Un ciclotimico parapluie
di Chiara Bongiovanni
Franco Matticchio
HO DIMENTICATO L’OMBRELLO
pp. 60, € 18,
Vànvere, Roma 2019
L’ombrello nero è, come l’annaffiatoio o il mappamondo, uno degli oggetti che compaiono spesso, ovviamente a sproposito, nelle tavole di Franco Matticchio. Non è raro ritrovarlo imbracciato da animali o discretamente poggiato nell’angolo di una scena.
Il parapluie di magrittiana memoria torna ora protagonista di un intero volumetto, il quinto proposto dall’editore Vanvere, dopo i due Libretti postali (2012 e 2014), il magnifico Animali sbagliati (2016) e lo spiazzante Non sono stata io (2018). A ben pensare due sono le caratteristiche dell’ombrello: proteggere dalla pioggia ed essere un oggetto che viene facilmente dimenticato e perso. Ora, diciamolo pure, a Matticchio la funzione utilitaria dell’ombrello non interessa: nelle trenta tavole che compongono il volume nessuno si ripara, nemmeno se piove. Oggetto vedovo e orfano per natura, abbandonato nei luoghi più impensati, il piccolo ombrello nero dal manico ricurvo riceve un soffio di vita propria – ma senza antropomorfizzazioni per carità, un ombrello è un ombrello come una rosa è una rosa – e si pone in veste di silenzioso spettatore. Anziché disperare in seguito al proprio abbandono, l’ombrello matticchiano approfitta della propria ritrovata libertà, girovagando per il mondo e ritrovandosi nelle più disparate situazioni, ordinarie, oniriche e, ovviamente, surreali. Ed è così che inseguendo un ombrello ci immergiamo con ritrovato piacere nella atmosfere malinconiche e metamorfiche care agli amanti di questo illustratore tanto imprevedibile quanto rigorosamente fedele a se stesso. Del resto, come molti artisti, anche l’ombrello, rigorosamente chiuso, ha le sue ciclotimie: in molte tavole giace triste e silenzioso in un angolo, dietro la tenda di un camerino, nell’angolo di una cella, in cima a un muro o tra le zampe di un orso addormentato; ma ecco che in momenti di inatteso fulgore si slancia su un tavolo da biliardo o finisce per troneggiare, signore dello spazio immenso, sugli anelli di Saturno, pianeta non a caso caro agli artisti, ai ciclotimici e, forse, ora anche agli ombrelli.