Peter Schneider – Gli amori di mia madre
di Raffaella Ronchetta
Peter Schneider, uno dei più importanti scrittori della scena tedesca contemporanea, si è portato dietro per decenni una scatola da scarpe con le lettere della madre, morta quando lui aveva otto anni e scritte in una grafia ormai in disuso, dunque per lui difficilmente decifrabili. Poi un giorno, spinto da un desiderio di riconciliazione, decide di farsi tradurre le lettere materne da un’amica, iniziando così un viaggio che partendo dall’epistolario lo porterà a scoprire una donna molto diversa da come si aspettava, passionale e complessa, che ha saputo attraversare gli anni della Seconda Guerra Mondiale senza arrendersi alle convenzioni. E tutto dentro alla Germania dilaniata, con quattro bambini da crescere e diversi amori da vivere e a cui aggrapparsi per non soccombere. Il libro “Gli amori di mia madre” è recensito sul numero di dicembre 2015.
La scatola da scarpe con le lettere di sua madre l’ha seguita per decenni in case e traslochi. Cosa l’ha spinta, dopo tanto tempo, a farle tradurre?
Con mia madre avevo un rapporto bloccato: non la conoscevo. Sono stato un figlio molto amato, credo, ma il rapporto con lei si è interrotto in modo violento. Lei si è allontanata da noi negli ultimi tempi, perché malata, e pochi mesi dopo è morta. Pensavo che la nostra storia fosse ormai finita e mai sarebbe ripresa. E invece… Poi, per ragioni personali, ho deciso di entrare nelle sue lettere. Ho trovato un’amica, Gisela Deus, che conosceva i caratteri Sütterlin, l’antico corsivo in uso in Germania fra gli anni trenta e quaranta. Sütterlin era un ebreo tedesco, dunque Hitler spazzò via questi caratteri, il popolo di Hitler non poteva certo leggere e scrivere un linguaggio ebreo. Gisela è entrata poco per volta nel linguaggio di mia madre, nelle sue lettere, nella sua storia. E poco per volta si è appassionata alle vicende di questa donna. Affrontare le lettere di mia madre per me ha invece significato fare pace con lei.
Che donna ha trovato in questo viaggio fra le sue lettere?
Una donna vivace. Quando era con noi figli c’era totalmente. E questo noi l’abbiamo percepito. Ma oltre a noi aveva un altro mondo. Era sicuramente una persona forte, emotiva, sopra le righe, amante dei bambini. Una donna volubile e passionale, ma anche malinconica e triste. Era una donna sopraffatta dalla vita, dalla guerra, dall’amore. Leggendo le sue lettere ho capito, per la prima volta, che anche durante la guerra si poteva avere una vita sentimentale. L’amore folle che ha colto mia madre è stato la sua ancora di salvezza. E’ stato un amore più forte delle bombe e della guerra e l’ha aiutata a salvarsi. E poi nelle lettere ho trovato una grande scrittrice. Certo non aveva chance a quel tempo di diventarlo. Aveva noi figli da seguire, da sfamare, da salvare e poi c’era la guerra. Così, attraverso questo libro, le ho offerto questa possibilità.
Lei dice che l’amore di sua madre è stato un amour fou? In qualità di figlio come è stato accostarsi alle passioni di una donna che è anche la propria madre?
E’ proprio così, il suo è stato un amore totale e passionale. Credo che la sua idea d’amore fosse realizzabile solo nella letteratura. Il suo amore per Andreas, l’amico di mio padre, l’uomo che più lei ha amato, è stato totalizzante. Lei gli scriveva io ti amo e questo mi basta. Si preoccupava per lui, si consegnava totalmente a lui. Faceva di tutto per accontentarlo. Prendeva treni, organizzava i figli, cercava di tirare avanti la famiglia e in tutto questo trovava il tempo per lui. Ma mia madre ha amato tutti in modo totalizzante: noi figli, mio padre, i suoi amanti. Per questo ho scritto non c’è uomo degno di un sentimento così grande. Perché lei nell’amare annullava se stessa. Un atteggiamento molto femminile. E infatti le donne credo potranno capire meglio questo romanzo. L’altro aspetto incredibile è che lei amò Andreas e gli altri amanti alla luce del sole. Non nascose mai nulla a mio padre e lui accettò tutto questo. Per lungo tempo mi sono chiesto come ha fatto lui a sopportare. A non chiederle di scegliere. Ho creduto che lui fosse troppo debole, che avesse dei complessi di inferiorità, dopotutto era un musicista squattrinato. Ora penso che anche in questo caso la guerra abbia giocato un ruolo fondamentale: le priorità in tempo di guerra cambiano. Ciò che contava per lui non era la fedeltà di mia madre ma il fatto che lei fosse viva e con lui. Questo gli bastava. E’ la guerra che scrive questa storia, non è la pace. Per quanto riguarda me, grazie a queste lettere ho trovato e ritrovato mia madre. Mi sono riconciliato con lei.
Lei ha scritto un romanzo o un libro di memorie? Qual è il rapporto con la verità in questo libro?
Usare documenti come le lettere limita la libertà d’invenzione. Ho ricostruito un incontro avvenuto tra Andreas e mia madre, ma la mia è una ricostruzione, non so se aderisce totalmente alla realtà. E poi ogni cosa che scrivo e racconto la lascio aperta, non offro soluzioni, non trovo finali. Racconto. Non giudico. Il mio è un viaggio accanto a lei, non contro di lei.
Qual è il suo rapporto con il passato e con il nazismo, con cui probabilmente suo padre ha avuto un forte legame?
Come scrittore e intellettuale assieme a tante persone della mia generazione ho vissuto un forte e duro confronto con la generazione precedente, che aveva appoggiato il nazifascismo. E questo confronto, talvolta duro, talvolta netto e totale, ci ha separato dai nostri genitori. Mio padre faceva il telegrafista durante la guerra, non è stato membro del Partito nazista. Però era lì. Prima della guerra suonava in un’orchestra e probabilmente vedeva, giorno dopo giorno, alcuni suoi colleghi sparire. Se ne stupiva? Si poneva delle domande? Forse sì. Eppure io e i miei fratelli non gli abbiamo mai chiesto direttamente se non si faceva domande, se non credeva fosse importante prendere posizioni. Poi, negli ultimi anni della sua vita, mi sono riavvicinato a lui e di questo sono felice. Per lui e soprattutto per me.