Intervista a Elena Loewenthal di Camilla Valletti
Con il numero di settembre, “L’Indice dei Libri del Mese” inizia una collaborazone con il Circolo dei lettori di Torino per dare voce ai temi, agli autori e ai dibattiti più attuali e coinvolgenti del suo palinsesto. Sono orgoglioso che una scrittrice e traduttrice del livello di Elena Loewenthal abbia deciso di dare voce al Circolo anche attraverso la nostra amata rivista.
L’investitura a direttrice del Circolo dei lettori è arrivata poco prima della pandemia che ha, purtroppo, rallentano tutte le iniziative culturali del nostro paese. Come è riuscita a gestire l’emergenza e la nuova nomina?
Per iniziare in leggerezza e con un certa dose di incoscienza oltre a un bel po’ di ottimismo, posso dire che se la sfango adesso, il resto sarà una passeggiata. Ho iniziato il 3 di febbraio e a fine mese abbiamo chiuso tutto. è stata una prova molto dura. Sono entrata in lockdown senza neanche avere presente tutti i volti dei miei collaboratori, senza avere la possibilità di accostare tutti i volti ai nomi, alle competenze. Mi sono posta però l’obiettivo di trasformare la difficoltà, l’isolamento, in opportunità nel senso che abbiamo avviato subito una programmazione on line, in regime di emergenza e senza mezzi tecnici particolari e tutti da casa propria. Abbiamo avviato la programmazione sulla piattaforma digitale, abbiamo accorpato il gruppo di lavoro della comunicazione a quello della programmazione, e ne è uscita fuori un’esperienza di lavoro interessante con un mezzo che per noi era stato solo di supporto. Rivendico il fatto di avere avviato questa programmazione on line, subito. Ai primi di marzo siamo partiti. Con gli Indispensabili, interviste sulle letture imprescindibili, presentazioni di libri, i cicli sulla geopolitica: tutte iniziative che ci porteremo dietro anche quando saremo, speriamo, tornati alla normalità. Questo mezzo è diventato indispensabile.
Come si collocherà la sua direzione rispetto alla precedente? Il Circolo oggi è il principale collettore di tutti gli incontri culturali di Torino, come manterrà la sua posizione di centro e di rete della vita culturale torinese?
Una bella sfida, perché non possiamo ignorare il covid e ciò che ha rimesso in gioco in tempi molto più lunghi di quelli che possiamo immaginare adesso. La mia idea di Circolo è quella di mantenere la sua centralità, il fatto che tutti a Torino sappiano che la cultura, i libri e non solo, trovino il loro cuore in questo luogo. Girando per l’Italia in qualità di autrice, ospite di incontri o anche solo come partecipante, mi sono resa conto di quanto la centralità del Circolo sia conosciuta fuori dai confini della città e della regione. Per questo la mia idea è di mantenere il cuore a Torino ma di estenderlo oltre la città. In questa direzione ho messo in cantiere due iniziative a cui tengo molto: una con la Liguria, con il premio Alassio che ci ha chiesto di organizzare virtualmente e virtuosamente la presentazione dei finalisti (Liguria e Piemonte devono fare rete a tutti i livelli). L’altra è con il sud profondo: abbiamo stabilito un gemellaggio con un festival che si chiama Letti di sera che si svolge a Potenza a fine agosto, il legame è in particolare con Carlo Levi. Levi è stato al confino in Basilicata, ad Aliano si trovano la sua casa, alcuni suoi quadri, molto materiale d’archivio e di vita. E quindi mi piace l’idea di connettere il Circolo a questa memoria di Carlo Levi, come fosse un ponte tra quel mondo e il nostro futuro. Carlo Levi per me è un autore importantissimo, ho imparato ad amarlo in Basilicata dove è considerato un canone.
Lei è la principale e più amata traduttrice degli scrittori israeliani contemporanei. Ha dato il suo timbro a Amos Oz, a David Grossman ma anche a scrittori come Uri Orlev che sono impegnati sul fronte della letteratura per ragazzi. Come pensa di sfruttare questo suo inestimabile patrimonio all’interno della programmazione per il Circolo?
