Il dio dell’attimo fuggente
di Anna Chiarloni
Jenny Erpenbeck
Kairos
ed. orig. 2021, trad. dal tedesco di Ada Vigliani,
pp. 393, € 18,
Sellerio, Palermo 2024
Berlino Est fine anni ottanta. Un incontro casuale tra Katharina, studentessa appena maggiorenne e Hans, attempato scrittore e padre di famiglia, scatena la vampa della passione. È il tempo di Kairos, il dio dell’attimo fuggente, qui tradotto in un amour fou incalzato dal fermento oscuro dell’eros. Lui inizia lei alla vita, è il suo Pigmalione, ma, appena allenta la morsa, Katharina imbocca altre strade. La natura del loro rapporto cambia: da amante Hans diventa predatore. La rottura si consuma sullo sfondo di uno stato, quello socialista, che scompare in un cumulo di macerie.
Singolare è l’andamento circolare della narrazione, un richiamo alla scrittura della Wolf? Come nel Cielo diviso, l’incipit di Kairos innesta un percorso à rebours, una sorta di anamnesi che riannoda gli eventi pregressi. Di mezzo Erpenbeck colloca un Intervallo a segnalare un cambio di passo e di sguardo, ossia dalla vicenda sentimentale al declino individuale e politico.
Con le prime cento pagine, Erpenbeck mette in scena un vero e proprio romanzo d’amore, centrato sulla reciproca attrazione dei due amanti. È interessante notare come la critica tedesca sorvoli su questo aspetto per concentrarsi sulle implicazioni politiche del testo. Certo, il parterre storico di Erpenbeck copre gli anni 1986-1992, a cavallo di eventi che hanno inciso sulla recente storia tedesca. Ma va rilevato lo spazio riservato al dispiegarsi della passione, in particolare nella giovane protagonista. E qui sta la novità: dopo tanti anni di vento emancipazionista, Erpenbeck si distacca da quella convenzione femminista che vuole la donna architettrice della propria esistenza, al contrario Katharina è mossa da un impulso di dedizione desiderante, assoluta, propone un modello di femminilità vicina al sentimento romantico. Non manca qualche puntuale richiamo alle Affinità elettive di Goethe: come Ottilie, Katharina imita la scrittura dell’amato e sente il nesso tra amore e dipendenza; non sarà casuale il nome di Eduard da adottare per un eventuale figlio della coppia. Lei lascia che la vita accada, nelle sue intenzioni non c’è progetto, piuttosto la reiterata celebrazione del hic et nunc: un incendio dell’eros che solca buona parte del testo.
Hans, nato nel 1933, un’infanzia in camicia nera, membro affermato dell’apparato culturale della Ddr, introduce Katharina nel vissuto della sua generazione. Rievocando il passato si dilata l’arco cronologico del racconto, diventa esso stesso agente di storia, grazie anche a quella particolare attenzione per i segni residui, ancora reperibili nel paesaggio urbano di Berlino Est. Intessuto in una dettagliata flânerie, Kairos si costituisce come una sorta di cartografia di un mondo scomparso. Ardente e leggera, Katharina si rintana con Hans in quel tripudio dei sensi annunciato fin dall’esergo con i versi di Silesius. Ma l’amore clandestino non ha spazio sociale, produce e riproduce come in un vecchio spartito il ricordo di sé stesso, fino a che il testo batte il passo. Opportunamente Erpenbeck separa gli amanti avviando Katharina a Berlino Ovest, in visita da una zia. Come la Rita del Cielo diviso ne torna spaesata – e ripiomba tra le braccia di Hans. È la sua cultura, il suo sapere che affascina la giovane donna. Una forma di potere sul corpo di lei? Erpenbeck dissemina il testo di indizi in questo senso, utilizzando per figuras anche il terreno del mito fino a un repentino cambio di registro ambientato di fronte al Pergamonaltar. Immagini archetipiche, lacerti di membra divine e volti calpestati nella polvere emergono ex abrupto disseminandosi in un brano a uncino con il presente dei due protagonisti: Katharina conosce il museo ma è Hans che “le apre gli occhi”, introducendola alla violenza dell’eros: “Osserva, dice lui, come sono simili odio e amore”. Il dialogo è preambolo al successivo amplesso. I lacci ai polsi, la nuda sottomissione della femmina, la cinghia del maschio seguita dall’effusione finale – il rapporto è al limite del sussulto sadomaso. Un novum nella belletristica contemporanea in lingua tedesca? È probabile, anche se fin dal 1989 con il romanzo Die Lust l’austriaca Elfriede Jelineck si era insediata a pieno titolo nella discussione femminista sull’erotismo. Ma quello che qui ci interessa mettere a fuoco è il profilo di Katharina: si tratta di una figura femminile ideologicamente disarmata per la quale il corpo, non il mondo, è fonte primaria di conoscenza.
