Una grande notte metafisica
intervista a Thomas Ligotti di Orazio Labbate
Com’è nata la tua raccolta di racconti Nottuario?
Come in tutti i miei libri, da I canti di un sognatore morto a Teatro Grottesco, ho diviso Nottuario (pp. 301, € 22, il Saggiatore, Milano 2017) in gruppi di racconti che si evolvono in un preciso modo. In I canti di un sognatore morto, ad esempio, questi raggruppamenti sono intitolati individualmente: Sogni per sonnambuli, Sogni per insonni e Sogni per i morti. Così divise, il lettore potrebbe non percepire consciamente l’importanza delle parti dell’intero insieme, ma è così che si fa; ad ogni opera viene data una struttura, che si tratti delle vicende di un libro o delle tracce di un CD.
Con Nottuario, costituito da una serie di venti racconti collettivamente intitolati Taccuino notturno, volevo che i contenuti progredissero in maniera naturale verso il culmine del libro. Questa classificazione è un’allusione alla raccolta di poesie Pensieri notturni dello scrittore inglese del diciottesimo secolo Edward Young, spesso considerata una delle opere maggiori all’interno di un gruppo di autori non proprio strettamente connessi tra loro che più tardi sarebbero diventati noti come i Graveyard Poets. La tendenza di questi ultimi era quella di produrre delle riflessioni in forma lirica sulla morte, sulla malinconia, sulla luce del giorno che svanisce nella notte, sul mondo degli spiriti che include anche il cosiddetto mondo reale in cui viviamo e altrettante questioni spettrali e ammorbanti. Sebbene non fossi attratto dall’opera in sé (Pensieri notturni), ingombra di convenzionali sentimenti religiosi, il titolo mi ha ispirato il termine Nottuario che, al contrario di “diario” che evoca fatti del giorno, richiama scenari notturni. Ad ogni modo, il libro si apre con La Medusa, in un resoconto di terribili incidenti nella vita di un filosofo, e si chiude con un “taccuino” di narrazioni da incubo dal tono generalmente filosofico.
Quant’è necessaria la notte e il suo cosmo brulicante – che io reputo fondamento, perno, da cui tutto il tuo non-mondo nero rinasce – per lo sviluppo e la progressione immaginifica della tua letteratura?
Hai colto molto bene l’importanza dell’oscurità, delle ombre, di un’atmosfera buia e della tenebra sia simbolica che letterale – di cui parlo in tutte le mie opere, comprese le ultime My Work Is Not Yet Done e Teatro Grottesco. D’altra parte, la mia avversione ad ambientare i fatti alla luce del giorno è persino esplicitata in titoli quali Le vigilie di Natale della zia Elise. Una storia di possessione a Old Grosse Point, La perduta arte del crepuscolo, La musica della luna nella raccolta I canti di un sognatore morto; e Scuola serale e L’ombra alla radice del mondo in Lo scriba macabro, tanto per citarne qualcuno. Nel romanzo My work is not yet done un’oscurità soprannaturale soggioga progressivamente il narratore, finché questi non scopre un’anonima forza oscura quale orrore soprannaturale che controlla tutte le azioni degli esseri umani nel mondo. Potrei dire molto altro, ma credo di aver reso l’idea.
Nel racconto La Medusa sembra che l’impensabile e l’inaudito tanto bramati dal protagonista si concretizzino. Tuttavia, alla fine, la personificazione del mostro è contornata da una spettrale indecisione circa la sua esistenza. Perché non è permessa la visione integra e cosciente (materiale) della mostruosità da te avanzata o suggerita?
Il protagonista de La Medusa è un filosofo che attraverso “Medusa” esprime la sua tetra concezione della vita, elaborata nelle sue opere, la prima delle quali è Meditazioni sulla Medusa, l’ultima, Nuove meditazioni. Medusa non ha niente a che vedere con la figura mitologica che conosciamo bene; rappresenta invece tutto ciò che di orribile c’è nella vita. Poco alla volta, si fa chiara l’idea che quanto il filosofo chiama Medusa è semplicemente quello a cui altri filosofi danno il nome di “Spirito del Mondo” o “Anima Mundi”, che nella mia opera è il Male della natura, il quale agisce su di noi finché se ne impossessa alla sua maniera. Il filosofo della novella è ossessionato da tale forza. Non è il mostro della caverna, ma qualcosa che ci circonda nella vita di tutti i giorni. Alla fine il filosofo è intrappolato dalla Medusa, entità maligna la cui presenza è stata da lui avvertita in diversi modi, in quella sua vita che è luogo mondano in cui lo specchio che nel mito ha concesso a Perseo di distruggere la Gorgone non è di nessun aiuto. Descrivere la Medusa come un’orrenda donna dalla testa incoronata di serpenti l’avrebbe ridotta a mera creatura, mentre invece è qualcosa che pervade l’esistenza tutta.
“Dolcetto o scherzetto?” Questo ritornello macabro – presente nella novella “Conversazione in lingua morta” – è una sorta di scherzosa lingua dei morti. Spesso, nella comicità di facciata della tua narrazione si cela, in verità, l’imminenza del buio che tutto ingloba o di coloro che gestiscono il mondo del buio attendendo la prossima fine del protagonista. Perché talvolta i tuoi morti si servono di questi giochi saggi, e di tranelli buffoneschi, quando tentano di dialogare con i vivi e richiamarli a loro?