Il patrimonio è frutto di un amore per le lingue, per l’ebraico, per l’italiano. Tradurre grandi autori per me è stato un vero privilegio. Dico sempre che più gli autori sono grandi più sono facili da tradurre. Lavorare su Amos Oz è stato un atto d’amore che è durato tanti anni e che purtroppo ora si è interrotto. Io spero di portare al Circolo la passione che mi ha guidato nel lavoro con le parole. Mi piacerebbe dare più peso, negli incontri, al lavoro di traduzione. Credo sia un mestiere bellissimo, che ci aiuta a comprendere la lingua madre. Ha poi un valore anche tutto pratico. So che può sembrare paradossale ma se si parliamo due lingue diverse ci si capisce meglio. Le lingue, incontrandosi, danno qualche cosa di nuovo all’altro da sé. Ogni volta che ho tradotto, ho trovato una nuova sfumatura di significato in italiano o in un verbo ebraico. Questo scambio è fondamentale. Quando ho incontrato momenti di fatica o di sconforto sul mio lavoro, la migliore terapia era far tradurre una stringa di testo da Google. Allora ti accorgi che il lavoro di traduzione è qualche cosa di profondamente umano, di profondamente artigianale. L’idea comunque è quella di dare spazio il più possibile alla parola, il rapporto con la parola scritta resta per me cruciale, anche se il Circolo di muove su tanti fronti.
E la sua sensibilità di scrittrice – ricordiamo diversi titoli di narrativa che raccontano soprattutto storie di donne alle prese con un passato, con una dimensione personale non sempre risolta – come potrà risuonare nei palinsesti del Circolo?
Io spero che mi sia utile. Spero soprattutto di continuare a scrivere. Ho un romanzo in uscita tra ottobre e novembre. È una storia molto personale. Ci sono un uomo e una donna, è una storia d’amore. È innegabile che in ogni personaggio che invento c’è qualche cosa di me. Del resto, io cito sempre un pensiero di Amos Oz, il quale allertava i lettori dicendo che nei suoi libri non bisognava cercare l’autore, non bisognava cercare il pettegolezzo. Piuttosto è importante riconoscere quelle cose che non siamo in grado di ammettere, quelle di cui proviamo vergogna. Non ci si può esimere dal narrare noi stessi, ma quando racconto una storia spero che il lettore possa trovare pezzetti di sé.
I rapporti con gli atenei, con gli editori, con gli scrittori di fama internazionale, con i maggiori centri di cultura ebraica potranno funzionare da linfa anche per il Circolo offrendo a Torino la possibilità di ospitare personalità di grande calibro?
Speriamo, compatibilmente con la pandemia. A settembre abbiamo una ricca programmazione. Questa è una mia priorità, però gli autori e gli editori stranieri sono sospesi, come tutti noi, al filo di come si sviluppa l’infezione. Bisogna quindi lavorare da un lato su una programmazione ad ampio respiro, mentre dall’altro dobbiamo corazzarci per far fronte all’emergenza. Come addetta culturale all’ambasciata in Israele ho avuto modo di conoscere da vicino il modo di procedere sulla cultura italiana all’estero. Ho ben presenti le scadenze più importanti. Dobbiamo coordinarci con le iniziative diplomatiche che coprono la nostra cultura.
E l’attenzione sui bambini e i ragazzi, da scrittrice che ha anche sperimentato le forme della narrativa per l’infanzia, come si potrà concretizzare attraverso potenziali iniziative del Circolo?
Mai come in questo momento è importante mantenere il contatto con i plessi scolastici. Sono convinta che in momenti di emergenza come questi, la cultura debba farsi civile. Chi ha perso di più in questo periodo sono gli studenti, gli scolari. Vero è che la scuola naviga nell’incertezza più totale. Noi comunque ci siamo fatti avanti e abbiamo offerto una delle nostre sale per una classe in modo che non la si debba scorporare. Offriremo quindi i nostri spazi che sono tanti, ampi e consentono di mantenere le distanze. E poi vorremmo offrire un nostro particolare doposcuola nel primo pomeriggio, legato ai libri ma non solo. Noi ci siamo sentiti in dovere di offrire una programmazione di supporto alla scuola per la stagione autunnale, che speriamo davvero possa partire.