Libri sulle cose che finiscono

Il Festival Tuttestorie, ideato dalla Libreria Tuttestorie con la consulenza di Bruno Tognolini, oggi alla sua diciannovesima edizione, si svolge a Cagliari e in altri comuni dell’isola, dal primo al 5 ottobre, e propone oltre trecento appuntamenti, destinati alle scuole e alle famiglie: incontri, laboratori, performance, una maratona di disegno.

Il titolo del festival quest’anno è E adesso? Racconti, visioni e libri sulle cose che finiscono: settanta ospiti fra letteratura per l’infanzia, scienza, arti visive e performative sono chiamati a esplorare le fini e i nuovi inizi.

Gli ospiti non sono solo italiani e qui presentiamo cinque ospiti stranieri, grandi scrittori e scrittrici: abbiamo chiesto ad alcuni dei volontari e delle volontarie del festival, studentesse di scienze della formazione, di raccontarli in poche parole, poi di di chieder loro di parlare del tema di quest’anno e, infine, di scegliere uno dei loro libri e presentarlo ai lettori italiani. Coinvolgere volontari e volontarie su questo progetto ci è parsa un’occasione importante di crescita e confronto. La loro lettura offre a noi uno sguardo fresco sui libri e per loro è occasione di analisi e riflessione sul testo, un arricchimento della loro esperienza di studi.

Ellen Duthie

Di nazionalità britannica, nata in Spagna nel 1974, Ellen Duthie è una scrittrice, insegnante, blogger e traduttrice con uno spiccato interesse per la letteratura e la filosofia per l’infanzia. Da molti anni infatti sviluppa materiale per promuovere dialogo e confronto con i bambini e fra i bambini sulle grandi questioni filosofiche usando la letteratura per l’infanzia e gli stimoli visivi. Il concetto di filosofia visiva, che si concretizza nel progetto Wonder Ponder – vincitore del Premio Andersen del 2023 come miglior progetto editoriale – nasce proprio dal suo lavoro di insegnante per bambini della scuola dell’infanzia e primaria. Gli interessi filosofici dell’autrice spaziano dall’illustrazione scozzese e inglese al rapporto tra linguaggio e pensiero. Dal 2017 dirige, insieme a Daniela Martagón e Raquel Martínez Uña, il corso internazionale di Filosofia, letteratura, arte e infanzia (Flai), in collaborazione con la Fondazione Albarracín. Tra i suoi testi più interessanti segnaliamo Quello che vuoi, Io, persona e C’è qualcuno laggiù?

Quanto è importante per te il finale di un libro?

Penso che il finale di un libro sia fondamentale per l’esperienza di lettura, perché ha molto a che fare con il “sapore” che lascia, ad esempio per quanto riguarda il modo in cui invita i lettori e le lettrici a riflettere su ciò che hanno letto. In altre parole, il finale di un libro è importante per determinare che cosa inizia dopo che si chiude il libro. Da scrittrice, e anche da lettrice, apprezzo i finali che non siano troppo chiari e diretti. Un buon finale può fare una cosa straordinaria, cioè può lasciare chi legge con domande, o questioni irrisolte (portando a una seconda lettura, al desiderio di un confronto o a ulteriori approfondimenti). Nel caso dei miei libri, molti sono appositamente ideati per consentire ai lettori di leggere le loro pagine nell’ordine che preferiscono, perciò il finale dipende più da loro che da me. In questo senso per me è una sfida assicurarmi che, indipendentemente dall’ordine in cui il libro verrà letto, ogni specifico finale sia soddisfacente, suscitando nuove domande e lasciando, in qualche modo, chi legge piacevolmente scosso. Questi finali aperti sono importanti per i libri che scrivo, perché riguardano principalmente questioni sulle quali il genere umano ha sempre riflettuto, e che continueranno a essere oggetto di riflessione. Spero che i lettori abbiano l’impressione che i miei libri non siano mai del tutto finiti, o se hanno questa percezione, che si tratti di una fine solo temporanea. Quando riprenderanno un libro in mano, magari dopo qualche settimana, alcuni mesi, o addirittura anni, quelle pagine saranno lì, pronte per essere rilette e reinterpretate in modi diversi, e molto probabilmente racconteranno un finale completamente diverso.

