Charkiv ieri e oggi e la libertà
Serhij Žadan
Anarchy in the UKR
ed. orig. 2005, trad. dall’ucraino di Giovanna Brogi e Mariana Prokopovyč,
pp. 195, € 19.
Voland,Roma 2023
Il nome di Serhij Žadan (1974) è diventato un simbolo della vitalità della letteratura ucraina degli ultimi anni. Il suo romanzo Il convitto (2017, trad. it. 2020) è una delle più potenti testimonianze letterarie dell’aggressione russa all’Ucraina orientale del 2014, sfociata nel 2022 in un’invasione su larga scala. La più recente traduzione italiana di Žadan, invece, è un invito a un viaggio in un’epoca precedente gli sconvolgimenti degli ultimi dieci anni, anche se poi non così lontana, quella degli anni Novanta e dei primi anni Duemila. La scrittura di Anarchy in the UKR, uscito in Ucraina nel 2005, è quella di una prosa poetica in cui l’attenzione ai dettagli, agli elementi solo apparentemente insignificanti o magari squallidi sia dell’universo esteriore che di quello interiore del narratore in prima persona prevalgono sull’istanza narrativa. Il viaggio, in quelle terre dell’est ucraino oggi dilaniate dall’occupazione e dalla ferocia dei bombardamenti, è indubbiamente un elemento centrale del romanzo, soprattutto della sua prima parte, ma a fissarsi nella mente delle lettrici e dei lettori saranno probabilmente più gli elementi statici che quelli dinamici. La poetica del Žadan di Anarchy in the UKR non è odeporica, ma piuttosto una mappatura di luoghi, oggetti e stati d’animo dal sapore barocco. Come sottolinea Giovanna Brogi nella sua postfazione, Anarchy in the UKR è anche un romanzo di formazione, con il narratore che accompagna il suo pubblico tra gli spazi e le atmosfere della sua infanzia e adolescenza, trascorse in un mondo, quello tardo-sovietico, tanto ormai lontano quanto ancora così profondamente tangibile.
Se la letteratura ha il potere di prevedere il futuro, come si è detto a proposito di tanta distopia novecentesca, le pagine che Žadan dedica alla metropolitana di Charkiv ne sono una dimostrazione lampante. Una città a soli trenta chilometri dal confine con la Russia che ha resistito e tutt’ora resiste a continui attacchi, dopo la conclusione di una battaglia di quasi tre mesi nel maggio 2022, è al centro di pagine che non possono che sconvolgerci per la loro chiaroveggenza. “La città deve potersi difendere, anche in condizioni di pace deve essere in grado di lottare per la propria vita, figuriamoci in caso di bombardamento atomico”, dice il narratore di Žadan a proposito dei meandri della metropolitana di Charkiv. Lo stesso narratore che in sintonia con il titolo del romanzo finge di non interessarsi di politica, “se non quando si è infilata sotto la porta di casa mia e ha iniziato a puzzare proprio nella mia cucina”. E se i primi quattro quinti del romanzo sono dominati da Charkiv, dalle strade che la collegano alla regione di Luhans’k e dal fluire della memoria tra tarda Unione Sovietica e cambio di millennio, le ultime cinquanta pagine sono invece dedicate alla musica che unisce la cultura ucraina a quella dell’Occidente e del mondo intero. Con la sua quarta parte, “Vivere al massimo, morire giovani (dieci tracce che vorrei ascoltare alla mia commemorazione funebre)”, il romanzo si ricollega esplicitamente al suo titolo. Titolo che oltre al riferimento trasparente alla cultura punk rimanda anche alla storia ucraina del primo Novecento, con l’esperienza della rivoluzione anarchica di Nestor Machno nel 1918. Intitolando il suo secondo romanzo Anarchy in the UKR, Žadan sembra voler alludere anche a uno dei miti fondatori dell’identità ucraina, quello della libertà e del diritto a ribellarsi contro le autorità costituite quando queste risultino sfavorevoli al bene della comunità. Non a caso Anarchy in the UKR è stato scritto all’indomani della Rivoluzione Arancione, il primo sollevamento di massa nell’Ucraina del ventunesimo secolo.
Oggi Žadan, come molti altri esponenti della cultura ucraina, coniuga la sua attività letteraria con quella del volontariato, del sostegno alla difesa armata del Paese e dell’aiuto ai rifugiati interni. La sua scrittura, così intrinsecamente legata all’Ucraina orientale e all’aspra poeticità dei suoi paesaggi e della sua storia, e in grado di coniugare magistralmente accessibilità e raffinatezza, è un ottimo biglietto da visita per una tradizione letteraria che stiamo scoprendo sicuramente in ritardo.
alessandro.achilli@unica.it
Alessandro Achilli è ricercatore di slavistica all’Università di Cagliari