Dopo l’onda, la risacca. Nella capitale si guarda a Gorbaciov e la Ddr piega verso il declino. È tempo di bilancio. Erpenbeck riserva a Hans una funzione mnestica, è infatti con la sua biografia che si mette in moto una revisione critica del socialismo. Lui è il giovane intellettuale che nel 1961 si ritrova imbrigliato a est del Muro ma anche aderente, nella fatica della ricostruzione, a un governo occhiuto e censorio. Figlio di un nazista, non sfugge al cono d’ombra proiettato dal passato. Fantasmi di morte riaffiorano alla coscienza dell’adulto, situati da Erpenbeck in adiacenza a una violenza erotica che assilla il testo. Hans avverte il crollo imminente, ne individua le cause ma si affloscia nel suo fortilizio pelvico e – addestrato all’esercizio della sorveglianza altrui – riversa su Katharina il suo istinto di controllo. Una pratica che interagisce con la memoria delle purghe staliniane determinando una sorta di corto circuito. La scrittrice mette in moto un dispositivo che annulla la gerarchia tra voce autoriale e flusso di coscienza del personaggio. Il corsivo balena sulla retina, la scrittura diventa un’installazione, il campo di una battaglia perduta. Partendo dal tramonto delle grandi ideologie, Erpenbeck riprende la riflessione sul passato, e non solo tedesco, perché è della storia del pensiero comunista che qui si tratta. Un paese, un progetto, si sono estinti. Cosa resta? Il romanzo, la letteratura si fa ricerca e referto. Dalla crisi di un sistema, da un alfabeto politico ormai sfigurato nasce l’urgenza di un riesame, la necessità di rintracciare voci di sostegno, bandiere e volti scomparsi. Sono passaggi esistenziali, inserti in cui si sente palpitare l’Io autobiografico con le sue radici ideologiche. Ce lo dice il requiem disperato di Katharina in dialogo con il “regno dei morti” lungo le mura del Dorotheenfriedhof. Mirabilmente sorrette dalla traduzione sono pagine, queste, in cui riemergono in un confuso mormorio bagliori di gesta eroiche, note e vessilli di remote parole rivoluzionarie. Brevi spezzoni di un’archeologia della memoria che ripristina il senso della Storia lungo un filo che è anche familiare, allusivo di un passato antifascista condiviso da quegli intellettuali che, come il nonno della stessa autrice, alla fine della guerra decisero di rientrare dall’Urss scegliendo Berlino Est.
Scorrono tra amarezza e ironia le ultime immagini di uno Stato ormai ridotto a “vecchio cane sdentato”. Il 1990 diffonde un “senso di abbandono”, con le prime “ristrutturazioni” scattano i licenziamenti. Inizia la liquidazione – anche simbolica – della Ddr, cambia la toponomastica, mentre lungo i marciapiedi dell’Unter den Linden si svendono ai turisti medaglie, divise e onorificenze socialiste. In un’ultima ridda di immagini scorre una società in dissolvenza. Hans è una maschera spenta, definitivo il suo congedo. Sulla scena del testo resta Katharina, un enfant perdu – sola nella notte del nulla ideologico.
Al chi cerchi un battito di sopravvivenza è di conforto il Prologo. L’archivio della memoria riscatta la vita – e la salva nella scrittura, suggerisce la scrittrice. Un’operazione destinata a continuare, quasi un passaggio di consegne: scomparsa Christa Wolf, è ora Jenny Erpenbeck a riaprire i cassetti della Storia. Si annuncia infatti un nuovo testo destinato a risalire il tempo sulle vele dei ricordi familiari, per rintracciare la voce di una generazione di comunisti sospinta da Hitler all’esilio nell’Est europeo. Una vicenda che ancora chiede di essere narrata.