Ellen Duthie e Ana Juan Cantavella, Così è la morte? Domande mortali di bambine e bambini, illustrazioni di Andrea Antinori, pp. 136, € 19, #logosedizioni, Modena 2024

Elle Duthie (con la collaborazione di Ana Juan Cantavella, antropologa esperta di letteratura per ragazzi, insegnante, divulgatrice, formatrice) oggi si dedica a un nuovo libro in cui emergono, come già nei precedenti lavori, la riflessione, la ricerca e la curiosità su temi delicati e importanti, spesso ritenuti erroneamente tabù per i più piccoli. Fin dalla nascita, l’unica certezza che abbiamo è la morte. I bambini sono quelli che hanno più domande a riguardo, sia perché enormemente curiosi sia perché hanno pochi strumenti per affrontare da soli temi per loro difficili. Tuttavia, è proprio a loro che l’argomento della morte viene spesso tenuto nascosto, per paura di spaventarli o per la convinzione che non capirebbero. Le autrici hanno raccolto le domande di tanti bambini (alcune più classiche come “Come moriamo?” ma anche alcune più particolari e divertenti come “Perché si dice riposi in pace e non riposi in allegria?”) con un tono ironico e schietto e rispondono a trentotto di queste in modo da rompere il tabù, esorcizzare la paura attraverso un linguaggio semplice. Non solo danno risposte ai bambini, ma aiutano gli adulti a capire i dubbi dei loro figli o alunni e a trovare le parole adatte per affrontarli insieme. Importante la collaborazione con l’illustratore italiano Andrea Antinori, che è riuscito a cogliere l’essenza del libro grazie alle sue precise, sfacciate e, a volte, ironiche illustrazioni.

Dai 10 anni
Alessia Saderi, Sara Meloni e Silvia De Martis


Edward van de Vendel

Già ospite al Salone del libro di Torino e poi del Festivaletteratura e del Festival Tuttestorie, Edward van de Vendel è uno scrittore olandese che si è dedicato a tempo pieno alla scrittura dal 2001, dopo aver lavorato come insegnante alla scuola primaria seguendo le orme dei genitori. Spaziando tra poesia, narrativa e saggistica per tutte le età, racconta di viaggi alla scoperta di terre e legami profondi, prediligendo come protagonisti delle storie per i più piccoli gli animali. L’immigrazione, tema centrale del suo ultimo romanzo Misha. Io, i miei tre fratelli e un coniglietto è un argomento particolarmente importante per la casa editrice Sinnos, che del resto pubblica da tempo le sue opere nel nostro paese. L’opera è valsa all’autore il Premio Andersen 2024 per la categoria Miglior Libro 6-9 anni, impreziosendo una carriera costellata di riconoscimenti prestigiosi.

Quando inizia a scrivere una storia ha già in mente il finale o è una sorpresa anche per lei?

Un libro per me inizia con diversi elementi. Prima di tutto c’è la “voce”, che è quello strano suono di un bambino o di un altro personaggio che inizia a parlare nella mia testa. Non sono frasi chiare, ma è un’intuizione della sua voce, di che tipo di voce è. Poi c’è un pubblico: un bambino (o un’entità bambinesca), anche lui nella mia testa, a cui voglio raccontare la storia. E infine c’è una prima scena, qualcosa di intrigante che per qualche motivo ha penetrato la mia immaginazione e non intende andarsene. Quella scena deve essere seguita, deve essere scritta, ma prima di farlo c’è bisogno che io mi chieda… di cosa parla questo libro. Qual è il nocciolo della storia? Per rispondere a questa domanda ho bisogno di un’idea del finale. Perché il finale indica più o meno il percorso interiore del personaggio o dei personaggi principali. Quindi, per tornare alla domanda: sì, ho un finale in mente prima di iniziare. Ma detto questo, può capitare che venga fuori che il libro vuole parlare di qualcos’altro, vuole avere una conclusione diversa. Questo accade lungo il percorso. I protagonisti migliori tendono ad avere una vita propria, quindi sono io che devo seguirli, che io lo voglia o no (e certo che lo voglio! Sono più importanti di me!). E se questo significa che finiranno in un posto diverso da quello in cui li avevo mandati? Così sia. È il libro che decide.

