Pochi tratti disegnati male? Il tavolo di lavoro di un grande fumettista
di Chiara Bongiovanni
dal numero di gennaio 2014
Nei suoi lavori lei cambia diverse tecniche. In unastoria, mescola disegno e acquerello. Nel suo modo di lavorare è la tecnica sperimentata a chiamare la storia o, al contrario, è la storia da raccontare che pretende una certa tecnica?
Ho sempre avuto la sensazione che la storia da raccontare non solo determinasse ma addirittura esigesse una tecnica propria. Quasi mai ho avuto la percezione di essere al comando, di decidere qualcosa. A volte ho fatto studi, per i disegni di unastoria, prima di attaccare con la prima pagina. In questi studi sperimentavo materiali diversi, carte, colori e poi, tutte le volte, nella prima vignetta “vera” della prima pagina della storia succedeva qualcosa di completamente diverso, come se, al di la dei miei sforzi il tipo di disegno fosse già contemplato, nascosto, nella prima vignetta.
Questo è forse il suo primo libro senza ragazzini. Potrebbe considerarlo un libro sul dolore e la bellezza di un’età ormai irrimediabilmente adulta? Nella storia inoltre si alternano due piani temporali. Che cosa offre dal punto di vista narrativo la presenza di più storie, di una pluralità di tempi e mondi? E perché proprio la prima guerra mondiale?
La questione del tempo, dell’invecchiamento e, per quanto riguarda me, la prospettiva di invecchiare senza figli, quasi come se fossi posto fuori da una sorta di “percorso naturale” dell’uomo, è sicuramente alla base del libro. La decadenza del corpo e la nostra incapacità di percepirla, sono tutti temi che in questo periodo sono presenti nei miei pensieri. Per i due piani temporali poi mi interessava mettere a confronto due umanità differenti. Una che vive nella contemporaneità, probabilmente senza alcun grave motivo di sofferenza e che, tuttavia, soffre, e molto, e dall’altra parte l’uomo nella sua essenza primitiva, la sopravvivenza. La sopravvivenza a livello genetico direi: i geni che desiderano vivere a tutti i costi, per innamorarsi, riprodursi, proseguire la specie. Mi piaceva, mi interessava questo contrasto.La prima guerra mondiale l’ho scelta solo per una questione di distanza, volevo che il mio personaggio non fosse attuale, in nessun modo, volevo staccarlo, nel tempo, perderlo nel passato, per potergli dare dei connotati, anche di purezza, particolari.
Per caratterizzare i suoi lavori il termine che viene in mente è “intensità”. Quali termini userebbe lei?
Non posso parlare di me e del mio lavoro in questi termini. Sono lusingato di dare questa impressione ma se dovessi definire la caratteristica del mio lavoro userei termini come “ossessione” ed “abbandono”. Per quanto neghi ogni giorno la mia passione per i fumetti (la nego con me stesso) mi accorgo ogni volta di quanto ci sia legato e di come la mia vita sia indissolubile dalla narrazione. In questo io e Silvano Landi, il protagonista moderno di unastoria, ci somigliamo molto.
Lei ha uno stile grafico apparentemente veloce e immediato: pochi tratti “disegnati male” e la più rapida delle tecniche pittoriche, eppure lei non è un autore veloce. Come usa il tempo al tavolo da disegno? Corregge molto? Ridisegna più volte le tavole alla ricerca della ‘cosa giusta’?
Dipende dalle singole scene. Alcune vignette mi risultano estremamente difficili da fare. Una di queste, per esempio, è l’ultima vignetta di unastoria. Ma la difficoltà non sta tanto nel riuscire a disegnare “bene” quanto nel capire il disegno “necessario” per quel momento della storia. Calvino diceva che quando si scrive non ci sono alternative per le parole da usare, se si riflette bene ci si può accorgere che solo una parola funziona nel contesto di quello che vogliamo esprimere. Per me, nel disegno, è un po’ la stessa cosa e spesso la ricerca di quell’unico disegno è molto difficile. Per l’essere un autore veloce o meno, ti assicuro che se non perdessi tanto tempo in cazzate extrafumetto lo sarei.
Finora ha fatto fumetti e cinema (molti cortometraggi autoprodotti e un film L’ultimo terrestre presentato a Venezia nel 2011), pensa di voler provare anche col cinema d’animazione? E per l’illustrazione esiste un libro di cui le piacerebbe fare un adattamento a fumetti o una versione illustrata?
Per l’animazione ci sono dei progetti nell’aria. E sì, mi piacerebbe cimentarmi con un lungometraggio in animazione, perché alla fine sarebbe un modo per far convogliare un bel numero di mie passioni e farle lavorare insieme. Per il libro invece no. Sono un ignorante. Purtroppo, sempre preso dalle mie fissazioni, leggo pochissimo. Quando leggo libri che mi entusiasmano però non mi viene in mente di disegnarli. Credo che le parole siano belle per conto proprio, che la letteratura sia una cosa e il fumetto un’altra, il cinema un’altra ancora e ognuna ha le sue peculiarità, le sue forze e le sue debolezze ma quando trovo qualcosa che mi piace non mi si accende un desiderio di rifacimento.
Un anno fa, quando usciva Un polpo alla gola di Zerocalcare l’Indice le aveva chiesto una recensione e lei hai rifiutato perché, se non le fosse piaciuto, non voleva mettere in difficoltà il suo giovane autore con una stroncatura. Ora che vi siete conosciuti e che, non è un segreto, vi adorate, quali sono gli aspetti dei suoi fumetti che più le piacciono?
Di Zero[calcare]mi piace il ritmo, moltissimo. Mi piace la sincerità nel racconto e mi piace anche che spesso è come se si pentisse nel finale delle storie. Questa cosa mi fa una grande tenerezza. Spesso parte incazzato e poi, secondo me, mosso dal più nobile dei sentimenti, la compassione, fa marcia indietro, riconoscendo in se i difetti e le storture che lo hanno fatto arrabbiare. Non fa il furbo e, come diciamo a Pisa, non indugia nel giudizio e non c’è nessuna di quelle cose che spesso mi infastidiscono nella satira. Si mette sempre in condizione di inferiorità. In questo mi somiglia, credo, è un grandissimo paraculo, fa come i cani quando si stendono a pancia in su, così che tutti gli vogliano bene.
chiarabong@gmail.com
C. Bongiovanni è insegnante e traduttrice