La tua descrizione di come i personaggi macabri e irreali della storia consegnino il protagonista al suo inesorabile destino mi pare abbastanza accurata e approfondita. Esistono molte similitudini tra Conversazioni in lingua morta e La Medusa. Tuttavia, nel primo, la natura della cosa, o delle cose, resta un mistero sebbene gli stratagemmi e i trucchi, come tu li chiami, riconducano alla loro natura abietta; e come in molte storie di fantasmi, alla fine vi sarà una specie di giustizia. In America,la frase trick or treat è pronunciata dai bambini la notte di Halloween, quando vanno di casa in casa a chiedere dolciumi. Sono proprio questi i treats (dolcetti) che ricevono sulla soglia delle case in cui si presentano; ma se non ricevono i dolcetti, l’alternativa è il trick (scherzetto) al proprietario della casa. Qualcuno di questi scherzetti può essere davvero distruttivo. Spero che la mia spiegazione possa avere un senso per i lettori italiani. Di solito, non ricorro alle tradizioni americane né allo slang. Faccio in modo, per quanto possibile, di essere compreso ovunque.
La visione della Natura e dei suoi animali – si legga Il prodigio dei sogni – principia con impeto malinconico, umano, poi traducendosi nella realizzazione inquietante di una stranezza definitiva prima percepita in divenire. Che genere di potere narrativo vuoi attribuire alla Natura? E alla sua ciclicità stagionale? Il fine del narrare è mostrarne la sua morte creatrice?
Mi piace la tua espressione “morte creatrice” per descrivere i processi della Natura che distrugge ogni essere vivente da lei stessa creato. Per quanto riguarda il ciclo delle stagioni, sono cresciuto in una parte degli USA in cui erano ben distinte e alteravano in modo molto marcato lo scenario circostante. L’autunno e l’inverno sono preminenti nei miei racconti horror poiché trovo siano momenti bellissimi dell’anno che nondimeno incarnano la morte in sé così come l’atto stesso del morire, così come la primavera e l’estate incarnano il ritorno alla vita, il suo rifiorire. Non credo di aver mai scritto storie ambientate in primavera o in estate.
Ne L’angelo della signora Rinaldi, l’elemento superstizioso e folcloristico, discendente da una religione (mi pare, per interpretazione estensiva, quella cattolica) è in sostanza uno scintillìo del perturbante, dell’orrifico, assieme alla sostanza demonica – la funzione è quella della sottrazione dell’immortalità – del sogno. Demoni e sogni si compenetrano?
Ho ricevuto un’educazione cattolica, e ciò ha instillato in me un intenso senso del male e poca speranza in questa vita così come nell’aldilà. Una volta, da ragazzo, chiesi a mia madre se credesse nell’inferno, un posto vivido nella mia mente, simbolo dell’estremo orrore così come lo era per tutti gli altri bambini cattolici. Mi rispose che non credeva nell’inferno dopo la morte, giacché su questa terra lo eravamo già.
Che cos’è il sogno per te? Un male impossibile da sconfiggere?
Per me i sogni sono sempre stati ciò che tu chiami un “male impossibile da sconfiggere”. Tutte le sere ho paura di andare a dormire perché faccio spesso brutti sogni e non c’è modo di evitare questa eventualità. Vorrei non dover dormire.
“Nella Bibbia c’è una bestia […] Questo lo sai, Andrew. Ma sapevi che la bestia è anche dentro di te? Vive in un luogo che non vede mai la luce. Sì, è collocata qui, nel cranio, l’abitazione della Grande Bestia. […] Ormai saprai che la bestia è un grande potere, capace di cambiare il mondo. Il buio e la luce, la forma e il colore, i cieli e la terra: tutto può essere trasformato dalla bestia, la grande plasmatrice di cose visibili e invisibili, note e sconosciute.” Tratto dal racconto Lo Tsalal.
Che cosa e chi è la bestia contenuta nella Bibbia succitata?
Il padre in Lo Tsalal dice a suo figlio che vi è una terribile bestia nella Bibbia, ma lo dice in modo ingannevole pensando che il ragazzo lo decodificherà con un’interpretazione religiosa. Non a caso, la bestia a cui il padre si riferisce non è la creatura mitologica della Bibbia, ma qualcosa che vive nel nostro mondo.
“Solo per mezzo delle scritture dettate dall’aldilà noi di questo mondo possiamo scoprire ciò che non abbiamo sperimentato“: secondo te, è stato mai scritto, nella realtà, un vero Tsalal, ovvero un testo tanto sacro?
Come il Necronomicon di H.P. Lovecraft, non credo che sia mai stato scritto un reale Tsalal. Tuttavia, se la Bibbia o il Corano, o qualsiasi altra scrittura a cui la gente crede, non fossero stati scritti, li avrei comunque trovati impossibili da scrivere.
In Folle notte di redenzione – Storia futura si cita un Creatore. Seppur si evinca dal testo che è entità priva di qualsivoglia attributo teologico o di qualsiasi religione, viene comunque invocato oppure viene cercato di spiegarne il ruolo. Parlami di tale “Creatore”.
In realtà, il creatore in Folle notte di redenzione possiede le qualità teologiche e religiose comuni a tutti i creatori in tutti i testi sacri. Qualsiasi creatore sarebbe folle o spaventoso abbastanza da creare il mondo in cui viviamo. Siamo in pochi a credere che un essere simile debba espiare la colpa di aver creato questa terra.
Per concludere, vivresti sul Monte Magro? Esso appare infatti, alla fine della raccolta, quale unico luogo “pacificato”.
Mi fa piacere che tu abbia inteso Monte Magro come luogo pacifico. Anche io penso ad esso con affetto.
O Labbate è scrittore