Edward van de Vendel & Anoush Elman, Misha. Io, i miei tre fratelli e un coniglio, illustrazioni di Annet Schaap, pp. 141, €13,50, Sinnos, Roma 2024

La collaborazione tra  van de Vendel ed Anoush Elman, la cui vicenda personale ha ispirato questo libro, ha radici che affondano nel 2008, nella scrittura del romanzo De Gelukvinder, un romanzo per adulti, anch’esso intorno al tema dell’immigrazione. Misha, un libro di narrativa per un pubblico più giovane, racconta la storia di Roya, una bambina di nove anni che trova casa in Olanda dopo essere fuggita dall’Afghanistan coi genitori e i fratelli Bashir, Hamayun e Navid. L’arrivo a casa di Misha, un coniglietto nano dal pelo bianco e soffice, tanto desiderato da Roya, permetterà alla famiglia di raccontare quel lungo viaggio alla volta dei Paesi Bassi, troppo lontano nel tempo per essere ricordato dalla bambina. Roya sentirà sempre più forte dentro di sé il bisogno di conoscere la sua storia e Misha sarà sempre al suo fianco, o quasi. Il tema degli affetti familiari ricorre spesso nelle pubblicazioni dell’autore olandese. Per citarne una: Piccola Volpe, del 2019, è la storia di un curioso abitante del bosco che sogna e ripercorre la propria infanzia, trascorsa in una famiglia numerosa, con amici speciali. Le illustrazioni di Annet Schaap, occupando l’intero spazio della pagina, accompagnano il testo arricchendo il racconto con i loro tratti essenziali.

Dagli 8 anni
Eleonora Cau e Sabrina Aresu


Emma Adbåge

Emma Adbåge è nata nel 1982 a Linköping, in Svezia, fin da piccola ha mostrato interesse per il disegno e la scrittura, studiando poi arte. Oggi è una rinomata autrice e illustratrice di libri per bambini. Con una sensibilità e uno stile unico, Adbåge affronta temi complessi in modo accessibile ai bambini, esplorando dinamiche sociali, emozioni ed esperienze quotidiane. Tra le sue opere più conosciute ci sono La Buca e La Natura. I suoi libri sono stati tradotti in diverse lingue e ha ricevuto numerosi premi, tra cui il prestigioso August Prize per il miglior libro per bambini e ragazzi e – in Italia – il Premio Andersen per il miglior libro 6/9 anni.

Le sue illustrazioni, caratterizzate da colori vivaci e personaggi espressivi, aggiungono profondità e umorismo alle sue storie. Questo stile non solo rende le sue opere immediatamente riconoscibili, ma le ha anche rese molto popolari.

Quando inizi a scrivere o illustrare una storia, hai già in mente il finale o è una sorpresa anche per te?

Penso che possano accadere entrambe le cose. Spesso so approssimativamente come voglio che la storia si sviluppi, di solito dico che inizio sempre verificando se un’idea ha un “corpo” tra l’inizio e la fine. A volte non so affatto quale sarà il finale, e a volte lo so approssimativamente. Ma anche in quei casi posso sorprendermi mentre scrivo, e capire qualcosa di nuovo mentre lavoro – qualcosa che mi permette di trovare altre uscite nel testo, percorsi che non vedevo quando ho iniziato a scrivere. Adoro quando succede! Quando è passato un po’ di tempo, e il libro esiste, posso anche notare altre cose – significati sottostanti che non avevo visto all’inizio quando ero nel mezzo della scrittura. Solo quando fai qualche passo indietro e guardi ciò che hai creato vedi la forma più chiaramente. Ma non voglio mai prendere la via più facile, non voglio raccogliere il frutto più basso, per me è la cosa peggiore. Non voglio questo. Non voglio essere pigra.

