I cambiamenti dell’editoria attraverso romanzi distopici e saggi
di Massimo Castiglioni
dal numero di luglio-agosto 2016
Si parla spesso di editoria, in questo mondo di libri e librerie, e non potrebbe essere altrimenti: le case editrici sono le principali responsabili della realizzazione materiale dei libri, e, visto il loro ruolo, un confronto diretto con le dinamiche e le contraddizioni che le caratterizzano risulta quasi ovvio, scontato e assolutamente necessario. Specie in un momento storico sconvolto dal terremoto “Mondazzoli”, che stravolge gli equilibri e riconfigura il modo di intendere l’industria editoriale nel nostro paese, sempre più concentrata in un unico blocco.
Come se fosse già pronto a una simile evenienza, Antonio Manzini ha risposto a “Mondazzoli” con un breve romanzo edito da Sellerio: Sull’orlo del precipizio (pp. 128, € 8, Sellerio, Palermo 2015). Protagonista di questa nerissima distopia è un romanziere fittizio, Giorgio Volpe, tra i più letti e apprezzati in Italia, in procinto di terminare il suo capolavoro: un’epica narrazione della storia della sua famiglia sullo sfondo degli snodi più importanti dell’Italia novecentesca. Un’opera costata più di due anni di fatica ma che finalmente può essere consegnata alla Gozzi, la più grande casa editrice del paese. Titolo del romanzo: Sull’orlo del precipizio. Proprio nel giorno in cui invia il libro alla sua editor, Fiorella, un evento incredibile scuote il mercato editoriale: “Le tre maggiori case editrici, la Gozzi, la Bardi e la Malossi, si univano per diventare il più importante polo editoriale di tutti i tempi. Un gigante che avrebbe spazzato via la concorrenza, con un controllo del mercato quasi totale”.
Passano ancora alcuni giorni, gli ultimi della Gozzi e dei suoi operatori. C’è un certo entusiasmo per la prova creativa di Giorgio, a cui bisogna apportare solo qualche leggero ritocco prima di procedere alla stampa. Peccato che la mattina in cui questo lavoro dovrebbe iniziare, al posto dell’attesa Fiorella si presentano due uomini mai visti, vestiti di nero e dall’aria inquietante, come se provenissero direttamente dal Processo di Kafka. Uno si chiama Aldo, l’altro Sergej, ed è russo: sono le persone chiamate a fare l’editing per conto della Sigma, il nuovo gigantesco marchio editoriale. La sequenza dell’incontro, dannatamente tragicomica, rivela quali saranno i cambiamenti imposti all’industria del libro. Alle lamentele di Giorgio, comprensibilmente spiazzato, i due rispondono millantando una grande esperienza nel settore. Sergej è un vero professionista, è addirittura il correttore di bozze di Tolstoj, del quale si stanno ripubblicando “i maggiori successi” con qualche miglioramento: Guerra e pace è stato ridotto a trecento pagine, ed è solo Pace, perché “non si può angosciare il lettore. Guerra, odio, morte, malattie, romanzi distopici e senza futuro, basta! Pace, amore, ottimismo e fratellanza, ecco le nuove direttive Sigma”. Aldo non è da meno del collega: sta traducendo l’intera letteratura italiana in “vero italiano”, perché lo scopo è “avvicinare i ragazzi alla letteratura e usare una lingua che gli faccia amare i libri”. La prosa deve essere semplice, senza troppi appesantimenti stilistici e in grado di dare informazioni utili come se fosse una pagina web. Pertanto è necessario riscrivere i romanzi meno accessibili (su tutti, I promessi sposi). Se questo è il trattamento riservato a Tolstoj e Manzoni, i contemporanei non se la passano di certo meglio. A Giorgio viene chiesto di riscrivere abbondantemente il suo romanzo, tagliando le parti sul fascismo (tanto ai giovani cosa importa del fascismo?) e dando maggiore spazio alle scene d’amore e d’azione per scongiurare il rischio noia (il risultato è una banalità degna del peggior feuilleton).
Il successivo incontro con la responsabile della Sigma, Federica Celletti, non migliora affatto la situazione. La dirigente dichiara che le cose ormai sono cambiate, che la realizzazione di un libro è un impegno collettivo a cui lo scrittore partecipa dando solo un’impronta di massima, che bisogna tenere sempre sotto controllo i movimenti della borsa, che l’unico scopo è soddisfare le attese del pubblico: “Noi guardiamo solo ai gusti del pubblico, questo facciamo. E lei farà lo stesso. Sinceramente, Volpe, a noi della sua etica, della sua poetica, della sua narrativa, del suo stile, dei suoi aggettivi e dei suoi avverbi non interessa. A noi interessa lei, se e fino a quando riesce a carpire l’attenzione di un pubblico”. Una situazione insostenibile e apocalittica, trionfo assoluto della ricerca del profitto. Non a caso vengono esplicitamente evocati i romanzi distopici e in particolare Orwell. Rispetto ai testi canonici della distopia, l’ambientazione non è futuristica (o addirittura fantascientifica); siamo praticamente nel presente (l’azione comincia a ottobre 2015) e non ci sono elementi fantascientifici di nessun tipo. Della distopia è recuperato il principio di base, vale a dire l’iperbolizzazione di un’attuale situazione di crisi per denunciarne la pericolosità e le eventuali conseguenze catastrofiche.
