“È il nostro scudo, la nostra natura umana”
intervista a Donato Carrisi di Costanza Carla Iannacone
L’ultimo libro di Donato Carrisi, l’autore italiano di thriller più letto nel mondo, si intitola L’uomo del labirinto (pp. 400, 19€, Longanesi, Milano 2017). Una storia inquietante, che tiene sempre sveglia l’attenzione del lettore dalla prima pagina fino all’ultima con un sorprendente colpo di scena. Un libro a cui non ci si può sottrarre, che rende insonni, vulnerabili e compulsivi. Un romanzo in cui si resta intrappolati anche a distanza di giorni e notti.
Sul suo sito ha confidato che L’uomo del labirinto è la storia che più l’ha spaventata scrivere. Quali sono gli stati d’animo che l’hanno attraversata nel corso della stesura?
Prima di tutto la paura che è un sentimento essenziale, aiuta a capire meglio le cose della vita secondo me, è un ottimo filtro. Poi la paura va trasformata in suspence che non è facile inserire tra le pagine di un libro, bisogna creare dei precisi artifici, dei meccanismi; bisogna saperla insinuare in qualche modo perché non può essere sempre presente anzi, più la si nasconde e meglio è.
L’uomo del labirinto è sicuramente uno dei libri più inquietanti del genere thriller/noir. Lei è anche un criminologo: cosa l’affascina di più del lato oscuro dell’uomo?
Il fatto che ognuno ne abbia uno. Tutti ne abbiamo uno e tutti prima o poi dobbiamo fare i conti con questo lato oscuro. È sicuramente l’aspetto che mi affascina di più.
Cosa teme, al contrario, quando si trova facci a faccia col male fatto carne e – solo in un secondo momento – sotto forma di scrittura?
Di solito quando preparo un libro, e quindi quando approfondisco la conoscenza di fatti reali, sono sempre stupito da come questi fatti siano vicini al nostro modo di vivere. Non è necessario essere un serial killer per uccidere qualcuno. I mostri somigliano tantissimo alle persone che frequentiamo quotidianamente e, d’altronde, somigliano anche a noi.
Sono più pericolosi i mostri del mondo esterno o quelli nella mente delle vittime?
Dipende… entrambi hanno una loro pericolosità. Il mostro continua a vivere nella mente della vittima e non è detto che non riesca a contaminarla col passare del tempo.
Nel romanzo non è dato sapere in che città si svolge la vicenda, si può desumere implicitamente Roma perché c’è un richiamo all’ambientazione del libro precedente Il maestro delle ombre in cui, invece di una tempesta che ha causato un black out, i personaggi sono preda di un caldo torrido. È un caso o una decisione voluta? Se è voluta, perché?
Perché devi perderti nel libro, se ti dico dove sei è troppo facile. Lei lo ha ambientato a Roma, altri lo ambientano altrove, in Belgio, in Louisiana, in Canada… Ognuno è giunto in ambienti dove crede perché in fondo non deve esserci un luogo dove poter scappare. Non è necessario dire dove si svolge la vicenda, anzi è un bel trucco narrativo. Significa che se non possono scappare i personaggi, se non vedi dove sei, se non sai dove sei, allora non puoi scappare neanche tu dalla storia.
Chi è il buio che infetta le persone e come si guarisce da questo male?
Non si guarisce, non è un male. È un modo di essere. È la natura di ogni uomo e lo scudo che c’è in ognuno di noi che siamo potenzialmente dei mostri. A volte questo istinto rimane sopito fino alla morte, altre volte invece viene fuori.