Emma Adbåge, La Ferita, illustrazioni di Emma Adbåge, pp. 32, € 16,90, Camelozampa, Monselice (PD) 2024

Dopo il successo del 2020 del libro La Buca, l’autrice riporta i suoi lettori nel cortile della scuola con una nuova scoperta: La ferita. Un giorno un bambino diventa il più ammirato di tutta la scuola. Cosa c’è in lui di così curioso? L’albo racconta la trasformazione di una ferita come se fosse la scoperta della prima ferita di tutti i tempi. Il protagonista è al centro delle attenzioni e tutti seguono l’evoluzione della sua ferita: dal taglio coperto dal cerotto alla crosta, fino alla cicatrice che lo accompagnerà a lungo. Le illustrazioni sono semplici e allo stesso tempo ricche di dettagli. La strada dell’accettazione della metamorfosi di una ferita e delle tappe che la caratterizzano è percorsa con lo sguardo stupito e curioso dei bambini… e anche di qualche piccione!

Dai 4 anni
Gaia Calisai e Giulia Elia


Andrè Bouchard

Andrè Bouchard è nato a Rennes nel 1958, dal 2002 è autore di libri per l’infanzia e dal 2005 lavora come fumettista-umoristico per i giornali. Da tempo si dedica all’illustrazione della rivista Le Point” e ha illustrato numerosi libri di Vincent Malone. È un lettore appassionato, e uno dei suoi romanzi preferiti è Il cavaliere inesistente di Italo Calvino. Per la realizzazione dei suoi libri trae ispirazione dalle esperienze vissute nella sua infanzia. Affronta temi spiacevoli utilizzando una chiave ironica e mescolando realismo con immaginazione e fantastico con familiare. Crede nella complementarità tra testo e immagini per narrare al meglio la storia.

Quando inizi a scrivere o illustrare una storia hai già in mente il finale o è una sorpresa anche per te?

A volte il finale è già lì, a volte ce ne sono più di uno, a volte devo sforzarmi di trovarlo. Ma non scrivo mai storie il cui finale nasce lì per lì, secondo l’ispirazione, come fanno a volte gli scrittori di romanzi. Questo non significa però che le mie storie nascano per un certo finale, perché un finale da solo non ha senso: la fine dipende sempre da un discorso precedente. A volte ho degli inizi di storie che rimangono nel cassetto perché non so dove portano. Poi, un giorno, rileggendo questi testi, mi viene un’idea. Spesso devo fare un passo indietro per creare una buona storia. Oppure partendo da un canovaccio devo scrivere diverse versioni della storia per trovare la “soluzione”. Quando la trovo, so che la storia non può essere raccontata in nessun altro modo, i personaggi e le azioni convergono per arrivare alla loro destinazione finale: il finale della storia, quello che non sospettavi ma che, una volta rivelato, giustifica anche la storia più assurda. Per me, infatti, il finale più bello è quello che sorprende e illumina improvvisamente tutti i colpi di scena della narrazione.

Andrè Bouchard, Il genio dei bigodini, illustrazioni di Andrè Bouchard, pp. 48, € 10, #logosedizioni, Modena 2024

André Bouchard racconta la storia di una famiglia in cui un papà parrucchiere, colto da improvvisa follia, comincia a fare tagli e acconciature strampalate con gli strumenti più strani, costringendo la mamma, al fine di coprire ciò che sta accadendo, a inventare tante bugie. La prima “vittima” sarà Madama Robina de’ Vattelapeschis la quale, vista la sua nuova acconciatura, al primo impatto si infuria ma, persuasa dalle parole della mamma, inizierà poi a diffondere la fama del parrucchiere tra la nobiltà. Tutto ciò sarà l’inizio di una straordinaria carriera che porterà il parrucchiere a diventare famoso in tutto il regno. In questa spericolata avventura l’autore si prende garbatamente gioco di ciò che viene ritenuto geniale e originale nel mondo dell’arte e della moda, ma anche della vanità delle classi agiate, attraverso l’uso dell’ironia. Le illustrazioni giocano un ruolo fondamentale, andando ad arricchire ulteriormente quanto raccontato dal testo.

