“La libreria si presta a tirar fuori pensieri che formano un concerto armonioso”
di Vincenzo Viola
dal numero di giugno 2015
“Chi apre una libreria sa cosa sta facendo: sa di avere tutto contro, e che tutti coloro che dovrebbero sostenerti in realtà non ci credono. Ti senti sola, penalizzata dalle leggi e obbligata dai regolamenti a mille contorcimenti per stare in piedi”, mi dice Elisabetta, la fondatrice e titolare della libreria Hellisbook, e intanto, seduta su una poltroncina, mima le contorsioni necessarie per trovare un impossibile equilibrio. Assume le posizioni simili a quelle di un quadro di Picasso, ma il suo bel sorriso mi dice che almeno lei nella sua avventura di libraia ci crede, eccome.
Certo, ci vuole un bel coraggio ad aprire una libreria in questi tempi di acquisti on line e di grandi catene e la Hellisbook è una delle ultime nate tra le librerie indipendenti di Milano. Piccola, raccolta, con un catalogo di necessità limitato ma colto, attento e molto pronto a cogliere le novità più interessanti, la Hellisbook è il frutto di un sogno … un poco tardivo. Elisabetta non nasce libraia e nemmeno aveva sognato fin da piccola di esserlo: laureata in chimica, ha lavorato per diversi anni nell’industria farmaceutica. La lettura è stata una scoperta arrivata lentamente, con l’università, ma che è diventata una passione che non le ha lasciato scampo: “La merce che vedi in questi scaffali di legno, mi dice volgendo gli occhi per il suo piccolo regno, ha una potenza enorme, che mi affascina come una danza di seduzione… La potenza occulta del libro e della lettura, però, è come la bellezza: è tale solo quando è espressa”.
Da questa convinzione è nata la decisione di Elisabetta di aprire una libreria in questo quartiere residenziale (via Losanna, 6, zona Sempione) dove lei è nata e cresciuta; tra l’altro in questo angolo di Milano, anche se abbastanza centrale e dotato di grandi complessi commerciali, non c’erano librerie attive e soprattutto aggreganti. L’ambizione della Hellisbook, allora, è stata ed è proprio quella di divenire la libreria di quartiere e di restare tale, cioè di essere non un negozio di libri, magari anche ben organizzato ma generico, ma un punto di riferimento per la vita culturale di un pubblico amico, conosciuto e riconoscibile. Con questo obiettivo lo staff della libreria prepara ogni anno un programma di lungo respiro (che però viene aggiornato e attualizzato mese per mese) e dà vita a molte iniziative: incontri di poesia, presentazioni di libri e riviste, collaborazione con diverse associazioni. Vi è anche un pianoforte accuratamente accordato per incontri musicali.
Ma ciò che più caratterizza questa “strana bottega” (come avrebbe detto Saba) è soprattutto l’intensità del rapporto umano: “Quello che avviene in libreria, mi racconta sorridente Elisabetta, avviene in pochi altri posti. Tra questi scaffali vi è un’alchimia incredibile tra libri, colori, materiali, pensieri e persone”. Quando una persona va ad acquistare un libro ha dentro di sé un progetto, per quanto limitato, un sogno, un rimpianto e nel libro cerca un sostegno, una conferma, un aiuto. Se nel libraio trova una persona capace di ascoltare (com’è raro avere una tale fortunata occasione!) chi si è spinto fin qui tra i libri non è più solo un acquirente, ma qualcuno che vive il desiderio di confidarsi, di mettere in comune i lutti, le gioie (“Vorrei un libro per la mia nipotina… Sa, è brava, ha cominciato a leggere”), le relazioni tra persone e sul lavoro, i propri desideri non realizzati, i sogni non vissuti, ma che forse un giorno potrebbero diventare realtà. Intanto si chiede alla libraia, che diventa un’amica, una confidente (non importa se è la prima volta che si è entrati in quella libreria), un libro che aiuti a tenerli in vita quei sogni! “La libreria si presta a tirar fuori momenti di umanità straordinaria, pensieri che formano un concerto armonioso, una sinfonia pazzesca, un coro”, dice con entusiasmo la nostra gentile libraia, amante della musica, di ogni tipo di musica, anche quella delle parole e dei pensieri.
Tutto ciò non può avvenire nei supermercati del libro, dove anonimi impiegati stanno dietro alle casse e nessuno è in grado di darti un consiglio, e men che meno con l’acquisto online, freddo segmento di una catena di spersonalizzazione.
Per questo devono continuare ad esistere le librerie indipendenti, che ora a Milano si sono riunite in un’associazione, la L.I.M. (Librerie Indipendenti Milano), che con buone intenzioni e qualche difficoltà cerca di tutelare e mantenere in vita questi preziosi piccoli scrigni di cultura: obiettivo che dovrebbe riguardare non solo gli operatori del settore, ma essere un impegno di civiltà per tutti, acquirenti, pubblici amministratori, forze politiche, esponenti della cultura, che dovrebbero smetterla, ciascuno nell’ambito di propria competenza, di assumere comportamenti e prendere provvedimenti sempre a danno dei piccoli e a sostegno dei più grandi e potenti, di coloro che possono applicare ai libri sconti insostenibili per i piccoli librai.
Elisabetta, che per dar vita alla libreria ha lasciato il lavoro precedente, assumendosi i rischi di un’avventura senza rete, insiste su questo aspetto e attinge dalla sua storia personale una trasparente metafora: difendere e diffondere questa maniera di rapportarsi al libro è un’opera di sanità pubblica perché il libro è, in senso reale, un pharmakon, di tipo omeopatico però: non ha un effetto immediato, ma agisce lentamente in profondità e in maniera duratura. “I libri potrebbero indurti pensieri mai pensati, con effetti benefici. Trovi attraverso le parole di altri quello che non avresti mai detto o capito”. Ma all’improvviso la creatrice di questa bella libreria si fa seria, come se una nuvola passasse nei suoi occhi: “Il libro ti conferisce una potenza, ma se non c’è la possibilità di agire e i pensieri si perdono, la lettura e la riflessione sono qualcosa che spaventa. Quando prendi consapevolezza di qualcosa che ti riguarda non ti puoi più nascondere a te stesso. Non agire, in contrasto con gli stimoli prodotti dalla lettura, genera frustrazione: forse per questo non si legge. Siamo tutti un po’ paurosi: il sogno, se resta tale, fa male”.
Un anziano signore, entrando, interrompe il fluire delle sue riflessioni, ma non c’è tempo per dispiacermene perché subito vedo messo in atto quanto Elisabetta mi ha fin qui esposto. Il signore è venuto a ritirare un libro che aveva prenotato, ma si vede subito che non è venuto solo per quello. Tra quegli scaffali si sente a casa: racconta di un incidente capitato alla figlia, dei suoi timori per un’operazione che forse dovrà fare, di come è brava a sciare la nipote. Vorrebbe acquistare un libro di storia, ma come si fa? È lungo più di 400 pagine! Si dovrebbero fare libri più brevi per gli anziani, dice: sono tanti gli argomenti che interessano, non si può dedicare tanto tempo a uno solo. Poi se ne va e “lenta passa / la mattina di là dei vetri tersi”. La Hellisbook non è molto frequentata in queste ore mattutine; è al pomeriggio e alla sera, quando sono anche in programma incontri, che i più affezionati fanno un giro in libreria. Elisabetta riprende a lavorare per organizzare conferenze, serate, momenti di cultura (“Abbiamo tutte le serate piene fino a metà giugno”): tutto un lavoro a favore del quartiere, di cui la libreria è, in un certo senso, il presidio culturale.