uscita di Ferdydurke. Nella corrispondenza con l’editore torinese, interessato anche al Diario (Fondo Einaudi, Archivio di Stato di Torino), l’autore ribadiva l’importanza di una contestuale uscita del suo primo romanzo e del Diario, capace, in quanto “parfait commentaire” a Ferdydurke, di accompagnarlo nel miglior modo, ma anche di presentare lo sconosciuto autore ai lettori italiani. “I diari di solito vengono comprati perché l’autore è celebre. Io invece l’ho scritto per diventare celebre”, avrebbe infatti affermato l’autore nel Testamento. Tornando ai progetti sull’uscita del Diario in Italia, fu solo nel 1970, quando era ormai Feltrinelli a pubblicare con continuità parte dell’opera di Gombrowicz, che ne venne dato alle stampe un primo volume tradotto da Riccardo Landau (Diario 1953-1956), cui, nel 1972, seguì il secondo (Diario 1957-1961). Sempre Feltrinelli, negli anni Duemila, ha ripubblicato nella nuova traduzione di Vera Verdiani il diario dell’autore, in due volumi ampliati e aggiornati al 1969.

Scrive ora Cataluccio: “tutto il Diario ha […] una struttura che, a una lettura unitaria, rivela un sapiente dosaggio di ritmi, temi che come fiumi sotterranei rizampillano fuori a distanza di decine di pagine, e di anni, riprendendo esattamente la questione da dove era stata lasciata”. Una metafora acquatica che ne richiama un’altra dello stesso Gombrowicz: “Non voglio essere un’onda che si abbatte con violenza contro lo scoglio: nel Diario voglio essere un’acqua che filtra, scorre e alla fine si insinua”.

lidia.mafrica@students.uniroma2.eu
L. Mafrica è dottoranda in studi comparati all’Università di Tor Vergata di Roma

Foderato di sé

di Nadzieja Bakowska

Witold Gombrowicz (1904-1969) è indubbiamente una delle più importanti voci della letteratura polacca del Novecento.

Nel 1939 parte per l’Argentina, dove rimarrà circa vent’anni. La sua fortuna internazionale inizia dagli anni sessanta, dopo la pubblicazione in francese del suo celebre romanzo Ferdydurke (1958) e il suo ritorno in Europa (soggiorna un anno in Germania, per poi stabilirsi definitivamente in Francia). Oggi, grazie alle numerose traduzioni, ritraduzioni e ristampe, i lettori italiani possono conoscere la maggior parte della sua produzione anche in lingua italiana: romanzi e testi teatrali, racconti e scritti autobiografici.

Alcuni lo giudicano arrogante, superbo, orgoglioso: in compagnia non tollerava discorsi superficiali, banali o di cortesia. Altri riconoscono la “grande audacia del suo spirito” (Czelaw Miłosz). La personalità e l’immagine di Gombrowicz, con tutta la sua ambizione e la convinzione della propria genialità e grandezza da un lato, e con tutti i suoi complessi, le debolezze e le ossessioni dall’altro, fanno sì che tuttora lo scrittore susciti emozioni contrastanti.

In una lettera, lo scrittore polacco Zbigniew Herbert avverte il futuro Premio Nobel Miłosz: “Sono molto preoccupato per i tuoi contatti spirituali con Gombrowicz. Mi raccomando, stai attento, perché, per quanto artista, è un depravato”. I suoi interlocutori non capivano mai dove iniziasse e dove finisse la provocazione: Gombrowicz, come la sua opera, è “inquietante, provocatorio, enigmatico” (Miłosz).

L’autocreazione, l’ironia, l’umorismo grottesco e la provocazione culturale, sociale, linguistica e intellettuale permeano tutta la sua opera. L’autoreferenzialità non è solo l’espressione della sua megalomania, ma è parte di un raffinato gioco intellettuale che coinvolge chi legge. In un’intervista lo scrittore puntualizza: “Chi sono io? È una domanda che non ha senso, perché non esiste un solo io. Io sono l’incarnazione di qualcuno chiamato Gombrowicz e, come un attore, recito una qualche finzione di me stesso”.

Nelle sue opere Gombrowicz sviluppa una precisa visione dell’uomo e dell’arte della parola. L’unica costante è per lui il continuo cambiamento: ogni forma deve crollare nello scontro con la vita, similmente a quanto accade nello scontro pirandelliano tra le norme e il flusso anarchico della vita, quando cadono le maschere. I suoi scritti autobiografici, come Diario, Testamento (1968: Feltrinelli, 2004), Una giovinezza in Polonia (1977: Feltrinelli, 1998) o Kronos (2013: il Saggiatore, 2018), oltre a contribuire al ritratto personale dell’autore, gettano luce sull’interpretazione delle sue opere di finzione, come i racconti della raccolta Bacacay (1957: il Saggiatore, 2022); i romanzi Ferdydurke (1938: il Saggiatore, 2020), Trans-Atlantico (1953: Feltrinelli, 2005), Cosmo (1965: Feltrinelli, 1990) o Pornografia (1960: Feltrinelli, 1994); i drammi Il matrimonio (1953: Einaudi, 1967), Iwona (1938: Lerici, 1963), Operetta (1967: Einaudi, 1968) e Storia (1962: “MicroMega”, 1993).

Lo scrittore cerca ossessivamente l’autenticità, sfida la propria (e l’altrui) forma, sia letteraria sia sociale. “Voglio essere solo Gombrowicz”, scrive. Parafrasando il titolo del suo racconto Filidor foderato d’infanzia, si può affermare che Gombrowicz vuole essere foderato solo di Gombrowicz. Ma forse anche noi che lo leggiamo siamo talvolta foderati di Gombrowicz, proprio quando si sveglia in noi il demolitore delle menzogne culturali.

nadzieja.bakowska@unibo.it
N. Bąkowska insegna lingua e letteratura polacca all’Università di Bologna