di Mario Marchetti
E anche quest’anno, a Torino, ci sarà il Salone del Libro. Non ne dubitavamo, come non dubitiamo che continuerà a chiamarsi Salone. Troppe sono le forze di ogni tipo che ci tengono come tante e straordinarie sono le energie e le sinergie mobilitate dalla ripartenza del 2017 in cui ebbe un ruolo primario l’iniziativa degli Amici del Salone (qualcuno parlò, simpaticamente, dei “ragazzi del ’17”), senza dimenticare l’eccellente lavoro svolto in precedenza sotto la direzione di Ernesto Ferrero.
Nicola Lagioia nell’incontro tenuto martedì 16 gennaio 2019 al Circolo dei Lettori con gli editori indipendenti ha riassunto l’epopea vissuta dal Salone negli ultimi due anni sotto la sua guida, rimarcando alcuni punti di rilievo per l’oggi. Innanzitutto l’importante, irrinunciabile, funzione che debbono continuare a svolgere gli editori indipendenti nella manifestazione (che tramite l’Adei faranno parte del suo Comitato d’indirizzo). È noto quale lievito e fermento essi rappresentino nell’editoria italiana (e non solo): possono essere più spregiudicati e innovativi, più liberi, insomma, delle grandi case editrici che poi beneficeranno del loro lavoro pionieristico. L’apertura, poi, a tutte le realtà (librerie, biblioteche, circoli, associazioni, riviste) che in città operano nel campo del libro con iniziative anche all’esterno del Salone con l’obiettivo di un grande cantiere cittadino. Insomma, un’idea di manifestazione aperta nello spazio e nel tempo, che avrà, sì, il suo climax nei giorni del Lingotto ma che vuole prevedere momenti lungo tutto il corso dell’anno e in tutti i luoghi in cui si possa entrare in contatto con gli amanti dei libri con i potenziali lettori e con gli affamati di sapere. Siamo convinti che ci sia fame di conoscenza e di informazione. Bisogna trovare, per intercettarla, i modi e i mezzi utili, senza supponenza e senza pregiudizi. Alle volte basta un semplice ascolto per riempire un vuoto, per battere la cultura del linguaggio contundente che sta diffondendosi a macchia d’olio. Contro questa logica occorre farsi sentire, con i mezzi a disposizione.
E ancora un altro punto, di quanto si è detto, va messo in luce (non ci occupiamo qui dei pur fondamentali aspetti organizzativi): combattere contro la normalizzazione, quella del Salone certamente che non deve adagiarsi sul già fatto, sui successi passati (“non basta vincere la guerra, occorre vincere la pace”). Sappiamo che nella società odierna tutto è estremamente rapido e che occorre tenere il passo, pena l’essere accantonanti. Un tenere il passo che non deve significare rincorsa dell’effimero ma che deve avere orecchio e mente alle nuove forme di comunicazione tenendo sempre sulla linea dell’orizzonte le questioni essenziali. Ma la normalizzazione, sia pur in una veste apparentemente luccicante e caleidoscopica, è un rischio più generale che oggi sta correndo l’intero sistema culturale. E il Salone del Libro potrà dare, lo auspichiamo, un contributo contro questa deriva.