Il tema della decadenza dei libri è trattato (in una prospettiva diversa) anche da Panorama di Tommaso Pincio (pp. 200, € 13, Enne Enne, Milano 2015), vincitore del premio Sinbad. Attraverso la vicenda di Ottavio Tondi, lettore di professione e consulente per una nota casa editrice, si assiste all’irreversibile caduta di quell’universo cartaceo al quale il protagonista ha dedicato tutta la sua vita. Da una situazione di grande successo da parte di Ottavio, si passa a una crisi devastante che, andando di pari passo ai problemi personali di lui, colpisce e abbatte silenziosamente l’ambiente letterario. Ottavio subisce un pestaggio mentre cammina per strada leggendo un libro. È un punto di non ritorno che lo allontana dalla sua professione. Curiosamente, nello stesso periodo si verificano altri episodi violenti quali stupri e omicidi, ognuno dei quali vede come vittima un lettore, ma questa particolarità sembra incontrare l’indifferenza della popolazione, sempre più assuefatta alla tecnologia e sempre più responsabile della morte dei libri. Dopo l’incidente Ottavio smette di lavorare, anche perché il suo settore non esiste più, trovando una temporanea fonte di guadagno nella vendita della propria collezione di libri al mercato nero. È in un momento del genere che viene a sapere dell’esistenza del social network Panorama, una sostituzione digitale della vita quotidiana in cui l’idea di privacy è praticamente abolita e in cui ogni utente deve obbligatoriamente rendere disponibile alla vista degli altri iscritti una zona della propria casa. Osservando Panorama dall’interno (ed entrando in una specie di dipendenza a seguito di un incontro importante), Ottavio giunge a una lucida e penosa conclusione: “Non era morta la letteratura, erano morti loro, i letterati. La letteratura esisteva ancora, ma in una forma nuova, non più cartacea, non più scritta per essere letta. (…). Le parole e le cose che vedeva scorrere su Panorama non erano forse un racconto in continuo rifacimento? In quel piacere spasmodico di osservare le vite degli altri non si realizzava forse la sua idea di letteratura, origliare e sbirciare?”.
Letteratura come voyeurismo, ma soprattutto come superamento dell’oggetto libro e dell’apparato che gli sta dietro. Niente più editori, critici, librai ecc. Gli scrittori ormai sono i fruitori dei social network, e così anche i lettori. Un’ipotesi forse non così lontana dalla nostra realtà (in cui i libri certamente resistono, per quanto vilipesi) se si pensa a una piattaforma digitale come Wattpad, in cui ognuno dei membri può pubblicare libri o racconti, praticamente senza limiti, nella speranza di farsi notare dalle grandi case editrici (disponibili a cavalcare il nuovo).
Potrebbe essere utile tornare un istante al passato e rivolgersi a figure che ormai non ci sono più, non per chiudersi nella torre d’avorio del ricordo di un tempo perduto ma per osservare quegli aspetti fondamentali in cui si intravede un segno dei nostri tempi. Un libro di Gian Carlo Ferretti dedicato a Niccolò Gallo (1912 – 1971) fa al caso nostro (Storia di un editor. Niccolò Gallo, pp. 151, € 16, Il Saggiatore, Milano 2015). Gallo è un personaggio ingiustamente relegato nell’oblio, nonostante il suo spessore intellettuale. Si impone come critico e militante comunista partecipando attivamente al dibattito intellettuale nel secondo dopoguerra, ma alla fine degli anni cinquanta, complice una certa delusione politica, chiude definitivamente con la critica per andare a ricoprire il ruolo di direttore delle collane di narrativa italiana presso Mondadori. Questo passaggio implica un modo diverso di intendere il proprio impiego, ora costretto all’interno di una normativa editoriale. Ogni scelta, per quanto sperimentale, passa comunque all’interno della strategia mondadoriana; strategia che negli anni andrà mutando radicalmente: tra il 1967 e il 1971 scompaiono molte collane di narrativa per essere racchiuse nella più eterogenea “Scrittori italiani e stranieri”, una decisione importante e indicativa, “segnale di un cambiamento più generale nell’editoria italiana, per l’accostamento indifferenziato di valori diversissimi all’interno di un’unica e prevalente, seppur articolata, logica commerciale”. Gallo vive questa situazione in maniera forse meno sofferta del suo amico e collega Vittorio Sereni, ma non per questo meno problematica. Se da un lato è ancora possibile scommettere sulla ricerca e sullo sperimentalismo (in quegli anni Gallo vive personalmente la travagliatissima realizzazione di Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo), dall’altro è già iniziata una tendenza che arriva fino ai giorni nostri e con cui la letteratura si confronta quotidianamente.
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M Castiglioni è critico letterario