Dai 6 anni
Beatrice Puddu, Chiara Argiolas e Elisabetta Uccheddu


Dan Gemeinhart

Dan Gemeinhart è statunitense, ma è nato a Francoforte nel 1978. Dopo aver lavorato per tredici anni come bibliotecario e insegnante in una scuola elementare, ha esordito col suo romanzo Questa è la vera verità (pubblicato in Italia nel 2016 da Il Castoro). Inoltre sono stati tradotti in italiano i suoi libri L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise (EDT – Giralangolo, 2022), Coyote Sunrise e il posto perfetto (EDT – Giralangolo, 2024), e I ragazzi della mezzanotte (Giunti, 2024). Nel 2023 Gemeinhart ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi nella categoria 11+ con L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise.

Quanto è importante per te il finale di un libro?

Il finale di una storia è importantissimo! È come nella ginnastica artistica: se un atleta fa un numero di volteggio fantastico – prima fa un salto impeccabile, poi una serie di capovolte perfette – e poi… si schianta di faccia sul tappeto, nessuno lo giudica “una bella prova”. Fino a un certo punto era un esercizio meraviglioso, ma poi si è rivelato un disastro. Quando scrivo non voglio che il finale dei miei libri sia del tutto ovvio, ma non voglio nemmeno deludere i miei lettori. Nel primo libro di Coyote Sunrise, sapevo che Coyote si meritava un lieto fine: aveva già perso così tanto, che se il suo viaggio fosse finito con una delusione non sarebbe stato un finale soddisfacente. Rimarrà triste per quello che ha perso, dovrà comunque dire un addio importante, ma sarà valsa la pena di intraprendere quel viaggio perché, alla fine, otterrà una vittoria. Un buon finale è come l’ascolto di un coro in una cattedrale: una volta cantata l’ultima nota, il suono non si ferma, ma echeggia nell’aria. La canzone potrà anche essere finita, ma la bellezza della musica rimane ancora un po’. Come le voci del coro nella cattedrale, una storia con un bel finale echeggia nel cuore dei lettori e resta con loro. Spero di riuscire, almeno qualche volta, a concludere le mie storie in questo modo. In un modo che riecheggi nel cuore dei miei lettori, anche solo per un po’.

Dan Gemeinhart, Coyote Sunrise e il posto perfetto, pp. 320, € 16, EDT – Giralangolo, Torino 2024

A bordo di Yager, il vecchio scuolabus che ha ospitato Coyote e suo padre Rodeo per anni, si trovavano due oggetti importantissimi: il primo è la scatola che contiene le ceneri della madre di Coyote; il secondo è il suo libro preferito, una raccolta di poesie dove anni prima, insieme a suo marito, aveva indicato il luogo esatto dove far disperdere i suoi resti. Purtroppo, però, l’estate precedente Coyote ha dato via quel libro, ignara della sua importanza. Non trovando il coraggio di confessare questo errore a suo padre, Rodeo e Coyote partono, insieme a nuovi e vecchi amici, alla ricerca del libro e del posto perfetto dove far riposare la madre. Nell’attesissimo sequel di L’imprevedibile viaggio di Coyote Sunrise (cfr. “Il Mignolo” 2022, n.13), Dan Gemeinhart ci accompagna in un viaggio da una costa all’altra degli Stati Uniti, dove su lunghi tratti di autostrada Coyote avrà il tempo di chiedersi cosa significhi dire addio a chi non c’è più, e ragionare sul fatto che lasciar andare ciò che resta di loro non equivale necessariamente a dimenticarli.

Dai 12 anni
Emanuele Sechi