anna.chiarloni@unito.it
A. Chiarloni ha insegnato letteratura tedesca all’Università di Torino
Il corpo della Ddr
di Daniela Padularosa
Vincitore dell’International Booker Prize 2024, il romanzo di Jenny Erpenbeck inizia con la morte del protagonista e termina con il crollo della Ddr. Nel mezzo si dispiega una storia di macerie, ricostruita a partire da frammenti di ricordi accatastati sotto un cumulo di polvere. Anche la storia d’amore, segnata da Kairos, si sviluppa, come in un copione cinematografico, sulle note di un Requiem. Eppure è un romanzo che parla di appartenenza, di Heimat, di infanzia, della difficoltà di riconoscere la propria identità, della precarietà del mondo e della cultura tedesca dal dopoguerra a oggi. Un tema caro all’autrice già in Di passaggio (Sellerio, 2019 ed. orig. 2008), Dinge, die verschwinden (2009) e Voci del verbo andare (Sellerio, 2016, ed. orig. 2015, Premio Strega Europeo 2017).
Con la storia d’amore tra Hans e Katharina assistiamo nella letteratura tedesca a un “cambio di paradigma”: ci troviamo di fronte a una soggettività che sembra trovare sé stessa solo nel “tu” – che porta con sé inevitabilmente la perdita di sé nell’altro. Il romanzo mette in scena un dialogo tra generazioni: il cinquantatreenne Hans incarna lo scrittore impegnato, educato nella Hitlerjugend e diventato poi un intellettuale socialista, collega dei grandi autori della letteratura della Germania orientale, come Heiner Müller o Christa Wolf. Come l’autrice, la diciannovenne Katharina è nata nel 1967 da due intellettuali di sinistra. Erpenbeck mette così in scena un dialogo sulla scrittura, sull’importanza della nostra eredità letteraria e artistica per la salvaguardia dell’identità personale e collettiva in un periodo in cui essa è messa a repentaglio. L’amore distruttivo tra i due protagonisti rappresenta la parabola del socialismo: il “corpo” della ragazza, oggetto di violenza, incarna metaforicamente il “corpo” dello stato costituito dai cittadini tedesco-orientali. Da questa prospettiva l’assenza e il vuoto si rivelano essere tracce concrete di una presenza fantomatica.
Mentre la metafora architettonica dell’edificazione delle fondamenta aveva animato la letteratura degli Aufbaujahre, immaginando la costruzione di un reale spazio dell’utopia, ora “le creature dei tempi nuovi”, ovvero la nuova generazione a cui, insieme a Katharina appartiene anche Jenny Erpenbeck, non conoscono più “le fondamenta” su cui poggia il loro futuro. Il rapporto sadomaso tra Hans e Katharina diventa quindi l’altra faccia del declino della Ddr e del comunismo. Il rapporto interscambiabile tra vittima e carnefice riflette altresì quello tra potere politico e singolo cittadino. Di passaggio a Berlino Ovest, attraversando con il treno la stazione di Berlin Zoo, Katharina è irresistibilmente attratta dalla “zona proibita” ma ne è anche spaventata. Ed è forse questa una delle chiavi del romanzo: la trasgressione, quando non ha sbocchi nella vita sociale e politica, si introietta nel privato, come trasgressione sessuale.
Tutto il romanzo è giocato su questa ambiguità, anche linguistica, declinata nella storia tra Hans e Katharina nei termini di una “santa duplicità”, nel dittico tra carnalità e sacralità, oscenità e innocenza. Lei con la sua giovane età è allo stesso tempo innocente e peccatrice, sposa e prostituta. Tante immagini letterarie sembrano tornare qui in vita: Katharina con il velo da sposa fa pensare ad esempio a Mignon, a Ottilie o a Gretchen, ma anche alla Kätchen kleistiana, da cui, oltre al nome, eredita anche l’attitudine dimessa nei confronti di Wetter vom Strahl, che la insulta, la sottomette fino a corromperne la natura.
La letteratura, sembra volerci suggerire l’autrice, crea identità, non solo come “patrimonio culturale”, ma soprattutto come luogo in cui il lettore è messo di fronte a sé stesso e costruisce frammento dopo frammento la propria identità su un terreno che gli è al contempo familiare ed estraneo. Dopo il 1989, quando la “cooperazione” tra due stati diventa “unificazione”, ovvero quando “l’ambito di validità della Costituzione federale è stato semplicemente esteso alla parte Est della Germania”, ciò che resta della cultura viene sostituito dal denaro, la nuova “misura del valore” e a un libro di Kant si preferisce una golosa fetta di torta. Il romanzo si fa dunque luogo di confronto con l’altro e definizione di sé, diventando esso stesso una nuova Heimat.
daniela.padularosa@uniroma1.it
D. Padularosa insegna letteratura tedesca all’Università La Sapienza di Roma