Giulio D’Antona – Non è un mestiere per scrittori

Vivere e fare libri in America

recensione di Maria Chiara Crosetti

dall’inserto «schede» del numero di ottobre 2016

Giulio D’Antona
NON È UN MESTIERE PER SCRITTORI
Vivere e fare libri in America
pp. 346, € 13
minimum fax, Roma 2016

Non poteva non mostrarci in copertina un dettaglio di New York il nuovo libro di Giulio D’Antona, viaggio appassionato di un «americano dentro» nel mercato editoriale più importante al mondo. È infatti New York il centro di questo sistema culturale, con il suo milione di nuove pubblicazioni l’anno e il suo incessante vortice di scrittori. Ed è dal cuore di questo vorticare che D’Antona inizia il racconto dell’ecosistema editoriale americano e dei suoi ruoli, in un appassionato reportage di un universo che non è solo scrittori e scrittura, ma agenti, redattori, critici, riviste letterarie, librerie e librai, anelli di una catena che si snoda capitolo per capitolo tramite interviste, riflessioni ma soprattutto persone. Se infatti nel sistema sovraccarico di un’industria in continua evoluzione (in America come altrove) l’oggetto libro oscura spesso chi vi ruota attorno, qui D’Antona parte proprio da chi grazie ai libri ha costruito il proprio mestiere. E sono davvero tante le persone le cui storie riempiono queste pagine. C’è John Scioli che per venticinque anni ha vissuto sopra la sua storica libreria di Brooklyn presidiandola «come un custode biblico». O il romanziere Toby Barlow che con il progetto Write a House recupera e ristruttura edifici in rovina a Detroit e permette ad aspiranti scrittori di viverci per un paio d’anni. O ancora Matvei Yankelevich, fondatore della Ugly Duckling Presse, minuscola casa editrice di Brooklyn che ha fatto dell’artigianalità la sua filosofia, ritagliandosi una nicchia del mercato grazie a libri rilegati a mano e stampati con un ciclostile a pedale.

Con occhi curiosi e mai stanchi, D’Antona ci accompagna passo dopo passo in questo studio del mercato editoriale americano, arricchendolo con le storie di scrittori e aspiranti tali che sembrano davvero trovarsi ovunque in questo paese, come ovunque è la scrittura. Da quelli chini sui loro appunti ai tavolini delle innumerevoli caffetterie di New York, ai tassisti che di storie da raccontare ne hanno sempre fin troppe, passando per chi, in bilico «tra inesistenza e notorietà», tenta la strada del self-publishing e il più delle volte resta inesistente. Perché è davvero un’impresa emergere in questa industria culturale le cui parole chiave sono da sempre, e oggi più che mai, incertezza e rischio. Si cercherà allora di affidarsi a ciò che difficilmente manca a chi nutre una passione: l’entusiasmo e la fiducia nel continuare a scrivere, pubblicare e vendere libri in questa «banda di voci stonate» che è l’America.